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CI LASCIA L’ON. FRANCESCO NUCARA. UN RICORDO INDELEBILE, COME LA SUA PASSIONE

– Francesco Subiaco

Con l’On. Francesco Nucara se ne va uno degli ultimi grandi maestri della politica italiana, una personalità unica che con la sua esperienza ha lasciato un apprendistato di valori, di idee, una educazione sentimentale alla libertà, alla solidarietà, al senso della patria e delle istituzioni. Una vocazione che ha sempre impersonificato nella sua attività politica durata oltre mezzo secolo, sia come parlamentare sia come viceministro e membro delle istituzioni, portando avanti il simbolo dell’edera e gli ideali mazziniani che sin dalla giovinezza lo hanno avvicinato al Partito Repubblicano Italiano, di cui è stato per quasi vent’anni il protagonista indiscusso come segretario e presidente. Un galantuomo calabrese, tenace e colto, di umanità penetrante che lo ha reso uno dei principali maestri di molti giovani repubblicani. Affascinando molti giovani con il suo senso pratico, capace di immedesimarsi nella realtà e nei territori, e con la sua immensa cultura, che comprendeva quella visione umanistica e repubblicana dei Mazzini, dei Bovio e dei Pacciardi, di cui lui fu l’ultimo testimone. Conoscendo l’onorevole Nucara ho scoperto cosa significa veramente essere mazziniani. Essere mazziniani vuol dire credere nel popolo ed appartenervi sentimentalmente, senza cedere ai pregiudizi delle masse, è pensare la scuola, l’educazione e la cultura come il pane dell’anima e l’ossigeno della coscienza, è appartenere alla propria terra, come lui apparteneva alla sua Calabria, e in virtù di questo legame vivere la Patria, non come oggetto, ma come sentimento. È pensare alla comunità in nome di essa, lottando affinché le sue parti più popolari possano sognare e realizzare un futuro migliore. Una visione che ha insegnato attraverso la sua azione politica, i suoi saggi, che mostrano qual è il carattere principale di un repubblicano: la fede nell’avvenire. Una fede che ha dimostrato ogni giorno, sostenendo e supportando le nuove generazioni repubblicane, i sogni di chi tramite lui imparava che “Dio e Popolo”, “Libertà e associazione” non sono solo slogan, ma le più sincere verità della vita. Idee che riusciva a caricare del loro massimo significato, mostrandosi più vivo e più spontaneo di tanti personaggi torvi e grigi, molto più giovani di lui, ma solo anagraficamente. Di lui conservo gelosamente due ricordi indelebili. Il primo di un incontro in un ristorante romano con alcuni amici della giovanile, in cui ci raccontò i dettagli di 50 anni di battaglie e lotte, in cui potei conoscerne la forte convivialità, ma anche la silente riservatezza. Mentre il secondo relativo alla nostra ultima intervista, in occasione dell’anniversario dell’Apostolo. In quell’occasione ci ritrovammo nella sua splendida casa di fronte all’Anfiteatro Flavio. Parlammo di Mazzini, del futuro, degli autori repubblicani, soprattutto di Giovanni Bovio, che mi aveva fatto scoprire lui, peraltro, rimarcando l’attualità di Mazzini e l’importanza di un pensiero sociale capace di farsi anche pensiero civile. Alla fine di quella lunga intervista ci salutammo e mi regalò un testo, curato dal nipote, Alessandro Massimo Nucara, col titolo “I repubblicani all’Assemblea costituente”, per scoprire che cosa volesse dire “essere Mazziniani con la M maiuscola”. Oggi posso dire, ripensando all’On. Nucara, che so cosa voglia dire esserlo, e sicuramente lo devo a lui.

La redazione di Generazione Liberale, l’autore Francesco Subiaco ed i giovani repubblicani Tommaso Alessandro De Filippo, Francesco Peirce e Francesco Corona inviano la massima vicinanza alla famiglia Nucara per la loro perdita.

DIALOGO CON ALFONSO PISCITELLI: L’ITALIA DEL FUTURO, TRA I VALORI RISORGIMENTALI E L’IMPORTANZA DELLA CULTURA.

– Francesco Subiaco

I valori risorgimentali sono l’essenza di una civiltà fondata su Patria e libertà, su un senso del dovere che non sconfina nella servitù, in una visione della libertà che non recide i suoi rapporti con la comunità, alfieri di una visione capace non di superare il passato e la tradizione, ma di compierlo e avverarlo. Per parlare della grandezza del pensiero mazziniano e dei valori risorgimentali attualissimi in questi giorni di crisi e tensioni internazionali abbiamo intervistato Alfonso Piscitelli, docente di Storia e Filosofia, cultore del pensiero umanistico e studioso del Risorgimento. Già autore di Rai Radio Uno, collabora al mensile Cultura Identità” diretto da Edoardo Sylos Labini.

Professor Piscitelli, quanto sono attuali i valori mazziniani che hanno plasmato il Risorgimento?

 Sono più attuali oggi di quanto non fossero ieri, dal momento che Mazzini – sconfitto nel suo tempo – ha indicato all’Italia (e il mondo intero) traguardi di lungo corso: l’unità nazionale sotto forma repubblicana, la necessità di una pedagogia nazionale, la concezione sana della precedenza dei doveri rispetto ai diritti, l’idea di una confederazione di libere nazioni europee che a sua volta si inserisce in una Alleanza universale, l’aspirazione a una “religione laica” che si esprima nell’ impegno nella vita quotidiana per il bene della comunità.

Idolatrato e condannato, padre dell’Italia repubblicana ed eterno incompreso dai suoi connazionali. Che giudizio trae della figura dell’apostolo?

 Replicò nella sua esistenza il destino di esule di Dante Alighieri. E tuttavia il mondo ha riconosciuto il suo valore. Nella lontana India, coloro che si battevano per l’indipendenza di quella antichissima terra di civiltà lo hanno venerato addirittura come un “Mahatma”.

Di recente ha pubblicato su Cultura Identità un articolo su Mazzini, può parlarcene?

Ho dedicato più di uno scritto a Mazzini sostenendo che ovunque si combatta una battaglia di nazionalità e libertà il messaggio di Mazzini è amato. Pensiamo all’Irlanda, la cui bandiera attuale deriva dalle insegne della Young Ireland di ispirazione mazziniana. Noi oggi dobbiamo concepire una moderna forma di patriottismo che nell’epoca dei grandi spazi non si configuri come chiusura micro-nazionalistica, ma si leghi alla capacità di innovazione tecnico-scientifica, alla promozione della cultura alla capacità di trovare equilibri sociali più avanzati. Oggi l’idea mazziniana di “Terza Roma” si concilia con l’idea dell’Italia come “superpotenza culturale”.

 Amato da Gandhi, Bianciardi e Gentile come riesce il pensiero mazziniano ad avvicinare figure così diverse?

Riesce perché come tutti i grandi pensatori è stato capace di pensare la “totalità”, al di là dei punti di vista di parte. Questo lo differenzia da Marx, la cui ideologia Mazzini considerava inumana e destinata al fallimento. Fu profeta.

 E se dovessi posizionare Mazzini in una scuola filosofica dove lo inseriresti?

 Nella galleria dei grandi italiani, Mazzini si inserisce in una tradizione di pensiero che passa attraverso Dante, i Rinascimentali, Galileo, Vico fino ad arrivare appunto ai “profeti del Risorgimento”. Nel panorama europeo può essere avvicinato ai teorici del distributismo inglese, del cooperativismo appunto come valida alternativa alla lotta di classe marxista. Per certi aspetti ricorda un po’ Tolstoj, ma con una più chiara coscienza delle questioni sociali ed etiche del nostro tempo.

 Il concetto di patria e di Europa sono i veri malati d’Europa, come può il pensiero mazziniano dargli nuova vita?

La patria rinasce nel concetto mazziniano di dovere, qualcosa che corrisponde al romano “officium” e all’induistico “dharma”: ogni uomo deve avere la percezione di esser nato con un compito, con una missione concreta da compiere per il bene della comunità. A sua volta bisogna comprendere che le nazioni non sono semplici aggregati contrattuali ma hanno per così dire “un’anima”, una identità sia pur dinamica, aperta. L’Europa rinasce se smette di essere un freddo organismo burocratico e diventa il punto di incontro delle culture nazionali europee, che oggi devono affrontare le contraddizioni interne alla più ampia civiltà occidentale.

 Cosa ne pensa delle rimozioni della cultura russa che il politicamente corretto sta promuovendo? Il problema è la guerra o il moralismo occidentale?

Ritengo una grave violazione del diritto internazionale l’invasione russa dell’Ucraina, proprio per questo leggo con rinnovato interesse Dostoevskij, Tolstoj, Florenskj e invito a riscoprire figure un po’ dimenticate della storia russa come i Decabristi, il conte Stolypin, Kerenskij. Proprio per andare oltre gli errori e gli orrori del presente e capire come si possa ristabilire una rinnovata “coesistenza pacifica”.

Quali sono i riferimenti culturali di Alfonso Piscitelli?

 Tanti sono gli autori, prediletti sono quelli capaci di conciliare amore per la tradizione e amore per la modernizzazione (perché i due concetti sono complementari), quelli che affermano il valore dell’individuo. Oggi si parla di quote, politiche di genere, ma il fondamento della nostra civiltà è la valorizzazione del merito individuale, facendo in modo che chi parte da un contesto sociale svantaggiato, ma ha doti da mettere a disposizione della comunità possa essere aiutato ad emergere. Infine – e qui ci si ricollega alla parte spirituale di Mazzini – coloro che sono capaci di cogliere il Divino nello stupore per le meraviglie dell’universo, per i retti pensieri e le rette azioni degli uomini.

FRANCESCO NUCARA: “VI SPIEGO L’ATTUALITÀ DI GIUSEPPE MAZZINI”

– Francesco Subiaco

Vita e martirio non sono menzogne. Non sono le “vecchie bugie” di cui si burlano gli scettici, ma il mezzo per compiere una missione, una vocazione. Una missione che fa di ogni essere umano non un mercenario di un padrone o il servo di un’illusione, ma il testimone, l’apostolo di una idea, di una Legge. Perché gli uomini non si distinguono da ciò che mangiano, dal mestiere che compiono, bensì da ciò in cui credono, dal senso che vogliono dare alla loro testimonianza, dal fine che riescono a imprimere sul grande disegno in cui compaiono. Un fine che permette di guardare a Mazzini con la gratitudine e il fascino del grande filosofo dell’avvenire. Che fu, dopo Socrate e Cristo, il terzo Grande Maestro della civiltà, come sottolineò Giovanni Bovio nel suo omonimo saggio. Non il maestro dell’epoca dei cittadini e dell’onore, né il martire degli individui e dell’amore, ma fu il profeta dello Spirito dell’Umanità e del vangelo del dovere. Un Vangelo che non si esprimeva più tramite le scuole dei filosofi e le chiese dei preti, ma tramite i popoli e la Storia e che aveva come comandamenti Dio e Popolo, Libertà e Associazione. Una civiltà dei radicamenti che non superava bensì compiva le precedenti, non facendo tabula rasa dei processi e delle tappe della Coscienza del mondo, ma ultimandola, diffondendo la morale degli uomini, in quanto individui e cittadini, complici delle proprie circostanze, portatori dei propri doveri verso Dio, Patria, Famiglia, quindi verso l’umanità. Un nuovo evo che aveva un mezzo teologico, Dio e Popolo, ed un fine umano, etico, la libertà dei popoli, nella comunità, nel dovere. Un secolo nuovo che non è solo il vano palcoscenico della divinità, o la farsa dei tiranni, ma il campo di battaglia degli uomini, dei popoli liberi che lottano, combattono e credono nella crociata umanitaria che ogni essere umano compie ogni giorno scegliendo la libertà contro il dispotismo, il merito contro il privilegio, la repubblica contro i principati. Una fede laica per cui 150 anni fa, con il falso nome di George Brown, in ossequio all’omonimo eroe antisegregazionista, Mazzini si spense braccato dalle guardie sabaude a Pisa come un criminale, come un reietto, ultimo testimone di una grande causa, ultimo difensore di una civiltà che stava per fondare. Per cui si era sacrificato e aveva pagato bevendo la cicuta della calunnia e della disillusione, il bacio di Giuda del tradimento degli alleati, la crocifissione di essere un perseguitato in quella patria per cui aveva combattuto, per quell’avvenire che voleva libero, popolare, repubblicano. La sua crocifissione fu l’esilio, il suo destino fu il sacrificio per una idea che oggi più che mai si distingue come la filosofia dell’avvenire. Per parlare dell’attualità del pensiero mazziniano e dell’importanza storica dell’Apostolo abbiamo intervistato l’On. Francesco Nucara leader per quasi vent’anni del Partito Repubblicano e testimone di una visione mazziniana e repubblicana che ha promosso in questi anni attraverso una lunga militanza politica, iniziata sin dall’infanzia tramite una educazione laica ed anticonformista, che lo ha portato ad incarnare i valori repubblicani nel suo percorso istituzionale, nella proficua attività saggistica con cui ha promosso una riscoperta della storia del Pri. Un percorso che ha raccontato nel suo recentissimo “Incontri con la politica”(Rubettino), attraverso i ritratti dei protagonisti della storia repubblicana e non solo, e tramite il suo testo più intimo e personale, “Storia di una passione politica(scene e retroscene)”. Testi straordinari in cui la vocazione popolare si fonde col senso delle istituzioni, la militanza con la storia, facendo sentire la presenza di un sentimento mazziniano puro e insostituibile. Per tale ragione abbiamo intervistato Francesco Nucara per la nostra testata.

Quanto è attuale il pensiero mazziniano?

Il pensiero di Mazzini, per chi lo legge e studia è attualissimo, ma è l’attualità, oggi, a non essere attuale. Per esempio, chiunque leggesse la Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa del 1962, potrà ritrovare quelle che erano le idee e le visioni che hanno contraddistinto il pensiero mazziniano, cioè dobbiamo diminuire i consumi privati e far aumentare i consumi sociali, in modo che siano i soldi a far crescere ed avanzare l’uomo e non viceversa. Un aumento dei consumi sociali che non vuol dire avere più beni personali, ma utilizzare le risorse per far sviluppare la sanità, l’istruzione, i trasporti, per permettere al paese di progredire, mettendo al primo posto l’uomo. Ad oggi queste idee non sono attuali perché Mazzini è l’opposto del Reddito di cittadinanza, della situazione di disuguaglianza e immobilismo dell’istruzione italiana, poiché una istruzione nazionale non è fare crescere il numero delle università, ma permettere alle fasce più vulnerabili della società di usufruire di un ascensore sociale nel proprio territorio, non soltanto nelle grandi città. Per Mazzini l’educazione è il pane dell’anima e il lavoro ha un posto fondamentale nel pensiero dell’Apostolo, teorizzando capitale e lavoro nelle stesse mani, tramite la nascita delle cooperative. Queste idee oggi dovrebbero essere di estrema attualità e nella Nota Aggiuntiva, nonostante La Malfa non sia un mazziniano, e questo sta a dimostrare l’universalità del pensiero dell’Apostolo genovese, questi temi si incarnano e trovano spazio in quel progetto di cui oggi avremmo molto bisogno.

Come si potrebbero incarnare oggi i valori mazziniani?

Applicando le idee di Mazzini nella realtà concreta del paese. Se si destinassero i fondi del PNRR a un programma come presentato dalla Nota aggiuntiva, al posto di assegnarle ad opere senza un disegno di ristrutturazione del paese, si colmerebbero le carenze dei consumi sociali, permettendo a tutti i cittadini, soprattutto ai più poveri, di accedere al diritto alla sanità, ai trasporti, alla possibilità di commercializzare i propri prodotti. I pescatori di Mazzara del Vallo, come possono commercializzare i loro prodotti, senza una rete dei trasporti affidabile, ad esempio. Permettendo al Mezzogiorno, come sottolineò Pacciardi tornando a Roma, di non essere soltanto più e soltanto “un serbatoio di questurini per i Savoia”, ma il luogo della rinascita del paese. Mi ricordo, infatti, il mio maestro elementare che ci assegnava come tema abituale di italiano, “ammissione all’arma dei carabinieri”, per molti anni mi chiesi il perché di quella traccia, poi, quando ero già deputato, glielo chiesi. Mi rispose che noi avevamo due alternative di vita, o servire lo stato o affiliarsi alla Ndrangheta, queste erano le opzioni sociali di un bambino di dieci anni in un contesto in cui la scuola non può permettere di far emergere delle possibilità di sviluppo.  Per questo sono importanti i consumi sociali, perché sono quelli che permettono alle classi più deboli di emanciparsi e di partecipare al progresso del paese, ad un operaio di poter avere una risonanza magnetica prima della propria autopsia se non si rivolge ad un privato. Mazzini è attuale soprattutto sul terreno dei diritti della donna, il deputato repubblicano Mirabelli già in pieno ottocento parlava del voto femminile, che si fonda su una idea di uguaglianza sostanziale tra i sessi e sul rispetto delle donne. Le pagine mazziniane sulle donne sembrano più attuali di tante dichiarazioni di molti contemporanei. Egli già a metà dell’Ottocento asseriva: “Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna”. Il problema è che nella società social parlare di Mazzini è come parlare di un personaggio lontano, dimenticato, relegato all’Ottocento, ma in realtà lui fu davvero l’Apostolo dell’umanità. Un predicatore laico che non fu solo il teorizzatore dell’unità d’Italia, ma portatore di una visione democratica e popolare universale. Un pensatore che non viene capito poiché non viene letto.

E lei si sente più mazziniano o più repubblicano?

Io mi sento più mazziniano. Sono nato laico, proveniente da una famiglia modesta, la mia educazione si è formata tramite maestri laici. Essere mazziniano per me vuol dire avere una visione più ampia della società che non si può relegare alla sola dimensione politica. Per questo il pensiero di Mazzini non può rinchiudersi nel Partito Repubblicano, ma attraversa i confini di questa militanza politica. Ciò mi ha portato sempre a fare delle scelte e delle battaglie di minoranza, ad essere laico mentre tutti i miei compagni servivano messa, a far parte di un mondo repubblicano-massonico che mi ha plasmato tramite l’incontro de Dei Doveri dell’uomo, che mi hanno portato ad iscrivermi al partito. I primi repubblicani che ho conosciuto erano infatti mazziniani, come racconto in “Incontri con la politica”, come Emanuele Terrana e Michele Cifarelli, in maniera diversa. Una altra cosa che mi ha avvicinato al Pri fu che tutti i leader storici del partito venivano da una estrazione popolare e da una connessione sentimentale con le classi popolari, Giovanni Conti figlio di un calzolaio, Pacciardi figlio di un manovratore ferroviario, Ugo La Malfa figlio di un poliziotto, erano tutti figli del popolo. Ed il pensiero mazziniano fu, aldilà delle maldestre interpretazioni, soprattutto attivo sulla questione sociale. Mazzini fu un filosofo della scuola sociale, un uomo d’azione, un politico concreto, non un integralista duro e puro senza contatto con la realtà. Le ultime battaglie mazziniane e ideali del partito sono state fatte da Randolfo Pacciardi.

Quali sono le battaglie veramente mazziniane?

Sono quelle che hanno come fine il benessere collettivo, aldilà delle retoriche, degli enunciati del bene comune.

Che cos’è per lei la Patria?

La patria non sono i confini territoriali, come goffamente pensa la Meloni. Per un mazziniano la Patria è un’altra cosa, è un pensiero, è un’idea della vita e del mondo. È la libertà dei popoli contro la servitù degli stati. La patria è il contrario del nazionalismo. Non è la patria che si importa con il massacro e l’imperialismo, quella di Mussolini, che in realtà maschera la legge del più forte. È una cosa che riguarda tutti alla stessa maniera. Per riscoprire tali concetti sarebbe necessaria una scuola che insegni anche il pensiero politico, che non sia un corso di formazione politica, ma che permetta di riscoprire e rendere forti le idee.

Chi fu l’ultimo grande mazziniano?

Mi dispiace per il mio amico Paolo Palma, ma per me l’ultimo fu Giovanni Conti. Che lasciò il Pri, messo in minoranza da Pacciardi per far aderire La Malfa. Conti rappresentò l’ultima vera visione mazziniana, l’ultimo testimone di questa idea. Pacciardi più che l’ultimo mazziniano è la sintesi dei valori risorgimentali. È l’uomo d’azione come Garibaldi e il maestro di pensiero come Mazzini, è il simbolo delle idee del Risorgimento. Perseguitato dai fascisti, esule, combattente per la libertà contro i franchisti in Spagna, osteggiato dai comunisti durante la guerra civile spagnola per la sua volontà di non fucilare gli anarchici, in uno scenario simile a quello di Porzus nella Seconda guerra mondiale. Per Pacciardi, che fu un vero grande patriota, pesa nell’immaginario comune la storia di tanti uomini e giovani di destra, per non dire fascisti, che aderirono a Nuova Repubblica. Si creò una situazione che diede lo spunto ad un magistrato di chiamarlo in causa come eversore. Dopo la persecuzione fascista dovette subire anche quella comunista. Tuttavia, Pacciardi era stato e rimase un combattente per la libertà propria e altrui. Di fame non si muore viceversa si muore senza libertà.

Quali sono i riferimenti culturali di Francesco Nucara?

I miei maestri elementari, i fratelli Crucitti, Mazzini, Pacciardi, De Gasperi, che pure da cattolico ha fatto una gestione laica dello Stato, Giovanni Bovio e Carducci.

 

 

 

 

 

 

ATTUALIZZARE MAZZINI DOPO 150 ANNI: IL PATRIOTTISMO COME EREDITÀ INCANCELLABILE

– Tommaso Alessandro De Filippo

Cosa resta di Giuseppe Mazzini 150 anni dopo la sua morte? Ce lo si chiede in un’epoca avversata dall’ostinata voglia di cancellare e modificare la storia ed il pensiero delle figure che essa ci ha donato, con le loro battaglie ideologiche e politiche che sembrano stonare rispetto all’attualità torbida che affligge il nostro tempo. L’importanza del sacrificio, compiuto nell’ottica della convinzione delle proprie idee e nella necessità di rivoluzionare delle società sbagliate non appare più una convinzione maggioritaria. Anche in ragione di ciò, ricordare adeguatamente i volti eroici del nostro passato appare difficilmente perseguibile senza sfociare nella banalità e nel giudizio negativo che i cultori della cancellazione di radici ed ideali potrebbero emettere. Eppure, in questo ambiente sociale ostile resta fondamentale non arrendersi dinanzi ad una deriva pur prevalente, certi dell’importanza di attualizzare gli aspetti fondamentali che caratterizzano il valore del sacrificio e del patriottismo mazziniano. In primis, con il ricordo di Giuseppe Mazzini rilanciamo una testimonianza di sacrificio, impegno e determinazione compiuto per l’utopia realizzata dell’Italia unita. Quel desiderio di fratellanza di un popolo bisognoso del superamento delle divisioni si è tramutato in realtà grazie alla perseveranza degli eroi e dei martiri risorgimentali. Tuttavia, in questo momento storico, dove tensioni geopolitiche e scontro tra potenze determineranno i nuovi equilibri mondiali, poter usufruire dell’unità nazionale e del sentimento patriottico è l’ancora a cui aggrapparsi. Questo condiziona positivamente il nostro pur complesso cammino nell’attualità: essere consapevoli del passato dovrà motivarci per costruire adeguatamente il futuro. L’amore per la verità, la libertà ed i doveri sociali, condizioni necessarie per l’avvento di una vera democrazia, sono oggi il baluardo da difendere contro l’avanzata di autocrazie e regimi che annullerebbero la nostra eredità storica. Conoscere e ricordare le radici mazziniane impiantate al tempo sono il miglior gesto di riconoscenza verso le sue idee. Ritenere che siano mero inchiostro dei libri di storia non meritevoli di attualizzazione sarebbe il primo passo per vanificare il futuro.

ANTONIO DE MARTINI RACCONTA L’APOSTOLO DELL’UMANITÀ

La Repubblica Romana, sorta il 9 febbraio del 1849, non segna soltanto l’apice dei moti quarantotteschi, ma l’inizio una una rivoluzione italiana, guidata dai principi di Dio e popolo, Libertà e associazione. Un esperimento politico che segnò un capolavoro ideologico in cui i valori mazziniani e democratici hanno trovato il loro massimo compimento. Poiché la Repubblica guidata dai triumviri Armellini Mazzini e Saffi ha anticipato le massime ambizioni del movimento repubblicano del tempo. Uno stato che non si prometteva soltanto di sostituire la forma istituzionale dello stato Pontificio, ma compiere quella rivoluzione italiana, nazionale e laica, popolare e democratica, che doveva compiere la grande riforma morale del costume nazionale, la trasformazione da mera espressione geografica alla costruzione di un popolo, di uno stato unitario, di un avvenire. Un avvenire che si espresse attraverso la tutela del cittadino, libero dalle catene degli assolutismi, l’abolizione di istituti disumani e liberticidi come la pena di morte e la censura. Fondando non sistemi sovrastanti che parassitariamente dominano un pubblico informe, ma istituzioni che affondando le proprie radici nel popolo, preferendo il dovere ai privilegi, un governo di tribuni ed apostoli ad una casta di chierici e scarti di araldiche vetuste. Iniziando con questo evento l’inizio di un nuovo evo, che permise a Mazzini di inserirsi tra i grandi fondatori e riformatori dell’umanità, insieme a Cristo e Socrate, come ha sottolineato Bovio nel suo “Mazzini”. Per ricordare la memoria di Mazzini e dell’esperienza della Repubblica Romana abbiamo intervistato Antonio De Martini, che con la Nuova Repubblica Edizioni, ha ripubblicato l’antologia pacciardiana “Giuseppe Mazzini. L’uomo e le idee” . Un testo che permette un ritratto ricco di sfaccettature, di visioni e di frammenti che permettono di fare sprofondare il lettore nel vangelo del Grande Apostolo dell’umanità.

De Martini, Mazzini è un personaggio complesso e straordinario, la cui figura è stata tratteggiata in maniera diversa da discepoli, avversari ed adepti che non ne hanno potuto subire il fascino o l’influenza. Può anticiparci alcuni frammenti/giudizi tratti dal testo in ristampa?

Volevo citare i giudizi di Castelar, Thomas Carlyle, Ernesto Nathan. Emilio Castelar: “Mazzini ha l’intuizione del genio che vede lontano, e la pazienza del martire che preferisce veder scorrere il proprio sane al veder scomparire il proprio ideale. Come tutti gli uomini di pensiero, precorre i tempi e gusta anticipatamente il frutto delle sue idee, la vita dell’avvenire, quel piacere in cambio de’ suoi dolori infiniti, riservato al genio”. Ernesto Nathan:”Nella coscienza nazionale e, ancor più, forse internazionale, dall’Europa alle lontane Americhe, la vera figura di Giuseppe Mazzini appare e grandeggia nei suoi massimi attributi, al di sopra delle mediocrità che si urtano e contendono nell’arena politica-sociale quotidiana”. Ed ultimo il filosofo Thomas Carlyle: “Mazzini è un uomo di genio e di virtù, un uomo di veracità genuina, di umanità di mente, uno di quegli uomini sventuratamente rari, anzi unici in terra, che siano degni di essere chiamati anime martiri; uno degli uomini che in silenzio e nella vita di ogni giorno sanno e praticano quello che si intende per martirio”.

Di recente è stata pubblicata Intervista ad un uomo che ha lasciato questo mondo. Che immagine emerge di Pacciardi, può parlarci di questo opuscolo ?

Qualche tempo fa, su suggerimento di Massimo Teodori, ho versato – in una con il nipote Franco Pacciardi – il carteggio di Pacciardi all’archivio storico della Camera dei Deputati. La Camera pubblicò un libro contenente i suoi discorsi parlamentari e io ne approfittai per regalar alcune copie in occasione della presentazione a Montecitorio nella “ sala della Regina”. Il giornalista Marco Nese che ne ebbe una, meravigliato che nei lunghi anni da inviato di un grande giornale non ne avesse mai avuto notizia, ha scritto – traendo liberamente dagli atti parlamentari- le risposte alle sue domande. Ne è venuto un ritratto di un Parlamento che fu informato del decadere delle istituzioni. Ne nacquero sia la “commissione Bozzi”, settemila pagine inutili,  che, più recentemente, la Bicamerale che rimase lettera morta. Il ritratto di Pacciardi che ne esce, è quello di un uomo che non molla l’osso. Dal 1964 al 1991 – data della morte- ha continuato  appassionatamente a spiegare che la Costituzione era in qualche punto – certo non nei fondamentali- obsoleta e in altri incompiuta. Noi continuiamo la sua opera.

Come mai ripubblicare il Mazzini di Pacciardi?

I mazziniani sono molto numerosi e le defezioni sono sconosciute. Per aver scritto su facebook che ripubblicavamo l’antologia mazziniana, ho raccolto trentotto prenotazioni di sconosciuti. Una prevendita record.

Che rapporto aveva con Pacciardi e come si è avvicinato all’Udnr?

Non ci piacenmo al primo istante, ci siamo apprezzati nel tempo. Aderii alla Unione Democratica Nuova Repubblica dopo essere stato , in una squattrinata mattina di agosto, a un convegno dei giovani di NR attratto dalla curiosità e per sfuggire alla calura. Lo sentii parlare, chiesi la parola, me la diedero e a fine dibattito decisi di partecipare. Lo sto ancora facendo. Periodicamente pubblichiamo, anche sui social, i nostri argomenti. Dopo la morte di Pacciardi, assunsi la direzione del movimento trasformandolo in “una lobby per l’Italia”.

Che progetti avete per il futuro?

I nostri piani consistono nell’occupare gli spazi abbandonati dal disfacimento dei partiti : educazione popolare, offerte di assistenza a giovani studiosi per le tesi di Laurea o studi. Incontri vonoscitivi con parlamentari ecc. Le classiche attività di influenza. La recente crisi dei partiti dovuta al rinnovo della presidenza della repubblica è valsa più di una battaglia vinta. Facciamo campagna per l’astensione dalle elezioni politiche. Quando cominciammo, gli astenuti erano il 14%. Ora siamo al 50. I nostri maggiori alleati sono la partitocrazia  e il desiderio degli italiani di partecipare alla vita pubblica. Sembra una contraddizione, ma non lo è.  Una assottiglia le loro file e l’altra, ingrossa le nostre. Siamo vicini all’affermazione dell’esigenza di rafforzare l’esecutivo. Ora ci concentreremo sulla legittimazione democratica di questo rafforzamento che si dimostra carente.

 

 

 

NÉ LIBERISTI, NÈ SOCIALISTI: REPUBBLICANI. ARCANGELO GHISLERI E L’ECONOMIA VISTA DA UN MAZZINIANO

– Francesco Subiaco

L’agire umano non ha simpatia per l’ordine fisso. Cercare di racchiudere in schemi, protocolli, algoritmi il complesso groviglio di bisogni e desideri umani è uno sforzo interessante, ma vano. Ne parla bene Simon affermando l’insufficienza di ogni visione dogmatica, geometrica, per lo studio delle scienze sociali, dato che gli uomini possono avere certamente intenzioni razionali, ma non possono compiere azioni razionali. Il dramma dell’economia contemporanea si riassume in questa difficoltà, quella di avere un metodo assoluto per situazioni contingenti. Tale affermazione vale per tutte le scienze sociali, l’economia soprattutto. L’economia non è , da Petty a Caffè, passando per La Malfa e Keynes, una scienza naturale, essa muta col cambiare dei bisogni umani, dei compimenti delle sorti “magnifiche e progressive” della Storia. Non è un caso che di fronte ai cambiamenti della società veterocapitalista americana, i dogmatismi del sinedrio liberista del GOP, non siano riusciti a salvare gli States dalla Grande Depressione. Una visione antidogmatica è la cifra dell’attualità del pensiero economico di Arcangelo Ghisleri, tra i fondatori del Partito Repubblicano Italiano. Ghisleri, mazziniano, positivista e massone, è uno dei grandi ideologi della Questione economica del PRI. Visione che il pensatore repubblicano scandisce negli scritti ed articoli che compongono: “La questione economica e il Partito Repubblicano”(Bonanno), curata da Mauro Cascio, con prefazione di Corrado De Rinaldis Saponaro.

Il testo è una raccolta di articoli in cui il pensatore repubblicano illustra ed espone le premesse e l’originalità del programma economico del Pri alle porte del novecento. Una visione antidogmatica, egualmente distante sia dal liberismo sia dal socialismo turatiano e massimalista. Il pensiero ghisleriano affonda le sue radici nelle visioni di Melchiorre Gioja, dei Romagnosi, dei Cattaneo, di Mazzini soprattutto. Perché il centro del progetto sociale dei Repubblicani è nel motto mazziniano di Libertà ed Associazione. L’associazione che diventa il mezzo, per la distribuzione della proprietà, per il progresso politico e morale dei ceti produttivi, che non può essere scissa dalla volontà di libertà, di affermazione del singolo, di autodeterminazione della persona. Attraverso un’idea della Libertas, che affonda nella comunità, nelle relazioni organiche e solidaristiche tra i cittadini, molto simile a quella libertà oltre il liberalismo, tipica dei movimenti democratici e del pensiero hegeliano. Nei suoi scritti Ghisleri prende le distanze dalle principali scuole politiche del tempo. Il socialismo marxista e marxiano è l’antitesi di una visione interclassista, capace di conciliare gli agenti economici, diventando una Chiesa di classe, che non dice nulla di nuovo rispetto alla visione sociologica dei vati del repubblicanesimo, ma al contrario la fraintende, la storpia, incasellandola in un materialismo spicciolo e monodimensionale, deterministico e impersonale, che non è altro che il rovescio inefficiente del capitalismo dei monopoli. Il liberismo di Smith non è di estrazione dissimile, sia per la sua incapacità di produrre una società frantumata e atomistica, sia per la sua idea di mercato dogmatica di libertà come estensione del dominio della lotta. A queste due scuole opposte, Ghisleri propone una visione popolare e democratica, partecipativa e solidaristica, che si basa sull’azione e la cooperazione delle classi, non sulla lotta o “l’anarchia consuetudinaria delle leggi del mercato”, mostrando che la questione sociale è la più importante per la democrazia e per lo sviluppo di una società veramente repubblicana. Una idea di progresso economico che risolvendo la questione sociale compie il processo democratico, mostrando la vocazione profondamente popolare di quel pensiero mazziniano che poi verrà organizzato da Giovanni Conti. Un pensiero che in questo periodo in cui le democrazie sono nella morsa tra il Big State cinese e l’anarchia delle Big Tech globaliste, segna quella terza via laica e popolare che tanto è necessaria ai popoli europei

RENATO TRAQUANDI RACCONTA IL DE GAULLE ITALIANO

Pacciardi fu uno dei personaggi più interessanti della politica italiana del Novecento. Segretario storico del Partito Repubblicano, promotore di una riforma presidenzialista della Repubblica italiana, combattente durante la guerra civile spagnola contro le truppe franchiste, tra i principali personaggi della resistenza e della ricostruzione dell’Italia post bellica. Antifascista e anticomunista, mazziniano e presidenzialista. Tra De Gaulle e Garibaldi, il PRI e L’Udnr. Segretario in esilio del partito repubblicano durante il ventennio fino a diventarne un eretico a seguito della segreteria La Malfa, che portò all’uscita di Pacciardi dal pri. Per ricordare una figura così complessa e straordinaria abbiamo intervistato Renato Traquandi, aretino che ha seguito il “De Gaulle italiano” sia nell’esperienza presidenzialista dopo la storica rottura col centro sinistra e i lamalfiani fino al suo reinserimento nel pri. Attualmente Traquandi, repubblicano e pacciardiano, è un fiero sostenitore del movimento dell’edera e attraverso biografie e l’attività del sito di “Sentieri repubblicani” ne tiene viva la memoria e i riferimenti culturali.

 Come si è avvicinato alla figura di Randolfo Pacciardi?

 Fin da ragazzo avevo sentito parlare di lui, grazie a mio padre e a suo cugino Nello Traquandi, attivista fiorentino di Giustizia e Libertà. Addirittura in una occasione fui presente ad un suo comizio. Una domenica di maggio del 1954 mio padre mi portò con se a Roma, in visita al fratello di mia madre, che a Roma viveva e lavorava. Usciti dalla stazione ferroviaria ci dirigemmo verso Via Nazionale. Accanto al porticato della Piazza c’era un palco, dove l’oratore stava intrattenendo una folla numerosa, molte persone portavano bandiere tricolore e dell’edera. L’oratore era Pacciardi e l’argomento era Trieste, ancora occupata e divisa. Ci trattenemmo per circa un quarto d’ora poi mi padre si incamminò verso Via Taranto, dove abitava mio zio, e mi trascinò via. Conobbi De Martini, Accame, Scioscioli, Mita e Vitangeli. La prima volta che strinsi la mano di Pacciardi la ricorderò per sempre. Era un uomo alto e grosso, fumava una sigaretta dopo l’altra. Quando parlava, chi lo ascoltava pendeva dalle sue labbra. Imparai cosa significava possedere carisma e trasmettere fiducia, frequentando lui e tutti gli altri. Mi venne chiesto di dare loro una mano ad organizzare convegni, conferenze e comizi, cosa che feci con entusiasmo. Cominciò la mia esperienza nell’UDNR.

 L’UDNR è stato uno dei partiti che più ha impersonato una volontà di riforma del nostro paese in senso presidenzialista. Che ricordo ha di questa esperienza? Ci può raccontare qualche aneddoto?

 Nel suo discorso alla Camera del 1963, nel quale dichiarava la sua contrarietà al centro sinistra, come forma di governo di questo paese (la qual cosa gli costò la carriera politica), Pacciardi ebbe a dire che il socialismo italiano, capeggiato da Pietro Nenni, non era ancora pronto, per entrare “nella stanza dei bottoni” e  ribadì il concetto, caro al costituzionalista fiorentino Maranini, dei guasti prodotti dalla “partitocrazia”. All’inizio non era solo, con lui c’era un gruppo di deputati della democrazia cristiana e un altro di socialdemocratici. La regola della “disciplina di partito” prevalse e Pacciardi si ritrovò da solo. Restò parlamentare fino al 1968, nel gruppo misto. Quando venne applicata la norma costituzionale che prevedeva le Regioni, l’U.D.N.R. ebbe la fortuna di eleggere qualche consigliere, dalla Lombardia alla Sicilia. Eravamo molto attivi in Romagna, in Toscana ( Carrara), nelle Marche, nel Lazio ed in Sicilia. Organizzavamo convegni, dibattiti, conferenze, che erano molto seguite, discutendo con professori universitari le nostre teorie presidenzialistiche. Nel 1974 anche l’ambasciatore Edgardo Sogno, romantica figura di partigiano liberale, iniziò a partecipare alle nostre iniziative, portando nuova linfa. Uno dei principi propugnati da Giuseppe Mazzini era: “ Capitale e lavoro nelle stesse mani”. Pacciardi diceva anche: “ Potere di rappresentanza istituzionale – Presidente della Repubblica – e Potere esecutivo – Presidente del Consiglio -…. nelle stesse mani”. Dalla famosa stanza dei bottoni, i potentati partitici al governo e il P.C.I. cominciarono a preoccuparsi, nel timore di essere sbalzati di sella. Il  “ mandato di comparizione” per Sogno e Pacciardi, nel 1974 in realtà si concluse in un buco nell’acqua che di fatto disgregò il consenso creato attorno all’UDNR. Sogno si recò da quel giudice che lo fece ammanettare. Trascorse alcuni mesi in galera, prima di essere rilasciato. Racconta Pacciardi che quel mandato di comparizione a lui non venne mai ratificato, e si dichiarò pronto a subirne le conseguenze. Quella mossa fece evaporare i consensi ottenuti nel giro di pochi mesi. Tuttavia Nuova Repubblica operava ancora, ma non con la forza di prima. Solo nel 1978 il fascicolo venne archiviato: “ Non luogo a procedere perché il reato non sussiste” scrisse quel giudice nel faldone. Nel contempo alcune personalità del P.R.I., in Romagna e nel Lazio, si erano attivate per ricucire il vecchio strappo del 1963. Nel 1979 muore Ugo La Malfa. Il romagnolo Stelio De Carolis va a trovare Pacciardi che si trovava a Castrocaro, in vacanza e gli chiede la disponibilità di tornare nel P.R.I. Ad ottobre del 1979 si tenne l’ultimo congresso dell’UDNR che sancì lo scioglimento di questa formazione politica e il ritorno di Pacciardi nel suo partito. Io mi iscrissi, di conseguenza, alla sezione aretina del Partito Repubblicano. 

 Quali sono i valori e i personaggi che la hanno formata, chi sono i riferimenti culturali di Renato Traquandi?

 I valori che fanno parte del mio patrimonio genetico sono il repubblicanesimo mazziniano per primo, poiché ritengo Mazzini l’artefice della democrazia italiana. Poi la figura e l’azione di Garibaldi, che è il più significativo esempio di attaccamento patriottico italiano. Un icona è quella appartenente al mio albero genealogico, il cugino di mio padre Nello Traquandi ( Roma 1898 – Firenze 1968), braccio operativo antifascista di Giustizia e Libertà dei Fratelli Rosselli. Un’altra figura a cui sono legato e il prof. Giovanni Spadolini, giornalista, insegnante, politico e democratico di alto rango. Chiudo ricordando Melchiorre Gioia, l’autore della dissertazione “ Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità degli italiani”, del 1797, che è per me la radice del repubblicanesimo mazziniano.

 Qualche anno fa ha scritto una biografia su Pacciardi. Cosa rende così attuale, il pensiero ed i progetti dell’avvocato grossetano?

 Ho scritto la biografia di Pacciardi nel 2011. Ricorreva il ventesimo anniversario della sua morte. L’Associazione degli Ex Parlamentari organizzò, nella Sala della Lupa a Montecitorio, la commemorazione. Nell’occasione i nipoti di un fratello ed una sorella ( Pacciardi non aveva figli), suoi eredi naturali, donarono all’Archivio della Camera dei Deputati tutto il suo archivio, ricco di documenti, lettere, stampe e fotografie. Per ricordarlo nel modo migliore ho raccolto i suoi scritti, i suoi articoli, i suoi discorsi, selezionandoli in quella biografia, dove riportavo logicamente gli episodi significativi della sua lunga vita, da Giuncarico alla Spagna, a Roma. Oggi sono molti gli studiosi di Storia e di Scienze Politiche che, dotati di senso del dovere e avulsi dalle convulsioni partitocratiche, sentono il bisogno di ristudiare questo periodo di storia recente.

Cosa ne pensa delle critiche al presidenzialismo?

Io ritengo coloro che affermano essere il sistema presidenziale la porta d’accesso alla dittatura siano dei poveri ignoranti, se non in cattiva fede. Non ho la presunzione di affermare che il presidenzialismo sia la panacea risolutiva dei mali italiani, tuttavia so che questa metodologia istituzionale è la più adatta a far funzionare al meglio le regole e le prassi del nostro Paese.