Archivi tag: Tommaso Alessandro De Filippo

Perché l’interventismo Usa, anche se imperfetto, è preferibile al disimpegno

Il precipitoso ritiro dall’Afghanistan e l’invasione dell’Ucraina ci mostrano cosa può significare per il mondo un totale disimpegno Usa

– Tommaso Alessandro De Filippo, ripreso da “Atlantico Quotidiano”

Ayn Rand definì gli Stati Uniti d’America la prima società morale della storia, un posto dove l’individuo potesse giovarsi di libertà personale ed economica, mezzo necessario per essere realmente indipendente e capace di perseguire il raggiungimento dei propri obiettivi di vita, ricercando il benessere e la felicità terrena.

Il rispetto della libertà è ciò che gli Usa hanno il merito di aver provato ad esportare ed espandere. La tutela dei diritti umani ha rappresentato a tratti uno degli obiettivi della politica estera americana, capace a volte di liberare altri popoli da dittature e regimi totalitari.

Le critiche di ingerenza

Una politica estera però alla quale non sono state risparmiate critiche feroci e accuse di “ingerenza” negli affari interni di altri stati. Critiche e accuse sempre più frequenti nelle opinioni pubbliche occidentali, pronte a scaricare la colpa di qualsiasi guerra, ultima quella in Ucraina, su Washington, colpevole di un presunto eccesso di interventismo.

Meglio il disimpegno?

Tuttavia, occorrerebbe chiedersi cosa significherebbe un definitivo disimpegno americano dai teatri strategici globali. Prima di tutto, un notevole rafforzamento della minaccia terroristica e degli appetiti imperialistici di potenze come Cina e Russia, che mirano a scardinare la leadership Usa non per beneficenza, ma per rimpiazzarla con la loro.

L’esempio afghano

L’esempio più recente (e doloroso) di disimpegno Usa è il ritiro da Kabul dell’agosto 2021, seguito agli Accordi di Doha del febbraio 2020, che resterà nella memoria come una immagine di fallimento e impotenza paragonabile al ritiro dal Vietnam.

La scelta di abbandonare l’Afghanistan totalmente, e le modalità del ritiro, la frettolosa fuga del presidente della Repubblica afghana Ashraf Ghani e la pessima gestione delle ultime settimane, hanno rivitalizzato il fronte delle autocrazie, giocando probabilmente un ruolo sia nella scelta di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina, sia nel portare Pechino a credere di poter facilmente prendere Taiwan nel prossimo futuro.

L’abbandono degli afghani, illusi dopo vent’anni di miglioramenti socio-economici e maggiore libertà, ha inferto una ferita difficilmente rimarginabile alla credibilità Usa.

Il sostegno all’Ucraina

Questo dovrebbe aiutare a comprendere la necessità di poter contare sugli Stati Uniti, per quanto imperfetti e criticabili, e su un Occidente compatto per difendere i nostri interessi e i nostri valori.

Il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa è quindi importante per un duplice motivo: perché conferma l’impegno Usa per la sicurezza europea (e non solo), lanciando un chiaro messaggio alle autocrazie che pensano di poter facilmente mettere in atto i loro piani.

E perché ci ricorda che la difesa della democrazia e della libertà non è solo un’opzione morale, ma anche lo strumento attraverso il quale garantire stabilità e pace.

Tentazione bipartitismo: perché Meloni e Letta dovrebbero andare all-in

Le difficoltà dei rispettivi alleati offrono a Pd e Fratelli d’Italia l’occasione di coltivare una vocazione maggioritaria e puntare ad un assetto bipartitico

– Tommaso Alessandro De Filippo (articolo ripreso da Atlantico Quotidiano)

Le elezioni amministrative hanno evidenziato una definitiva inversione dei rapporti di forza interni alle coalizioni. Il centrosinistra si è di fatto ridotto esclusivamente al Partito democratico, che resiste ma non splende elettoralmente e non trae alcun vantaggio dall’alleanza con un Movimento 5 Stelle ormai al canto del cigno.

Nel centrodestra si afferma la leadership di Giorgia Meloni, che scavalca la Lega anche nel profondo nord e guadagna il diritto di puntare alla conquista di Palazzo Chigi da candidata premier dell’intera coalizione.

Cosa hanno in comune Letta e Meloni

Tuttavia, è necessario osservare alcune delle tessere che andranno a delineare il nostro futuro mosaico politico. Fratelli d’Italia e Partito democratico, divisi praticamente su tutto, sono però attualmente le due maggiori forze politiche che senza esitazioni hanno adottato una linea euro-atlantica nella crisi ucraina.

Contrariamente ai rispettivi alleati, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, impegnati a distanziarsi dalle posizioni angloamericane e Nato sulla guerra in Ucraina, nel tentativo disperato di risalire nei sondaggi, i leader di FdI e Pd hanno dimostrato di saper dare garanzie oltreoceano nel caso si trovassero ad occupare i ruoli chiave delle nostre istituzioni nella prossima legislatura.

Che senso ha dunque per Letta e Meloni perseverare con queste alleanze?

Pd e FdI a vocazione maggioritaria

Dal punto di vista del Nazareno, perseverare nell’alleanza con i 5 Stelle risponde allo storico timore di presidiare il fianco sinistro, secondo il motto “nessun nemico a sinistra”, ma l’ipotesi del “campo largo” che esce sostanzialmente bocciata dalle urne, e il quasi totale prosciugamento della forza guidata da Conte, rilanciano la vocazione maggioritaria del Pd.

Sul versante di centrodestra, Salvini e Berlusconi sembrano intenzionati ad unire le forze in vista delle politiche, senza però tener conto del fatto che anche nel caso dovessero raccogliere più consensi della Meloni, difficilmente il leader del Carroccio vedrebbe aprirsi le porte di Palazzo Chigi, visti i suoi errori di posizionamento europeo e internazionale.

L’illusione di Salvini di poter giocare un ruolo da mediatore parallelo a quello del governo italiano in questa crisi ha rianimato i sentimenti filorussi di parte della Lega, temporaneamente sopiti dopo la vicenda dell’Hotel Metropol, che condizionò in parte la crisi di governo dell’estate 2019.

L’indebolimento, e il lento disgregamento, di Forza Italia e Lega, pone Fratelli d’Italia davanti alla prospettiva di progetto politico unico, quel “Partito Repubblicano Italiano”, sulle orme del Gran Old Party, di cui pure aveva parlato in tempi migliori lo stesso Salvini.

Dunque, sia Fratelli d’Italia che il Pd avrebbero interesse – ma chissà se coglieranno l’occasione – a cercare un esito elettorale maggioritario – favorito tra l’altro dal taglio del numero dei parlamentari del 2020 – tale da impedire la necessità di una riedizione della maggioranza che ha sostenuto il governo Draghi, con o senza una figura simile alla guida.

In tal caso, entrambi i partiti, ciascuno nella sua metà campo, avrà l’occasione di completare il percorso verso un assetto bipartitico del sistema politico.

 

 

CI LASCIA L’ON. FRANCESCO NUCARA. UN RICORDO INDELEBILE, COME LA SUA PASSIONE

– Francesco Subiaco

Con l’On. Francesco Nucara se ne va uno degli ultimi grandi maestri della politica italiana, una personalità unica che con la sua esperienza ha lasciato un apprendistato di valori, di idee, una educazione sentimentale alla libertà, alla solidarietà, al senso della patria e delle istituzioni. Una vocazione che ha sempre impersonificato nella sua attività politica durata oltre mezzo secolo, sia come parlamentare sia come viceministro e membro delle istituzioni, portando avanti il simbolo dell’edera e gli ideali mazziniani che sin dalla giovinezza lo hanno avvicinato al Partito Repubblicano Italiano, di cui è stato per quasi vent’anni il protagonista indiscusso come segretario e presidente. Un galantuomo calabrese, tenace e colto, di umanità penetrante che lo ha reso uno dei principali maestri di molti giovani repubblicani. Affascinando molti giovani con il suo senso pratico, capace di immedesimarsi nella realtà e nei territori, e con la sua immensa cultura, che comprendeva quella visione umanistica e repubblicana dei Mazzini, dei Bovio e dei Pacciardi, di cui lui fu l’ultimo testimone. Conoscendo l’onorevole Nucara ho scoperto cosa significa veramente essere mazziniani. Essere mazziniani vuol dire credere nel popolo ed appartenervi sentimentalmente, senza cedere ai pregiudizi delle masse, è pensare la scuola, l’educazione e la cultura come il pane dell’anima e l’ossigeno della coscienza, è appartenere alla propria terra, come lui apparteneva alla sua Calabria, e in virtù di questo legame vivere la Patria, non come oggetto, ma come sentimento. È pensare alla comunità in nome di essa, lottando affinché le sue parti più popolari possano sognare e realizzare un futuro migliore. Una visione che ha insegnato attraverso la sua azione politica, i suoi saggi, che mostrano qual è il carattere principale di un repubblicano: la fede nell’avvenire. Una fede che ha dimostrato ogni giorno, sostenendo e supportando le nuove generazioni repubblicane, i sogni di chi tramite lui imparava che “Dio e Popolo”, “Libertà e associazione” non sono solo slogan, ma le più sincere verità della vita. Idee che riusciva a caricare del loro massimo significato, mostrandosi più vivo e più spontaneo di tanti personaggi torvi e grigi, molto più giovani di lui, ma solo anagraficamente. Di lui conservo gelosamente due ricordi indelebili. Il primo di un incontro in un ristorante romano con alcuni amici della giovanile, in cui ci raccontò i dettagli di 50 anni di battaglie e lotte, in cui potei conoscerne la forte convivialità, ma anche la silente riservatezza. Mentre il secondo relativo alla nostra ultima intervista, in occasione dell’anniversario dell’Apostolo. In quell’occasione ci ritrovammo nella sua splendida casa di fronte all’Anfiteatro Flavio. Parlammo di Mazzini, del futuro, degli autori repubblicani, soprattutto di Giovanni Bovio, che mi aveva fatto scoprire lui, peraltro, rimarcando l’attualità di Mazzini e l’importanza di un pensiero sociale capace di farsi anche pensiero civile. Alla fine di quella lunga intervista ci salutammo e mi regalò un testo, curato dal nipote, Alessandro Massimo Nucara, col titolo “I repubblicani all’Assemblea costituente”, per scoprire che cosa volesse dire “essere Mazziniani con la M maiuscola”. Oggi posso dire, ripensando all’On. Nucara, che so cosa voglia dire esserlo, e sicuramente lo devo a lui.

La redazione di Generazione Liberale, l’autore Francesco Subiaco ed i giovani repubblicani Tommaso Alessandro De Filippo, Francesco Peirce e Francesco Corona inviano la massima vicinanza alla famiglia Nucara per la loro perdita.

LORENZO PREGLIASCO: “PUTIN HA SOTTOVALUTATO LA COMPATTEZZA OCCIDENTALE. ORA GLI ITALIANI VEDONO LA RUSSIA COME UNA MINACCIA REALE”

– Tommaso Alessandro De Filippo

Abbiamo intervistato Lorenzo Pregliasco, fondatore di YouTrend, volto televisivo ed esperto sondaggista ed analista italiano. Autore del testo “Benedetti Sondaggi”, Pregliasco svolge un ruolo informativo e comunicativo importante in un momento storico così complesso ed instabile, dove gli stravolgimenti anche geopolitici impattano notevolmente sulla percezione e gli interessi dei cittadini italiani.

Dott. Pregliasco, quali sono le sue considerazioni in merito all’evoluzione del conflitto tra Russia ed Ucraina? Crede che l’Occidente stia attuando una strategia di risposta compatta ed efficace verso il nemico russo?

Ritengo che la Russia abbia sottovalutato la capacità di risposta occidentale, scommettendo erroneamente sulla disgregazione politica dell’Unione Europea e sulla distanza tra essa e l’alleato USA. Nel mio articolo pubblicato sul primo numero della rivista Domino, mensile di geopolitica diretto da Dario Fabbri ed edito da Enrico Mentana, spiego come l’Occidente si sia allontanato dalla figura di Putin dall’inizio del conflitto in Ucraina. Le azioni politiche del Cremlino hanno prodotto una riluttanza nelle nostre opinioni pubbliche e nel nostro tessuto popolare. In Italia si è rapidamente allargato l’indice di cittadini che disprezzano la figura di Vladimir Putin e le istituzioni russe, dimostrandosi intenzionati ad agire contro di esse. C’è un indice favorevole verso lo strumento delle sanzioni europee, mentre l’approvazione è inferiore sull’invio di armi ed equipaggiamenti ed è bassa sull’ipotesi di inviare militari nostrani a combattere direttamente in Ucraina. Resta da vedere se questo sentimento di paura che identifica Putin e la Russia come una minaccia concreta reggerà nel tempo: dipenderà dalle conseguenze economiche delle sanzioni e dall’evolversi della guerra.

Come prospetta le elezioni politiche italiane del 2023? Che riscontro elettorale si attende?

Sarebbe impossibile ad un anno di distanza dalle elezioni politiche prevedere un esito ed uno scenario esatto. Il fattore chiave della legislatura attuale è stato quello dell’imprevedibilità, dato che dal 2018 in poi abbiamo assistito a stravolgimenti, inversioni di tendenza e nuove alleanze che nessuno si sarebbe mai aspettato. Il mondo in generale sta dando ampi segnali di instabilità da qualche anno a questa parte, pertanto in un anno sarà possibile assistere ad ulteriori novità politiche e sociali in Italia. Quel che sembra probabile è la possibilità di assistere ancora in futuro a governi di larghe intese, frutto di accordi politici ed istituzionali figli della necessità. Con il taglio dei parlamentari in vigore dalla prossima legislatura le maggioranze politiche, soprattutto al Senato, potrebbero essere piuttosto risicate, così da determinare nuovi accordi tra forze parlamentari che in campagna elettorale si son date battaglia.

Quali sono i principali interessi degli italiani in ambito politico?

In questo biennio pandemico la salute è balzata al primo posto tra gli interessi degli italiani, come pienamente comprensibile. In linea generale il nostro è un popolo abbastanza concreto, attento alle necessità quotidiane come quella di trovare lavoro e realizzarsi economicamente e professionalmente. L’interesse verso l’ambiente si è parecchio incrementato negli anni recenti, anche se subisce il grande solco generazionale tra i giovani elettori, che pongono l’ambientalismo al primo posto, e gli elettori adulti, meno interessati e coinvolti in questa dinamica. Pertanto, nonostante l’incremento riscontrato l’ambiente è ancora “battuto” dall’interesse lavorativo per la maggior parte dei cittadini del nostro paese.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Al primo posto c’è quello di continuare a migliorarmi, proseguendo ed ampliando i contesti di mio interesse umano e lavorativo. Scrivere e pubblicare il mio testo “Benedetti Sondaggi” mi ha impegnato abbastanza, ma al tempo stesso dato soddisfazione. Inoltre, la realtà di YouTrend si è ormai strutturata negli anni ed ha intrapreso collaborazioni importanti con associazioni, ambiti istituzionali ed aziende che commissionano lavori ed indagini. Questo ha permesso incremento e perfezionamento professionale per coloro che lavorano con noi, soprattutto in ambito comunicativo e di analisi dei dati.

 

Profughi ucraini: la lezione del Regno Unito sul business dell’accoglienza


– Tommaso Alessandro De Filippo


In occasione del conflitto tra Russia ed Ucraina è tornata di stretta attualità la problematica dell’immigrazione, con milioni di profughi già giunti in Europa dallo scoppio della guerra, che saliranno consistentemente di numero nei prossimi mesi.

La lezione del Regno Unito sul business dell’accoglienza

Pertanto, una nuova ondata migratoria ha rianimato il dibattito sulle modalità con cui accogliere i profughi, che in questo caso sono in fuga da una guerra vera e meno strumentalizzabili dal mainstream e dalla sinistra, come accaduto con tutti coloro che sono arrivati negli anni dal Nord Africa. Pertanto, è utile osservare l’atteggiamento che il Regno Unito sembra aver intrapreso in questa crisi umanitaria, dagli immancabili buonisti prontamente criticato ma probabilmente efficace.

In UK bonus economici per accogliere in casa i rifugiati ucraini

Infatti, l’UK con le regole stabilite in seguito alla Brexit si è distanziato dalle normative europee, potendo di fatto scegliere autonomamente le politiche in materia di immigrazione, senza incappare in sanzioni e richiami da Commissioni e governi di turno. La scelta del governo britannico è quella di invogliare concretamente la borghesia inglese ad accogliere uno o più rifugiati provenienti dall’Ucraina, stanziando dei bonus economici annuali per chi deciderà di ospitarli. In tal modo chi ne ha possibilità potrà farsi carico dei rifugiati non solo per sano spirito d’altruismo ed amore verso il prossimo, ma anche per interesse fattuale. Al netto di moralismo e buonismo che imperversano nelle nostre società, dinanzi alle problematiche politiche è il pragmatismo la condizione necessaria per l’affronto di esse.

In Italia un sistema simile smantellerebbe il giro di affari dell’accoglienza

Una misura simile a quella britannica in Italia produrrebbe numerosi beneficiin primis favorirebbe anche qui l’accoglienza da parte dei cittadini borghesi, ma soprattutto permetterebbe il superamento dell’apparato pubblico e politicizzato dell’accoglienza. I profughi finirebbero distanti dalla gestione delle cooperative, delle onlus e dei sindacati di turno che hanno sperperato spesso denaro pubblico per i propri interessi personali. Una speranza che sarà però di difficile realizzazione, dato che la mentalità italiana ed europea, mixata con gli interessi elettorali ed economici di chi gestisce “l’accoglienza” probabilmente prevarrà sugli esempi ragionevoli.

L’indecifrabile dragone: quante partite gioca davvero la Cina in questo conflitto?



– Tommaso Alessandro De Filippo

Abbiamo spesso discusso della Cina e delle sue mire in ambito geopolitico, raccontandone i progressi economici e, soprattutto, militari compiuto nell’ultimo decennio. In occasione dello scoppio del conflitto tra Russia ed Ucraina la posizione del Dragone è stata sin dal principio oggetto di analisi ed osservazioni numerose, con chiavi di lettura piuttosto differenti a seconda degli osservatori.
Non possedendo una sfera magica ci è impossibile definire con certezza i comportamenti del prossimo futuro e dei prossimi anni che Pechino avrà nei confronti dell’Occidente, in uno scenario globale sempre più complesso e ricco di continui colpi di scena. Quel che sappiamo con certezza è che già da anni l’Occidente non ha più il monopolio della finanza mondiale, che gli ha permesso in passato di rappresentare l’unico contenitore economico di cui potersi giovare per qualsiasi nazione estranea al continente americano ed europeo.

Alle origini dell’espansione della Cina

La stessa Cina deve la propria espansione principalmente alle aperture commerciali ricevute durante la presidenza USA di Richard Nixon (che la favorì in funzione anti URSS) e poi all’ingresso nel WTO, che le spalancò il mondo del nostro commercio, utilizzato magistralmente per aumentare la propria potenza economica. Tuttavia, Pechino ha da tempo maturato la decisione di “disconnettersi” dal nostro sistema economico e tecnologico, decidendo saggiamente di sviluppare il proprio piano di uscita diluendolo nel tempo, in attesa del momento effettivo di autonomia economica. Infatti, ad oggi la Cina ha ancora una necessità irrinunciabile di esportare in Occidente prodotti commerciali e soprattutto materie prime come il Litio (estratte dai territori del sudamerica contesi con gli USA) che sono fondamentali per favorire la tanto ricercata riconversione verde ed elettrica. Mira che, connessa con la colonizzazione di buona parte dell’Africa e con il piano d’inglobare l’Eurasia le sta lentamente riuscendo.

Il patto con L’Iran

Ne è dimostrazione il patto stipulato nel 2021 con l’Iran, che comprende la creazione di una nuova banca mondiale in Medio Oriente nei prossimi anni. Teheran è infatti un partner fondamentale: contrasta Israele nel territorio e sta riuscendo a stipulare nuovamente un accordo sul nucleare con la presidenza di Joe Biden. Questo scenario comprometterà irrimediabilmente gli Accordi di Abramo stipulati da Donald Trump, dato che la collaborazione tra USA e Teheran di fatto azzera le relazioni statunitensi con l’Arabia Saudita, nemico per definizione dell’Iran, che fino ad oggi si era giovata del supporto militare americano nello Yemen, dove fronteggia la fazione degli Houthi, direttamente collegata a Khamenei ed al governo iraniano.
Tra l’altro, nel trattato tra USA ed Iran sul JPCOA pesa notevolmente la mediazione russa sviluppata fino agli scorsi mesi, motivazione principale per cui Joe Biden, pur sapendo del probabile conflitto in Ucraina non ha applicato deterrenza alcuna verso Mosca. Uno scenario di scontro tra potenze e polveriera mediorientale in cui Pechino si giova ed inserisce come attore protagonista.

Pechino e Mosca

Tuttavia, tra i tasselli necessari per riuscire a creare un continente geopolitico alternativo e capace di competere con il nostro c’è senza dubbio la Russia. Pechino ha da anni supportato Mosca nell’aggirare le nostre sanzioni economiche, pagandone parte del debito e stringendo un rapporto economico che in questa fase va espandendosi. Ad esempio, prima dell’inizio del conflitto Pechino aveva già garantito a Mosca l’acquisto di tutto il gas ed il petrolio che sarebbe stato colpito dalle sanzioni occidentali, con la promessa annessa di pagarlo in Euro. Motivazione che evidenzia come Xi Jinping fosse a conoscenza del piano di Vladimir Putin e probabilmente nel corso della visita dello Zar a Pechino del 4 febbraio scorso avesse richiesto solo l’attesa della fine delle Olimpiadi invernali, momento di propaganda per il regime cinese da non marginalizzare con l’attenzione mediatica rivolta esclusivamente ad un conflitto scoppiato nel cuore d’Europa.

La guerra in Ucraina conviene alla Cina?

Questo porta a compiere un’osservazione necessaria, chiedendoci se alla Cina questa guerra convenga realmente. Sul piano economico imminente assolutamente no. Come ribadito poc’anzi, la Cina ha necessità di esportare in Occidente e non ha al momento la convenienza ad affrontare una disconnessione dal nostro sistema economico, per cui ancora non è pronta. Inoltre, nella contesa nazione Ucraina passa proprio il filo diretto delle “Vie della Seta” che agganciano Pechino alle nostre economie nazionali. Motivazione per cui la guerra le reca un danno economico proficuo nell’immediato e la espone al rischio di ripercussioni finanziarie da parte dell’Occidente, che ritenendola co-belligerante con Mosca potrebbe decidere di sanzionarla, danneggiandola consistentemente.
Ma allora perché la Cina non prova a fermare Putin? Probabilmente per una motivazione più semplice del previsto: pur perdendo nell’immediato dei guadagni finanziari, Pechino sta cogliendo l’opportunità per ripulire la propria reputazione internazionale, provando ad apparire come papabile mediatrice distante dalle logiche imperiali delle altre nazioni. Inoltre, un conflitto in piena Europa ricaccia irrimediabilmente gli USA e la UE nei blocchi della guerra fredda, distraendoli dalle operazioni geopolitiche che Pechino vuol condurre a lungo termine. Infatti, avvicinare una Russia sanzionata pesantemente, sull’orlo del default economico, considerata un paria dalla quasi totalità dell’Occidente è un vantaggio cospicuo per la Cina. Sostenendola economicamente e, se necessario, militarmente potrà inglobarla nel prossimo futuro, o almeno considerarla senza alcun dubbio un partner minore dell’alleanza.

La questione indiana

Inoltre, la Russia è fornitrice della quasi totalità degli armamenti all’India, ex colonia britannica e storico alleato occidentale, membro addirittura di Aukus, l’alleanza militare guidata dal Regno Unito e gli USA con l’Australia ed appunto l’India proprio in chiave anticinese. L’astensione dell’India sul voto alle sanzioni a Mosca rischia di allontanarla dall’Occidente, avvicinandola a Putin e, di conseguenza, conducendola a più miti consigli sulle azioni da compiere contro la Cina negli anni a venire. Inoltre, sommando India, Russia, Cina e Pakistan (le principali nazioni contro le sanzioni) raggiungiamo un numerico di circa 3 miliardi di persone. Quasi mezzo mondo contrario pronto se necessario a creare un contesto alternativo volto  a contrastare la supremazia geopolitica occidentale. Uno scenario che potrebbe delinearsi relativamente presto e che, complice l’attuale debolezza di UE e presidenza di Joe Biden, spingerà sempre più i rivali ad avanzare azioni militari per mettere alla prova le capacità di reazione occidentali. Oggi l’Ucraina è un test per il riassetto degli equilibri geopolitici mondiali, magari domani sarà Taiwan a fungere da prova finale per la Cina per provare lo scacco matto nei confronti degli USA.
Tommaso Alessandro De Filippo 

Draghi, altro che “credibilità internazionale”: anche in questa crisi l’Italia non conta nulla


-Tommaso Alessandro De Filippo


Roma, 13 mar – Ricordate le chilometriche interviste e dichiarazioni di numerosi esponenti dell’agorà mediatica nei giorni dell’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi? Un fiume di entusiasmo teoricamente motivato dalla “credibilità istituzionale e geopolitica” che l’ex presidente della BCE avrebbe fornito all’Italia con il proprio arrivo.

Draghi e la credibilità dell’Italia

Pochi osservatori fecero notare che Draghi avrebbe avuto l’unico ruolo di essere garante della stabilità politica, per rasserenare la UE sull’appoggio incondizionato dell’Italia a misure come la ratifica del MES (il cappio al collo che Bruxelles sogna di imporci da anni) e la famigerata riconversione verde, tragicomicamente stravolta dalla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Chiunque esprimesse dubbi sulla presunta immagine positiva che l’Italia avrebbe ritrovato venne tacciato di complottismo e negatività, marginalizzato ed isolato nel dibattito mainstream. Eppure, alla prima vera grande crisi geopolitica l’inconsistenza italiana in politica estera e l’inutilità di Draghi frustrato a Palazzo Chigi sono evidenti. Nelle ore precedenti l’inizio della guerra Draghi ancora paventava un viaggio a Mosca volto ad incontrare Putin ed “intavolare la via diplomatica per risolvere la crisi”. I fatti hanno smentito il premier, tra l’imbarazzo nazionale.

Le solite esclusioni

Tuttavia, anche a conflitto in corso Draghi è stato escluso da tutti o quasi i vertici istituzionali e diplomatici: in UE sono ancora Francia e Germania quelle che, almeno comunicativamente, possono operare in ambito geopolitico con l’immagine di rappresentare una pur minima potenza geopolitica. Non a caso i vertici li tengono autonomamente e, quando ritengono di dover ampliare la compagine delle nazioni presenti ai tavoli diplomatici, scelgono nazioni maggiormente credibili della nostra come Spagna, Polonia o Regno Unito, che ha lasciato la UE tra gli attacchi e le ironie di larga parte degli osservatori. Anche sul piano extraeuropeo le attenzioni verso l’Italia a guida Draghi sono prossime allo zero, dato che Biden e tutta la presidenza USA non hanno mai preso in considerazione l’Italia sul piano diplomatico per provare a risolvere la crisi, affidandosi fino ad ora prevalentemente allo storico e radicato alleato britannico.

Come se non bastasse il presidente ucraino Zelensky dal suo bunker ha spesso rimarcato la vicinanza ideologica e politica alle singole nazioni europee ed occidentali, citando però raramente l’Italia, piuttosto polemizzando ironicamente con Draghi nelle scorse settimane, in occasione della nota telefonata mancata tra il premier ed il presidente ucraino. Un mix di inconcludenza ed impalpabilità in ambito internazionale che annulla ancor più il peso geopolitico dell’Italia, nonostante la presenza a capo del governo di una figura di “alto profilo” che all’estero però viene percepita con una considerazione alquanto limitata.

CON IL NUOVO DPCM È ARRIVATO IL GREEN PASS INFINITO


– Tommaso Alessandro De Filippo


È passata inosservata la spiacevole novità contenuta nel Dpcm varato il 2 marzo e pubblicato in Gazzetta, dunque divenuto effettivo, il 4. L’attenzione dell’opinione pubblica e mediatica concentrata comprensibilmente sulla guerra in Ucraina ha permesso di introdurre tra la quasi indifferenza generale una proroga apparentemente senza limiti definiti del green pass.

Fine green pass mai?

Certo, gli ennesimi annunci roboanti di esponenti dell’esecutivo promettono una progressiva regressione del certificato verde, che a partire da aprile non dovrebbe essere più necessario almeno per i locali all’aperto. Tuttavia, è necessario denunciare nuovamente come sia assurda la presenza effettiva di esso nella nostra vita sociale, soprattutto se paragoniamo lo status italiano a quello di altre nazioni europee, come il Regno Unito. Inoltre, nel famigerato Dpcm è a chiare lettere esplicitato che il Green Pass sarà automaticamente rinnovato ogni 540 giorni. Pertanto, con cadenza di 18 mesi il nostro cellulare rinnoverà automaticamente quella che si appresta a diventare una certificazione necessaria anche nell’epoca post-pandemica. Non è in nessuna parte del decreto contenuta con chiarezza la tempistica per la cancellazione dello strumento e neanche sono chiarite le condizioni che potrebbero impedirne il rinnovo. Infatti, se si ritiene necessaria la permanenza del green pass si intende anche proseguire per anni un richiamo costante della vaccinazione? Oppure, si potrà utilizzare il ricatto dell’annullamento di questo strumento per ogni individuo che non rispetti i parametri di sicurezza decisi dal governo attuale e futuro?

Chiarezza zero

È ovvio che la mancanza totale di chiarimenti su questi aspetti apra un vuoto normativo eccezionale e piuttosto grave: ci prepariamo ad una digitalizzazione della nostra democrazia senza aver discusso prima i parametri che essa dovrà sostenere? E cosa succederà in una società esclusivamente tecnologica se il QR Code si colorerà di rosso piuttosto che di verde? La convinzione sarebbe quella della necessità di incentrare il futuro della democrazia e del progresso su delle basi di libertà inalienabili. Eppure, i rischi derivanti dal trascurare delle garanzie doverose non appaiono interessare la maggior parte degli osservatori. Merito effettivo è stato in questa fase del quotidiano La Verità, il primo a rilanciare i rischi derivanti dall’introduzione del Dpcm, tra l’indifferenza di troppi.

Tommaso Alessandro De Filippo