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IL 2 GIUGNO, LA NOSTRA DATA STORICA

– Francesco Subiaco

Il 2 giugno è una data storica per la tradizione mazziniana, poiché non segna solo il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, come sancito a seguito del referendum del 1946, ma rappresenta, soprattutto, l’inizio di una educazione nazionale, di una pedagogia morale basata sulla democrazia e sui valori della Costituzione, l’inizio di un cammino democratico e popolare che è il cuore pulsante del repubblicanesimo. Una ricorrenza che i repubblicani romani hanno voluto celebrare sulla terrazza del Gianicolo di fronte al muro della Costituzione della Repubblica Romana. All’evento, organizzato dall’unione Romana del Partito Repubblicano Italiano e dal segretario Michele Polini, erano presenti, Andrea d’Angelo (Responsabile relazioni Esterne PRI Roma),  Marco Cappa (Coordinatore Romano Italia Viva), Francesca Leoncini (Consigliere Comunale Italia Viva), l’Ambasciatore Bulgaro in Italia Todor Stoyanov ed una delegazione dei repubblicani romani e dell’ambasciata bulgara. Durante la celebrazione della festa della Repubblica il segretario Polini ha ribadito l’importanza dei valori costituzionali e la centralità del ruolo dei principi repubblicani per lo sviluppo democratico del paese. Il segretario ha poi aggiunto che: “L’iniziativa di oggi sancisce ancora una volta la volontà e l’impegno del popolo italiano nel perseguire e mantenere vivi i valori della Costituzione e della Repubblica, che affondano i loro principi nelle idee della Repubblica Romana. Celebrando il 2 giugno gli italiani mostrano di voler onorare quei principi sui cui si fonda la nostra Costituzione e che sono il cardine della Repubblica”. Dopo la celebrazione dei valori patriottici costituzionali la delegazione repubblicana in collaborazione con l’ambasciatore bulgaro Todor Stoyanov, hanno ricordato, di fronte alla statua del rivoluzionario laico bulgaro Petko Kirjakov Vojvoda, i combattenti garibaldini per l’indipendenza dei popoli, unendosi nella comune vicinanza negli ideali fondati su democrazia e libertà, che hanno una comune radice nelle visioni del risorgimento. Ideali universali che a distanza di anni da quel fatidico 1849, fanno ancora sventolare la bandiera dell’edera u un’Italia unitamente repubblicana

CI LASCIA L’ON. FRANCESCO NUCARA. UN RICORDO INDELEBILE, COME LA SUA PASSIONE

– Francesco Subiaco

Con l’On. Francesco Nucara se ne va uno degli ultimi grandi maestri della politica italiana, una personalità unica che con la sua esperienza ha lasciato un apprendistato di valori, di idee, una educazione sentimentale alla libertà, alla solidarietà, al senso della patria e delle istituzioni. Una vocazione che ha sempre impersonificato nella sua attività politica durata oltre mezzo secolo, sia come parlamentare sia come viceministro e membro delle istituzioni, portando avanti il simbolo dell’edera e gli ideali mazziniani che sin dalla giovinezza lo hanno avvicinato al Partito Repubblicano Italiano, di cui è stato per quasi vent’anni il protagonista indiscusso come segretario e presidente. Un galantuomo calabrese, tenace e colto, di umanità penetrante che lo ha reso uno dei principali maestri di molti giovani repubblicani. Affascinando molti giovani con il suo senso pratico, capace di immedesimarsi nella realtà e nei territori, e con la sua immensa cultura, che comprendeva quella visione umanistica e repubblicana dei Mazzini, dei Bovio e dei Pacciardi, di cui lui fu l’ultimo testimone. Conoscendo l’onorevole Nucara ho scoperto cosa significa veramente essere mazziniani. Essere mazziniani vuol dire credere nel popolo ed appartenervi sentimentalmente, senza cedere ai pregiudizi delle masse, è pensare la scuola, l’educazione e la cultura come il pane dell’anima e l’ossigeno della coscienza, è appartenere alla propria terra, come lui apparteneva alla sua Calabria, e in virtù di questo legame vivere la Patria, non come oggetto, ma come sentimento. È pensare alla comunità in nome di essa, lottando affinché le sue parti più popolari possano sognare e realizzare un futuro migliore. Una visione che ha insegnato attraverso la sua azione politica, i suoi saggi, che mostrano qual è il carattere principale di un repubblicano: la fede nell’avvenire. Una fede che ha dimostrato ogni giorno, sostenendo e supportando le nuove generazioni repubblicane, i sogni di chi tramite lui imparava che “Dio e Popolo”, “Libertà e associazione” non sono solo slogan, ma le più sincere verità della vita. Idee che riusciva a caricare del loro massimo significato, mostrandosi più vivo e più spontaneo di tanti personaggi torvi e grigi, molto più giovani di lui, ma solo anagraficamente. Di lui conservo gelosamente due ricordi indelebili. Il primo di un incontro in un ristorante romano con alcuni amici della giovanile, in cui ci raccontò i dettagli di 50 anni di battaglie e lotte, in cui potei conoscerne la forte convivialità, ma anche la silente riservatezza. Mentre il secondo relativo alla nostra ultima intervista, in occasione dell’anniversario dell’Apostolo. In quell’occasione ci ritrovammo nella sua splendida casa di fronte all’Anfiteatro Flavio. Parlammo di Mazzini, del futuro, degli autori repubblicani, soprattutto di Giovanni Bovio, che mi aveva fatto scoprire lui, peraltro, rimarcando l’attualità di Mazzini e l’importanza di un pensiero sociale capace di farsi anche pensiero civile. Alla fine di quella lunga intervista ci salutammo e mi regalò un testo, curato dal nipote, Alessandro Massimo Nucara, col titolo “I repubblicani all’Assemblea costituente”, per scoprire che cosa volesse dire “essere Mazziniani con la M maiuscola”. Oggi posso dire, ripensando all’On. Nucara, che so cosa voglia dire esserlo, e sicuramente lo devo a lui.

La redazione di Generazione Liberale, l’autore Francesco Subiaco ed i giovani repubblicani Tommaso Alessandro De Filippo, Francesco Peirce e Francesco Corona inviano la massima vicinanza alla famiglia Nucara per la loro perdita.

ATTUALIZZARE MAZZINI DOPO 150 ANNI: IL PATRIOTTISMO COME EREDITÀ INCANCELLABILE

– Tommaso Alessandro De Filippo

Cosa resta di Giuseppe Mazzini 150 anni dopo la sua morte? Ce lo si chiede in un’epoca avversata dall’ostinata voglia di cancellare e modificare la storia ed il pensiero delle figure che essa ci ha donato, con le loro battaglie ideologiche e politiche che sembrano stonare rispetto all’attualità torbida che affligge il nostro tempo. L’importanza del sacrificio, compiuto nell’ottica della convinzione delle proprie idee e nella necessità di rivoluzionare delle società sbagliate non appare più una convinzione maggioritaria. Anche in ragione di ciò, ricordare adeguatamente i volti eroici del nostro passato appare difficilmente perseguibile senza sfociare nella banalità e nel giudizio negativo che i cultori della cancellazione di radici ed ideali potrebbero emettere. Eppure, in questo ambiente sociale ostile resta fondamentale non arrendersi dinanzi ad una deriva pur prevalente, certi dell’importanza di attualizzare gli aspetti fondamentali che caratterizzano il valore del sacrificio e del patriottismo mazziniano. In primis, con il ricordo di Giuseppe Mazzini rilanciamo una testimonianza di sacrificio, impegno e determinazione compiuto per l’utopia realizzata dell’Italia unita. Quel desiderio di fratellanza di un popolo bisognoso del superamento delle divisioni si è tramutato in realtà grazie alla perseveranza degli eroi e dei martiri risorgimentali. Tuttavia, in questo momento storico, dove tensioni geopolitiche e scontro tra potenze determineranno i nuovi equilibri mondiali, poter usufruire dell’unità nazionale e del sentimento patriottico è l’ancora a cui aggrapparsi. Questo condiziona positivamente il nostro pur complesso cammino nell’attualità: essere consapevoli del passato dovrà motivarci per costruire adeguatamente il futuro. L’amore per la verità, la libertà ed i doveri sociali, condizioni necessarie per l’avvento di una vera democrazia, sono oggi il baluardo da difendere contro l’avanzata di autocrazie e regimi che annullerebbero la nostra eredità storica. Conoscere e ricordare le radici mazziniane impiantate al tempo sono il miglior gesto di riconoscenza verso le sue idee. Ritenere che siano mero inchiostro dei libri di storia non meritevoli di attualizzazione sarebbe il primo passo per vanificare il futuro.

RENATO TRAQUANDI RACCONTA IL DE GAULLE ITALIANO

Pacciardi fu uno dei personaggi più interessanti della politica italiana del Novecento. Segretario storico del Partito Repubblicano, promotore di una riforma presidenzialista della Repubblica italiana, combattente durante la guerra civile spagnola contro le truppe franchiste, tra i principali personaggi della resistenza e della ricostruzione dell’Italia post bellica. Antifascista e anticomunista, mazziniano e presidenzialista. Tra De Gaulle e Garibaldi, il PRI e L’Udnr. Segretario in esilio del partito repubblicano durante il ventennio fino a diventarne un eretico a seguito della segreteria La Malfa, che portò all’uscita di Pacciardi dal pri. Per ricordare una figura così complessa e straordinaria abbiamo intervistato Renato Traquandi, aretino che ha seguito il “De Gaulle italiano” sia nell’esperienza presidenzialista dopo la storica rottura col centro sinistra e i lamalfiani fino al suo reinserimento nel pri. Attualmente Traquandi, repubblicano e pacciardiano, è un fiero sostenitore del movimento dell’edera e attraverso biografie e l’attività del sito di “Sentieri repubblicani” ne tiene viva la memoria e i riferimenti culturali.

 Come si è avvicinato alla figura di Randolfo Pacciardi?

 Fin da ragazzo avevo sentito parlare di lui, grazie a mio padre e a suo cugino Nello Traquandi, attivista fiorentino di Giustizia e Libertà. Addirittura in una occasione fui presente ad un suo comizio. Una domenica di maggio del 1954 mio padre mi portò con se a Roma, in visita al fratello di mia madre, che a Roma viveva e lavorava. Usciti dalla stazione ferroviaria ci dirigemmo verso Via Nazionale. Accanto al porticato della Piazza c’era un palco, dove l’oratore stava intrattenendo una folla numerosa, molte persone portavano bandiere tricolore e dell’edera. L’oratore era Pacciardi e l’argomento era Trieste, ancora occupata e divisa. Ci trattenemmo per circa un quarto d’ora poi mi padre si incamminò verso Via Taranto, dove abitava mio zio, e mi trascinò via. Conobbi De Martini, Accame, Scioscioli, Mita e Vitangeli. La prima volta che strinsi la mano di Pacciardi la ricorderò per sempre. Era un uomo alto e grosso, fumava una sigaretta dopo l’altra. Quando parlava, chi lo ascoltava pendeva dalle sue labbra. Imparai cosa significava possedere carisma e trasmettere fiducia, frequentando lui e tutti gli altri. Mi venne chiesto di dare loro una mano ad organizzare convegni, conferenze e comizi, cosa che feci con entusiasmo. Cominciò la mia esperienza nell’UDNR.

 L’UDNR è stato uno dei partiti che più ha impersonato una volontà di riforma del nostro paese in senso presidenzialista. Che ricordo ha di questa esperienza? Ci può raccontare qualche aneddoto?

 Nel suo discorso alla Camera del 1963, nel quale dichiarava la sua contrarietà al centro sinistra, come forma di governo di questo paese (la qual cosa gli costò la carriera politica), Pacciardi ebbe a dire che il socialismo italiano, capeggiato da Pietro Nenni, non era ancora pronto, per entrare “nella stanza dei bottoni” e  ribadì il concetto, caro al costituzionalista fiorentino Maranini, dei guasti prodotti dalla “partitocrazia”. All’inizio non era solo, con lui c’era un gruppo di deputati della democrazia cristiana e un altro di socialdemocratici. La regola della “disciplina di partito” prevalse e Pacciardi si ritrovò da solo. Restò parlamentare fino al 1968, nel gruppo misto. Quando venne applicata la norma costituzionale che prevedeva le Regioni, l’U.D.N.R. ebbe la fortuna di eleggere qualche consigliere, dalla Lombardia alla Sicilia. Eravamo molto attivi in Romagna, in Toscana ( Carrara), nelle Marche, nel Lazio ed in Sicilia. Organizzavamo convegni, dibattiti, conferenze, che erano molto seguite, discutendo con professori universitari le nostre teorie presidenzialistiche. Nel 1974 anche l’ambasciatore Edgardo Sogno, romantica figura di partigiano liberale, iniziò a partecipare alle nostre iniziative, portando nuova linfa. Uno dei principi propugnati da Giuseppe Mazzini era: “ Capitale e lavoro nelle stesse mani”. Pacciardi diceva anche: “ Potere di rappresentanza istituzionale – Presidente della Repubblica – e Potere esecutivo – Presidente del Consiglio -…. nelle stesse mani”. Dalla famosa stanza dei bottoni, i potentati partitici al governo e il P.C.I. cominciarono a preoccuparsi, nel timore di essere sbalzati di sella. Il  “ mandato di comparizione” per Sogno e Pacciardi, nel 1974 in realtà si concluse in un buco nell’acqua che di fatto disgregò il consenso creato attorno all’UDNR. Sogno si recò da quel giudice che lo fece ammanettare. Trascorse alcuni mesi in galera, prima di essere rilasciato. Racconta Pacciardi che quel mandato di comparizione a lui non venne mai ratificato, e si dichiarò pronto a subirne le conseguenze. Quella mossa fece evaporare i consensi ottenuti nel giro di pochi mesi. Tuttavia Nuova Repubblica operava ancora, ma non con la forza di prima. Solo nel 1978 il fascicolo venne archiviato: “ Non luogo a procedere perché il reato non sussiste” scrisse quel giudice nel faldone. Nel contempo alcune personalità del P.R.I., in Romagna e nel Lazio, si erano attivate per ricucire il vecchio strappo del 1963. Nel 1979 muore Ugo La Malfa. Il romagnolo Stelio De Carolis va a trovare Pacciardi che si trovava a Castrocaro, in vacanza e gli chiede la disponibilità di tornare nel P.R.I. Ad ottobre del 1979 si tenne l’ultimo congresso dell’UDNR che sancì lo scioglimento di questa formazione politica e il ritorno di Pacciardi nel suo partito. Io mi iscrissi, di conseguenza, alla sezione aretina del Partito Repubblicano. 

 Quali sono i valori e i personaggi che la hanno formata, chi sono i riferimenti culturali di Renato Traquandi?

 I valori che fanno parte del mio patrimonio genetico sono il repubblicanesimo mazziniano per primo, poiché ritengo Mazzini l’artefice della democrazia italiana. Poi la figura e l’azione di Garibaldi, che è il più significativo esempio di attaccamento patriottico italiano. Un icona è quella appartenente al mio albero genealogico, il cugino di mio padre Nello Traquandi ( Roma 1898 – Firenze 1968), braccio operativo antifascista di Giustizia e Libertà dei Fratelli Rosselli. Un’altra figura a cui sono legato e il prof. Giovanni Spadolini, giornalista, insegnante, politico e democratico di alto rango. Chiudo ricordando Melchiorre Gioia, l’autore della dissertazione “ Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità degli italiani”, del 1797, che è per me la radice del repubblicanesimo mazziniano.

 Qualche anno fa ha scritto una biografia su Pacciardi. Cosa rende così attuale, il pensiero ed i progetti dell’avvocato grossetano?

 Ho scritto la biografia di Pacciardi nel 2011. Ricorreva il ventesimo anniversario della sua morte. L’Associazione degli Ex Parlamentari organizzò, nella Sala della Lupa a Montecitorio, la commemorazione. Nell’occasione i nipoti di un fratello ed una sorella ( Pacciardi non aveva figli), suoi eredi naturali, donarono all’Archivio della Camera dei Deputati tutto il suo archivio, ricco di documenti, lettere, stampe e fotografie. Per ricordarlo nel modo migliore ho raccolto i suoi scritti, i suoi articoli, i suoi discorsi, selezionandoli in quella biografia, dove riportavo logicamente gli episodi significativi della sua lunga vita, da Giuncarico alla Spagna, a Roma. Oggi sono molti gli studiosi di Storia e di Scienze Politiche che, dotati di senso del dovere e avulsi dalle convulsioni partitocratiche, sentono il bisogno di ristudiare questo periodo di storia recente.

Cosa ne pensa delle critiche al presidenzialismo?

Io ritengo coloro che affermano essere il sistema presidenziale la porta d’accesso alla dittatura siano dei poveri ignoranti, se non in cattiva fede. Non ho la presunzione di affermare che il presidenzialismo sia la panacea risolutiva dei mali italiani, tuttavia so che questa metodologia istituzionale è la più adatta a far funzionare al meglio le regole e le prassi del nostro Paese.