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FRANCESCO NUCARA: “VI SPIEGO L’ATTUALITÀ DI GIUSEPPE MAZZINI”

– Francesco Subiaco

Vita e martirio non sono menzogne. Non sono le “vecchie bugie” di cui si burlano gli scettici, ma il mezzo per compiere una missione, una vocazione. Una missione che fa di ogni essere umano non un mercenario di un padrone o il servo di un’illusione, ma il testimone, l’apostolo di una idea, di una Legge. Perché gli uomini non si distinguono da ciò che mangiano, dal mestiere che compiono, bensì da ciò in cui credono, dal senso che vogliono dare alla loro testimonianza, dal fine che riescono a imprimere sul grande disegno in cui compaiono. Un fine che permette di guardare a Mazzini con la gratitudine e il fascino del grande filosofo dell’avvenire. Che fu, dopo Socrate e Cristo, il terzo Grande Maestro della civiltà, come sottolineò Giovanni Bovio nel suo omonimo saggio. Non il maestro dell’epoca dei cittadini e dell’onore, né il martire degli individui e dell’amore, ma fu il profeta dello Spirito dell’Umanità e del vangelo del dovere. Un Vangelo che non si esprimeva più tramite le scuole dei filosofi e le chiese dei preti, ma tramite i popoli e la Storia e che aveva come comandamenti Dio e Popolo, Libertà e Associazione. Una civiltà dei radicamenti che non superava bensì compiva le precedenti, non facendo tabula rasa dei processi e delle tappe della Coscienza del mondo, ma ultimandola, diffondendo la morale degli uomini, in quanto individui e cittadini, complici delle proprie circostanze, portatori dei propri doveri verso Dio, Patria, Famiglia, quindi verso l’umanità. Un nuovo evo che aveva un mezzo teologico, Dio e Popolo, ed un fine umano, etico, la libertà dei popoli, nella comunità, nel dovere. Un secolo nuovo che non è solo il vano palcoscenico della divinità, o la farsa dei tiranni, ma il campo di battaglia degli uomini, dei popoli liberi che lottano, combattono e credono nella crociata umanitaria che ogni essere umano compie ogni giorno scegliendo la libertà contro il dispotismo, il merito contro il privilegio, la repubblica contro i principati. Una fede laica per cui 150 anni fa, con il falso nome di George Brown, in ossequio all’omonimo eroe antisegregazionista, Mazzini si spense braccato dalle guardie sabaude a Pisa come un criminale, come un reietto, ultimo testimone di una grande causa, ultimo difensore di una civiltà che stava per fondare. Per cui si era sacrificato e aveva pagato bevendo la cicuta della calunnia e della disillusione, il bacio di Giuda del tradimento degli alleati, la crocifissione di essere un perseguitato in quella patria per cui aveva combattuto, per quell’avvenire che voleva libero, popolare, repubblicano. La sua crocifissione fu l’esilio, il suo destino fu il sacrificio per una idea che oggi più che mai si distingue come la filosofia dell’avvenire. Per parlare dell’attualità del pensiero mazziniano e dell’importanza storica dell’Apostolo abbiamo intervistato l’On. Francesco Nucara leader per quasi vent’anni del Partito Repubblicano e testimone di una visione mazziniana e repubblicana che ha promosso in questi anni attraverso una lunga militanza politica, iniziata sin dall’infanzia tramite una educazione laica ed anticonformista, che lo ha portato ad incarnare i valori repubblicani nel suo percorso istituzionale, nella proficua attività saggistica con cui ha promosso una riscoperta della storia del Pri. Un percorso che ha raccontato nel suo recentissimo “Incontri con la politica”(Rubettino), attraverso i ritratti dei protagonisti della storia repubblicana e non solo, e tramite il suo testo più intimo e personale, “Storia di una passione politica(scene e retroscene)”. Testi straordinari in cui la vocazione popolare si fonde col senso delle istituzioni, la militanza con la storia, facendo sentire la presenza di un sentimento mazziniano puro e insostituibile. Per tale ragione abbiamo intervistato Francesco Nucara per la nostra testata.

Quanto è attuale il pensiero mazziniano?

Il pensiero di Mazzini, per chi lo legge e studia è attualissimo, ma è l’attualità, oggi, a non essere attuale. Per esempio, chiunque leggesse la Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa del 1962, potrà ritrovare quelle che erano le idee e le visioni che hanno contraddistinto il pensiero mazziniano, cioè dobbiamo diminuire i consumi privati e far aumentare i consumi sociali, in modo che siano i soldi a far crescere ed avanzare l’uomo e non viceversa. Un aumento dei consumi sociali che non vuol dire avere più beni personali, ma utilizzare le risorse per far sviluppare la sanità, l’istruzione, i trasporti, per permettere al paese di progredire, mettendo al primo posto l’uomo. Ad oggi queste idee non sono attuali perché Mazzini è l’opposto del Reddito di cittadinanza, della situazione di disuguaglianza e immobilismo dell’istruzione italiana, poiché una istruzione nazionale non è fare crescere il numero delle università, ma permettere alle fasce più vulnerabili della società di usufruire di un ascensore sociale nel proprio territorio, non soltanto nelle grandi città. Per Mazzini l’educazione è il pane dell’anima e il lavoro ha un posto fondamentale nel pensiero dell’Apostolo, teorizzando capitale e lavoro nelle stesse mani, tramite la nascita delle cooperative. Queste idee oggi dovrebbero essere di estrema attualità e nella Nota Aggiuntiva, nonostante La Malfa non sia un mazziniano, e questo sta a dimostrare l’universalità del pensiero dell’Apostolo genovese, questi temi si incarnano e trovano spazio in quel progetto di cui oggi avremmo molto bisogno.

Come si potrebbero incarnare oggi i valori mazziniani?

Applicando le idee di Mazzini nella realtà concreta del paese. Se si destinassero i fondi del PNRR a un programma come presentato dalla Nota aggiuntiva, al posto di assegnarle ad opere senza un disegno di ristrutturazione del paese, si colmerebbero le carenze dei consumi sociali, permettendo a tutti i cittadini, soprattutto ai più poveri, di accedere al diritto alla sanità, ai trasporti, alla possibilità di commercializzare i propri prodotti. I pescatori di Mazzara del Vallo, come possono commercializzare i loro prodotti, senza una rete dei trasporti affidabile, ad esempio. Permettendo al Mezzogiorno, come sottolineò Pacciardi tornando a Roma, di non essere soltanto più e soltanto “un serbatoio di questurini per i Savoia”, ma il luogo della rinascita del paese. Mi ricordo, infatti, il mio maestro elementare che ci assegnava come tema abituale di italiano, “ammissione all’arma dei carabinieri”, per molti anni mi chiesi il perché di quella traccia, poi, quando ero già deputato, glielo chiesi. Mi rispose che noi avevamo due alternative di vita, o servire lo stato o affiliarsi alla Ndrangheta, queste erano le opzioni sociali di un bambino di dieci anni in un contesto in cui la scuola non può permettere di far emergere delle possibilità di sviluppo.  Per questo sono importanti i consumi sociali, perché sono quelli che permettono alle classi più deboli di emanciparsi e di partecipare al progresso del paese, ad un operaio di poter avere una risonanza magnetica prima della propria autopsia se non si rivolge ad un privato. Mazzini è attuale soprattutto sul terreno dei diritti della donna, il deputato repubblicano Mirabelli già in pieno ottocento parlava del voto femminile, che si fonda su una idea di uguaglianza sostanziale tra i sessi e sul rispetto delle donne. Le pagine mazziniane sulle donne sembrano più attuali di tante dichiarazioni di molti contemporanei. Egli già a metà dell’Ottocento asseriva: “Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna”. Il problema è che nella società social parlare di Mazzini è come parlare di un personaggio lontano, dimenticato, relegato all’Ottocento, ma in realtà lui fu davvero l’Apostolo dell’umanità. Un predicatore laico che non fu solo il teorizzatore dell’unità d’Italia, ma portatore di una visione democratica e popolare universale. Un pensatore che non viene capito poiché non viene letto.

E lei si sente più mazziniano o più repubblicano?

Io mi sento più mazziniano. Sono nato laico, proveniente da una famiglia modesta, la mia educazione si è formata tramite maestri laici. Essere mazziniano per me vuol dire avere una visione più ampia della società che non si può relegare alla sola dimensione politica. Per questo il pensiero di Mazzini non può rinchiudersi nel Partito Repubblicano, ma attraversa i confini di questa militanza politica. Ciò mi ha portato sempre a fare delle scelte e delle battaglie di minoranza, ad essere laico mentre tutti i miei compagni servivano messa, a far parte di un mondo repubblicano-massonico che mi ha plasmato tramite l’incontro de Dei Doveri dell’uomo, che mi hanno portato ad iscrivermi al partito. I primi repubblicani che ho conosciuto erano infatti mazziniani, come racconto in “Incontri con la politica”, come Emanuele Terrana e Michele Cifarelli, in maniera diversa. Una altra cosa che mi ha avvicinato al Pri fu che tutti i leader storici del partito venivano da una estrazione popolare e da una connessione sentimentale con le classi popolari, Giovanni Conti figlio di un calzolaio, Pacciardi figlio di un manovratore ferroviario, Ugo La Malfa figlio di un poliziotto, erano tutti figli del popolo. Ed il pensiero mazziniano fu, aldilà delle maldestre interpretazioni, soprattutto attivo sulla questione sociale. Mazzini fu un filosofo della scuola sociale, un uomo d’azione, un politico concreto, non un integralista duro e puro senza contatto con la realtà. Le ultime battaglie mazziniane e ideali del partito sono state fatte da Randolfo Pacciardi.

Quali sono le battaglie veramente mazziniane?

Sono quelle che hanno come fine il benessere collettivo, aldilà delle retoriche, degli enunciati del bene comune.

Che cos’è per lei la Patria?

La patria non sono i confini territoriali, come goffamente pensa la Meloni. Per un mazziniano la Patria è un’altra cosa, è un pensiero, è un’idea della vita e del mondo. È la libertà dei popoli contro la servitù degli stati. La patria è il contrario del nazionalismo. Non è la patria che si importa con il massacro e l’imperialismo, quella di Mussolini, che in realtà maschera la legge del più forte. È una cosa che riguarda tutti alla stessa maniera. Per riscoprire tali concetti sarebbe necessaria una scuola che insegni anche il pensiero politico, che non sia un corso di formazione politica, ma che permetta di riscoprire e rendere forti le idee.

Chi fu l’ultimo grande mazziniano?

Mi dispiace per il mio amico Paolo Palma, ma per me l’ultimo fu Giovanni Conti. Che lasciò il Pri, messo in minoranza da Pacciardi per far aderire La Malfa. Conti rappresentò l’ultima vera visione mazziniana, l’ultimo testimone di questa idea. Pacciardi più che l’ultimo mazziniano è la sintesi dei valori risorgimentali. È l’uomo d’azione come Garibaldi e il maestro di pensiero come Mazzini, è il simbolo delle idee del Risorgimento. Perseguitato dai fascisti, esule, combattente per la libertà contro i franchisti in Spagna, osteggiato dai comunisti durante la guerra civile spagnola per la sua volontà di non fucilare gli anarchici, in uno scenario simile a quello di Porzus nella Seconda guerra mondiale. Per Pacciardi, che fu un vero grande patriota, pesa nell’immaginario comune la storia di tanti uomini e giovani di destra, per non dire fascisti, che aderirono a Nuova Repubblica. Si creò una situazione che diede lo spunto ad un magistrato di chiamarlo in causa come eversore. Dopo la persecuzione fascista dovette subire anche quella comunista. Tuttavia, Pacciardi era stato e rimase un combattente per la libertà propria e altrui. Di fame non si muore viceversa si muore senza libertà.

Quali sono i riferimenti culturali di Francesco Nucara?

I miei maestri elementari, i fratelli Crucitti, Mazzini, Pacciardi, De Gasperi, che pure da cattolico ha fatto una gestione laica dello Stato, Giovanni Bovio e Carducci.

 

 

 

 

 

 

ATTUALIZZARE MAZZINI DOPO 150 ANNI: IL PATRIOTTISMO COME EREDITÀ INCANCELLABILE

– Tommaso Alessandro De Filippo

Cosa resta di Giuseppe Mazzini 150 anni dopo la sua morte? Ce lo si chiede in un’epoca avversata dall’ostinata voglia di cancellare e modificare la storia ed il pensiero delle figure che essa ci ha donato, con le loro battaglie ideologiche e politiche che sembrano stonare rispetto all’attualità torbida che affligge il nostro tempo. L’importanza del sacrificio, compiuto nell’ottica della convinzione delle proprie idee e nella necessità di rivoluzionare delle società sbagliate non appare più una convinzione maggioritaria. Anche in ragione di ciò, ricordare adeguatamente i volti eroici del nostro passato appare difficilmente perseguibile senza sfociare nella banalità e nel giudizio negativo che i cultori della cancellazione di radici ed ideali potrebbero emettere. Eppure, in questo ambiente sociale ostile resta fondamentale non arrendersi dinanzi ad una deriva pur prevalente, certi dell’importanza di attualizzare gli aspetti fondamentali che caratterizzano il valore del sacrificio e del patriottismo mazziniano. In primis, con il ricordo di Giuseppe Mazzini rilanciamo una testimonianza di sacrificio, impegno e determinazione compiuto per l’utopia realizzata dell’Italia unita. Quel desiderio di fratellanza di un popolo bisognoso del superamento delle divisioni si è tramutato in realtà grazie alla perseveranza degli eroi e dei martiri risorgimentali. Tuttavia, in questo momento storico, dove tensioni geopolitiche e scontro tra potenze determineranno i nuovi equilibri mondiali, poter usufruire dell’unità nazionale e del sentimento patriottico è l’ancora a cui aggrapparsi. Questo condiziona positivamente il nostro pur complesso cammino nell’attualità: essere consapevoli del passato dovrà motivarci per costruire adeguatamente il futuro. L’amore per la verità, la libertà ed i doveri sociali, condizioni necessarie per l’avvento di una vera democrazia, sono oggi il baluardo da difendere contro l’avanzata di autocrazie e regimi che annullerebbero la nostra eredità storica. Conoscere e ricordare le radici mazziniane impiantate al tempo sono il miglior gesto di riconoscenza verso le sue idee. Ritenere che siano mero inchiostro dei libri di storia non meritevoli di attualizzazione sarebbe il primo passo per vanificare il futuro.