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CI LASCIA L’ON. FRANCESCO NUCARA. UN RICORDO INDELEBILE, COME LA SUA PASSIONE

– Francesco Subiaco

Con l’On. Francesco Nucara se ne va uno degli ultimi grandi maestri della politica italiana, una personalità unica che con la sua esperienza ha lasciato un apprendistato di valori, di idee, una educazione sentimentale alla libertà, alla solidarietà, al senso della patria e delle istituzioni. Una vocazione che ha sempre impersonificato nella sua attività politica durata oltre mezzo secolo, sia come parlamentare sia come viceministro e membro delle istituzioni, portando avanti il simbolo dell’edera e gli ideali mazziniani che sin dalla giovinezza lo hanno avvicinato al Partito Repubblicano Italiano, di cui è stato per quasi vent’anni il protagonista indiscusso come segretario e presidente. Un galantuomo calabrese, tenace e colto, di umanità struggente, che lo ha reso uno dei maestri di molti giovani repubblicani per il suo senso pratico, capace di immedesimarsi nella realtà e nei territori, e per la sua immensa cultura, che comprendeva quella visione umanistica e repubblicana dei Mazzini, dei Bovio e dei Pacciardi, di cui lui fu l’ultimo testimone. Conoscendo l’onorevole Nucara ho scoperto cosa significa veramente essere mazziniani. Essere mazziniani vuol dire credere nel popolo ed appartenervi sentimentalmente, senza cedere ai pregiudizi delle masse, è pensare la scuola, l’educazione e la cultura come il pane dell’anima e l’ossigeno della coscienza, è appartenere alla propria terra, come lui apparteneva alla sua Calabria, e in virtù di questo legame vivere la Patria, non come oggetto, ma come sentimento. È pensare alla comunità e in nome di essa lottare perché le sue parti più popolari possano sognare e realizzare un futuro migliore. Una visione che ha insegnato attraverso la sua azione politica, i suoi saggi, che mostrano qual è il carattere principale di un repubblicano: la fede nell’avvenire. Una fede che ha dimostrato ogni giorno, sostenendo e supportando le nuove generazioni repubblicane, i sogni di chi tramite lui imparava che Dio e Popolo, Libertà e associazione non sono solo slogan, ma le più sincere verità della vita. Idee che riusciva a caricare del loro massimo significato, mostrandosi più vivo e più spontaneo di tanti personaggi torvi e grigi, molto più giovani di lui, ma solo anagraficamente. Di lui conservo gelosamente due ricordi indelebili. Il primo di un incontro in un ristorante romano con alcuni amici della giovanile, in cui ci raccontò i dettagli di 50 anni di battaglie e lotte, ed il secondo relativo alla nostra ultima intervista, in occasione dell’anniversario dell’apostolo. In quell’occasione parlammo di Mazzini, del futuro, degli autori repubblicani, soprattutto Giovanni Bovio, che mi aveva fatto scoprire lui, peraltro, e mi regalò un testo, curato dal nipote, Alessandro Massimo Nucara, col titolo “I repubblicani all’Assemblea costituente”, per scoprire che cosa volesse dire “essere Mazziniani con la M maiuscola”. Oggi posso dire, ripensando all’On. Nucara, che so cosa voglia dire esserlo.

La redazione di Generazione Liberale, l’autore Francesco Subiaco ed i giovani repubblicani Tommaso Alessandro De Filippo, Francesco Peirce e Francesco Corona inviano la massima vicinanza alla famiglia Nucara per la loro perdita.

FRANCESCO NUCARA: “VI SPIEGO L’ATTUALITÀ DI GIUSEPPE MAZZINI”

– Francesco Subiaco

Vita e martirio non sono menzogne. Non sono le “vecchie bugie” di cui si burlano gli scettici, ma il mezzo per compiere una missione, una vocazione. Una missione che fa di ogni essere umano non un mercenario di un padrone o il servo di un’illusione, ma il testimone, l’apostolo di una idea, di una Legge. Perché gli uomini non si distinguono da ciò che mangiano, dal mestiere che compiono, bensì da ciò in cui credono, dal senso che vogliono dare alla loro testimonianza, dal fine che riescono a imprimere sul grande disegno in cui compaiono. Un fine che permette di guardare a Mazzini con la gratitudine e il fascino del grande filosofo dell’avvenire. Che fu, dopo Socrate e Cristo, il terzo Grande Maestro della civiltà, come sottolineò Giovanni Bovio nel suo omonimo saggio. Non il maestro dell’epoca dei cittadini e dell’onore, né il martire degli individui e dell’amore, ma fu il profeta dello Spirito dell’Umanità e del vangelo del dovere. Un Vangelo che non si esprimeva più tramite le scuole dei filosofi e le chiese dei preti, ma tramite i popoli e la Storia e che aveva come comandamenti Dio e Popolo, Libertà e Associazione. Una civiltà dei radicamenti che non superava bensì compiva le precedenti, non facendo tabula rasa dei processi e delle tappe della Coscienza del mondo, ma ultimandola, diffondendo la morale degli uomini, in quanto individui e cittadini, complici delle proprie circostanze, portatori dei propri doveri verso Dio, Patria, Famiglia, quindi verso l’umanità. Un nuovo evo che aveva un mezzo teologico, Dio e Popolo, ed un fine umano, etico, la libertà dei popoli, nella comunità, nel dovere. Un secolo nuovo che non è solo il vano palcoscenico della divinità, o la farsa dei tiranni, ma il campo di battaglia degli uomini, dei popoli liberi che lottano, combattono e credono nella crociata umanitaria che ogni essere umano compie ogni giorno scegliendo la libertà contro il dispotismo, il merito contro il privilegio, la repubblica contro i principati. Una fede laica per cui 150 anni fa, con il falso nome di George Brown, in ossequio all’omonimo eroe antisegregazionista, Mazzini si spense braccato dalle guardie sabaude a Pisa come un criminale, come un reietto, ultimo testimone di una grande causa, ultimo difensore di una civiltà che stava per fondare. Per cui si era sacrificato e aveva pagato bevendo la cicuta della calunnia e della disillusione, il bacio di Giuda del tradimento degli alleati, la crocifissione di essere un perseguitato in quella patria per cui aveva combattuto, per quell’avvenire che voleva libero, popolare, repubblicano. La sua crocifissione fu l’esilio, il suo destino fu il sacrificio per una idea che oggi più che mai si distingue come la filosofia dell’avvenire. Per parlare dell’attualità del pensiero mazziniano e dell’importanza storica dell’Apostolo abbiamo intervistato l’On. Francesco Nucara leader per quasi vent’anni del Partito Repubblicano e testimone di una visione mazziniana e repubblicana che ha promosso in questi anni attraverso una lunga militanza politica, iniziata sin dall’infanzia tramite una educazione laica ed anticonformista, che lo ha portato ad incarnare i valori repubblicani nel suo percorso istituzionale, nella proficua attività saggistica con cui ha promosso una riscoperta della storia del Pri. Un percorso che ha raccontato nel suo recentissimo “Incontri con la politica”(Rubettino), attraverso i ritratti dei protagonisti della storia repubblicana e non solo, e tramite il suo testo più intimo e personale, “Storia di una passione politica(scene e retroscene)”. Testi straordinari in cui la vocazione popolare si fonde col senso delle istituzioni, la militanza con la storia, facendo sentire la presenza di un sentimento mazziniano puro e insostituibile. Per tale ragione abbiamo intervistato Francesco Nucara per la nostra testata.

Quanto è attuale il pensiero mazziniano?

Il pensiero di Mazzini, per chi lo legge e studia è attualissimo, ma è l’attualità, oggi, a non essere attuale. Per esempio, chiunque leggesse la Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa del 1962, potrà ritrovare quelle che erano le idee e le visioni che hanno contraddistinto il pensiero mazziniano, cioè dobbiamo diminuire i consumi privati e far aumentare i consumi sociali, in modo che siano i soldi a far crescere ed avanzare l’uomo e non viceversa. Un aumento dei consumi sociali che non vuol dire avere più beni personali, ma utilizzare le risorse per far sviluppare la sanità, l’istruzione, i trasporti, per permettere al paese di progredire, mettendo al primo posto l’uomo. Ad oggi queste idee non sono attuali perché Mazzini è l’opposto del Reddito di cittadinanza, della situazione di disuguaglianza e immobilismo dell’istruzione italiana, poiché una istruzione nazionale non è fare crescere il numero delle università, ma permettere alle fasce più vulnerabili della società di usufruire di un ascensore sociale nel proprio territorio, non soltanto nelle grandi città. Per Mazzini l’educazione è il pane dell’anima e il lavoro ha un posto fondamentale nel pensiero dell’Apostolo, teorizzando capitale e lavoro nelle stesse mani, tramite la nascita delle cooperative. Queste idee oggi dovrebbero essere di estrema attualità e nella Nota Aggiuntiva, nonostante La Malfa non sia un mazziniano, e questo sta a dimostrare l’universalità del pensiero dell’Apostolo genovese, questi temi si incarnano e trovano spazio in quel progetto di cui oggi avremmo molto bisogno.

Come si potrebbero incarnare oggi i valori mazziniani?

Applicando le idee di Mazzini nella realtà concreta del paese. Se si destinassero i fondi del PNRR a un programma come presentato dalla Nota aggiuntiva, al posto di assegnarle ad opere senza un disegno di ristrutturazione del paese, si colmerebbero le carenze dei consumi sociali, permettendo a tutti i cittadini, soprattutto ai più poveri, di accedere al diritto alla sanità, ai trasporti, alla possibilità di commercializzare i propri prodotti. I pescatori di Mazzara del Vallo, come possono commercializzare i loro prodotti, senza una rete dei trasporti affidabile, ad esempio. Permettendo al Mezzogiorno, come sottolineò Pacciardi tornando a Roma, di non essere soltanto più e soltanto “un serbatoio di questurini per i Savoia”, ma il luogo della rinascita del paese. Mi ricordo, infatti, il mio maestro elementare che ci assegnava come tema abituale di italiano, “ammissione all’arma dei carabinieri”, per molti anni mi chiesi il perché di quella traccia, poi, quando ero già deputato, glielo chiesi. Mi rispose che noi avevamo due alternative di vita, o servire lo stato o affiliarsi alla Ndrangheta, queste erano le opzioni sociali di un bambino di dieci anni in un contesto in cui la scuola non può permettere di far emergere delle possibilità di sviluppo.  Per questo sono importanti i consumi sociali, perché sono quelli che permettono alle classi più deboli di emanciparsi e di partecipare al progresso del paese, ad un operaio di poter avere una risonanza magnetica prima della propria autopsia se non si rivolge ad un privato. Mazzini è attuale soprattutto sul terreno dei diritti della donna, il deputato repubblicano Mirabelli già in pieno ottocento parlava del voto femminile, che si fonda su una idea di uguaglianza sostanziale tra i sessi e sul rispetto delle donne. Le pagine mazziniane sulle donne sembrano più attuali di tante dichiarazioni di molti contemporanei. Egli già a metà dell’Ottocento asseriva: “Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna”. Il problema è che nella società social parlare di Mazzini è come parlare di un personaggio lontano, dimenticato, relegato all’Ottocento, ma in realtà lui fu davvero l’Apostolo dell’umanità. Un predicatore laico che non fu solo il teorizzatore dell’unità d’Italia, ma portatore di una visione democratica e popolare universale. Un pensatore che non viene capito poiché non viene letto.

E lei si sente più mazziniano o più repubblicano?

Io mi sento più mazziniano. Sono nato laico, proveniente da una famiglia modesta, la mia educazione si è formata tramite maestri laici. Essere mazziniano per me vuol dire avere una visione più ampia della società che non si può relegare alla sola dimensione politica. Per questo il pensiero di Mazzini non può rinchiudersi nel Partito Repubblicano, ma attraversa i confini di questa militanza politica. Ciò mi ha portato sempre a fare delle scelte e delle battaglie di minoranza, ad essere laico mentre tutti i miei compagni servivano messa, a far parte di un mondo repubblicano-massonico che mi ha plasmato tramite l’incontro de Dei Doveri dell’uomo, che mi hanno portato ad iscrivermi al partito. I primi repubblicani che ho conosciuto erano infatti mazziniani, come racconto in “Incontri con la politica”, come Emanuele Terrana e Michele Cifarelli, in maniera diversa. Una altra cosa che mi ha avvicinato al Pri fu che tutti i leader storici del partito venivano da una estrazione popolare e da una connessione sentimentale con le classi popolari, Giovanni Conti figlio di un calzolaio, Pacciardi figlio di un manovratore ferroviario, Ugo La Malfa figlio di un poliziotto, erano tutti figli del popolo. Ed il pensiero mazziniano fu, aldilà delle maldestre interpretazioni, soprattutto attivo sulla questione sociale. Mazzini fu un filosofo della scuola sociale, un uomo d’azione, un politico concreto, non un integralista duro e puro senza contatto con la realtà. Le ultime battaglie mazziniane e ideali del partito sono state fatte da Randolfo Pacciardi.

Quali sono le battaglie veramente mazziniane?

Sono quelle che hanno come fine il benessere collettivo, aldilà delle retoriche, degli enunciati del bene comune.

Che cos’è per lei la Patria?

La patria non sono i confini territoriali, come goffamente pensa la Meloni. Per un mazziniano la Patria è un’altra cosa, è un pensiero, è un’idea della vita e del mondo. È la libertà dei popoli contro la servitù degli stati. La patria è il contrario del nazionalismo. Non è la patria che si importa con il massacro e l’imperialismo, quella di Mussolini, che in realtà maschera la legge del più forte. È una cosa che riguarda tutti alla stessa maniera. Per riscoprire tali concetti sarebbe necessaria una scuola che insegni anche il pensiero politico, che non sia un corso di formazione politica, ma che permetta di riscoprire e rendere forti le idee.

Chi fu l’ultimo grande mazziniano?

Mi dispiace per il mio amico Paolo Palma, ma per me l’ultimo fu Giovanni Conti. Che lasciò il Pri, messo in minoranza da Pacciardi per far aderire La Malfa. Conti rappresentò l’ultima vera visione mazziniana, l’ultimo testimone di questa idea. Pacciardi più che l’ultimo mazziniano è la sintesi dei valori risorgimentali. È l’uomo d’azione come Garibaldi e il maestro di pensiero come Mazzini, è il simbolo delle idee del Risorgimento. Perseguitato dai fascisti, esule, combattente per la libertà contro i franchisti in Spagna, osteggiato dai comunisti durante la guerra civile spagnola per la sua volontà di non fucilare gli anarchici, in uno scenario simile a quello di Porzus nella Seconda guerra mondiale. Per Pacciardi, che fu un vero grande patriota, pesa nell’immaginario comune la storia di tanti uomini e giovani di destra, per non dire fascisti, che aderirono a Nuova Repubblica. Si creò una situazione che diede lo spunto ad un magistrato di chiamarlo in causa come eversore. Dopo la persecuzione fascista dovette subire anche quella comunista. Tuttavia, Pacciardi era stato e rimase un combattente per la libertà propria e altrui. Di fame non si muore viceversa si muore senza libertà.

Quali sono i riferimenti culturali di Francesco Nucara?

I miei maestri elementari, i fratelli Crucitti, Mazzini, Pacciardi, De Gasperi, che pure da cattolico ha fatto una gestione laica dello Stato, Giovanni Bovio e Carducci.

 

 

 

 

 

 

 INTERVISTA FRANCESCO NUCARA

INTERVISTA FRANCESCO NUCARA


Leggendo gli “Incontri con la politica. Storia di un repubblicano di Calabria”(Rubettino) dell’On. Francesco Nucara, il lettore potrà imbattersi in una autobiografia per personaggi. Ovvero in un’opera in cui man mano che il narratore ci illustra gli attori di oltre mezzo secolo di politica italiana, si mostra, si rivela, si toglie un po’ del riserbo del cronachista per vestire i panni del testimone. Raccontando una storia che nasce nella Calabria rurale e si evolve nei congressi romani del Pri, attraversando i palazzi galanti del berlusconismo, le ceneri della prima repubblica e i fasti dell’epoca dei partiti. Una autobiografie per tappe, per occasioni, che non ha però il vezzo morettiano di parlare degli altri per parlare sempre di sé, e che invece riesce a calare il lettore in un mondo lontano e distante. Il mondo della politica per professione e vocazione, dei partiti delle identità forti, della militanza come missione, come confronto sociale prima che come carriera o opportunità. Permettendo di mostrare un contesto tanto complesso e articolato come quello repubblicano,
con i suoi idoli, con i suoi maestri. Senza scadere nell’agiografia, nell’adulazione, con un taglio obiettivo senza essere gelido o distante o noioso come tanti libri di politica e di politici. L’ex viceministro e protagonista della segreteria del PRI per quasi vent’anni offre un saggio schietto e lucido in cui parafrasando Bovio si sente come un segno di vergognosa paura il non dire ciò che si pensa, rendendo vero, spontaneo e privo di ogni paura il testo dell’onorevole di calabrese. Nucara nei suoi incontri compie una anatomia del mondo repubblicano, rendendolo vivo, intrigante, attraverso aneddoti, citazioni, profili, che restituiscono la statura di figure fondamentali, ma ignorate dal grande pubblico. Raccontando di idee e passioni che affascinano nel deserto ideologico attuale, dalla visione volontarista della politica del Grande Borghese Visentini, all’acume e alla visione d’insieme di Ugo la Malfa e della sua Nota aggiuntiva. Dalla figura byroniana e sottovalutata del De Gaulle Italiano Pacciardi all’immersione nei rapporti tra politica ed establishment. Personaggi che mostrano la figura di Nucara, le sue idee, le sue battaglie. Popolare e raffinato, colto ma allo stesso tempo non pedante. Un saggio repubblicano che fa vivere i suoi personaggi, mostrandosi più vivo, incisivo e vitale di tanti figuranti del nostro tempo, con meno anni e molta più arroganza.


Quale è il personaggio a cui è più legato e perché?


Non c’è un personaggio in particolare. Dal punto di vista umano la persona a cui sono più legato è
Emanuele Terrana. La persona che mi affascina di più è, invece, Pacciardi. Perché per tutti quella della mia età, negli anni sessanta-settanta, lui aveva la nomea (immeritata) di fascista, che gli ha fatto perdere il consenso di molti Repubblicani. Personaggio che ho poi riscoperto, come racconto nel libro, attraverso un vecchio repubblicano di Reggio Calabria, che regalandomi le memorie della guerra di Spagna di Pacciardi, mi ha fatto entusiasmare per questa figura. Tanto che ora posseggo una biblioteca composta da testi di e su Pacciardi.


In epigrafe lei cita Giovanni Bovio, per cui “la libertà non è una prostituta”, che cos’è per lei la libertà?La libertà è la vita dell’uomo, privo di libertà l’uomo è un morto, nonostante operi, si muova, continui a sopravvivere, egli però non vive. Ripensando al mio passato, al mio paese, circondato dalla miseria, che non pativo ma potevo vedere, dove i bambini ti aspettavano davanti alla porta per chiederti una castagna, ho capito che non sarei potuto vivere lì, nonostante ricordi con nostalgia la mia vita di bambino. Da bambino il mio sogno era la città, era Reggio Calabria., non Roma. Roma venne dopo, quando già lavoravo. Una città che mi colpì soprattutto quando, dopo aver partecipato ad un concorso, vidi un uomo con la testa spaccata che si medicava ad una fontanella, assente agli occhi dei passanti. Lì capii che rispetto al mondo della provincia in cui ognuno vive sotto agli occhi di tutti, lì ognuno poteva vivere una sua vita. Perché in paese incontri tutti, in città incontri chi vuoi. La libertà è anche questo, è la propria indipendenza, pensai allora, anche se per me essa non può esistere senza il costruire. Senza un disegno creatore, idea che mi viene forse dall’esperienza di cantiere. 


Nel profilo di Visentini, lei accenna ad una visione della politica come entusiasmo e missione, è d’accordo con questa visione della militanza politica?

Si tratta di una visione che condivido totalmente. La politica deve essere passione, non un impiego fisso. Infatti io quando ho rinunciato a fare il deputato, nel 1994, mi sono messo a lavorare. Allo stesso tempo la politica è un servizio. Un servizio che si fa al proprio paese e che ha un costo per chi la fa. Un costo non in termini economici, ma in termini di rapporti umani, di rapporti familiari. Io non conosco i miei figli, anche se oggi le mie attenzioni sono rivolte ai nipoti. In politica i costi dal punto di vista dei sentimenti sono altissimi. Però è una passione che quando ti prende non ti lascia altro. È stata una cosa che mi ha preso totalmente per cui ho sacrificato molto. È una passione che nasce soprattutto dal confronto.  Molti giovani ora non hanno passione politica e forse ciò è spiegabile dal fatto che non esiste più un organismo come la sezione. Che non è solo un luogo del partito, ma diventava il punto d’incontro per stringere rapporti umani, permettendo di creare un gruppo compatto ed unito, come quando ai tempi in cui ero nella sezione di Cave Tuscolano, un certo distacco degli anziani del partito. Un distacco che c’è sempre stato e sempre ci sarà tra
le diverse generazioni. Ecco perché non condivido l’atteggiamento del partito nei confronti della Fgr,
perché un distacco c’è sempre in tutti i partiti a meno che non si veda in maniera oracolare il rapporto con la direzione.


In questi incontri lei sottolinea le idee e l’attualità delle proposte di alcuni di questi personaggi,
dall’esempio di quali di essi potrebbe partire una rinascita del Pri?

Per una rinascita del partito le idee sono necessarie, ma non sufficienti, bisogna ripartire dal proselitismo, dal rapporto con l’altro, mostrandosi come apostoli di una idea. La grande forza dei partiti popolari è che sono fatti di povera gente, di persone che vivevano e si innamoravano di una idea. Di convinzione, che è il presupposto di ogni passione. Ci vogliono poi soprattutto le idee, quelle di Mazzini, calate ed inserite nell’attualità. Ci vuole la cultura e l’analisi, che permettono alle idee di nascere. Tali idee, però, per potersi diffondere si devono incarnare tramite il proselitismo, tramite una azione di militanza e diffusione che deve partire da tutti i membri del partito, dai simpatizzanti ai dirigenti.

 
Nel suo libro parla di un partito con due anime, da un lato popolare, dall’altro elitaria, uno col popolo e un altro con l’élite. Lei a quale parte appartiene? 


Io appartengo ad una anima popolare, per idee, per estrazione, per valori. Come del resto Mazzini,
nonostante provenisse da una famiglia borghese era un figlio del popolo. Se dovessi dire un personaggio della parte elitaria del partito direi Giorgio La Malfa. Perché non aveva una anima popolare, né una estrazione popolare. Perché rappresentava nella nostra società l’elite.