La Repubblica Romana, sorta il 9 febbraio del 1849, non segna soltanto l’apice dei moti quarantotteschi, ma l’inizio una una rivoluzione italiana, guidata dai principi di Dio e popolo, Libertà e associazione. Un esperimento politico che segnò un capolavoro ideologico in cui i valori mazziniani e democratici hanno trovato il loro massimo compimento. Poiché la Repubblica guidata dai triumviri Armellini Mazzini e Saffi ha anticipato le massime ambizioni del movimento repubblicano del tempo. Uno stato che non si prometteva soltanto di sostituire la forma istituzionale dello stato Pontificio, ma compiere quella rivoluzione italiana, nazionale e laica, popolare e democratica, che doveva compiere la grande riforma morale del costume nazionale, la trasformazione da mera espressione geografica alla costruzione di un popolo, di uno stato unitario, di un avvenire. Un avvenire che si espresse attraverso la tutela del cittadino, libero dalle catene degli assolutismi, l’abolizione di istituti disumani e liberticidi come la pena di morte e la censura. Fondando non sistemi sovrastanti che parassitariamente dominano un pubblico informe, ma istituzioni che affondando le proprie radici nel popolo, preferendo il dovere ai privilegi, un governo di tribuni ed apostoli ad una casta di chierici e scarti di araldiche vetuste. Iniziando con questo evento l’inizio di un nuovo evo, che permise a Mazzini di inserirsi tra i grandi fondatori e riformatori dell’umanità, insieme a Cristo e Socrate, come ha sottolineato Bovio nel suo “Mazzini”. Per ricordare la memoria di Mazzini e dell’esperienza della Repubblica Romana abbiamo intervistato Antonio De Martini, che con la Nuova Repubblica Edizioni, ha ripubblicato l’antologia pacciardiana “Giuseppe Mazzini. L’uomo e le idee” . Un testo che permette un ritratto ricco di sfaccettature, di visioni e di frammenti che permettono di fare sprofondare il lettore nel vangelo del Grande Apostolo dell’umanità.
De Martini, Mazzini è un personaggio complesso e straordinario, la cui figura è stata tratteggiata in maniera diversa da discepoli, avversari ed adepti che non ne hanno potuto subire il fascino o l’influenza. Può anticiparci alcuni frammenti/giudizi tratti dal testo in ristampa?
Volevo citare i giudizi di Castelar, Thomas Carlyle, Ernesto Nathan. Emilio Castelar: “Mazzini ha l’intuizione del genio che vede lontano, e la pazienza del martire che preferisce veder scorrere il proprio sane al veder scomparire il proprio ideale. Come tutti gli uomini di pensiero, precorre i tempi e gusta anticipatamente il frutto delle sue idee, la vita dell’avvenire, quel piacere in cambio de’ suoi dolori infiniti, riservato al genio”. Ernesto Nathan:”Nella coscienza nazionale e, ancor più, forse internazionale, dall’Europa alle lontane Americhe, la vera figura di Giuseppe Mazzini appare e grandeggia nei suoi massimi attributi, al di sopra delle mediocrità che si urtano e contendono nell’arena politica-sociale quotidiana”. Ed ultimo il filosofo Thomas Carlyle: “Mazzini è un uomo di genio e di virtù, un uomo di veracità genuina, di umanità di mente, uno di quegli uomini sventuratamente rari, anzi unici in terra, che siano degni di essere chiamati anime martiri; uno degli uomini che in silenzio e nella vita di ogni giorno sanno e praticano quello che si intende per martirio”.
Di recente è stata pubblicata Intervista ad un uomo che ha lasciato questo mondo. Che immagine emerge di Pacciardi, può parlarci di questo opuscolo ?
Qualche tempo fa, su suggerimento di Massimo Teodori, ho versato – in una con il nipote Franco Pacciardi – il carteggio di Pacciardi all’archivio storico della Camera dei Deputati. La Camera pubblicò un libro contenente i suoi discorsi parlamentari e io ne approfittai per regalar alcune copie in occasione della presentazione a Montecitorio nella “ sala della Regina”. Il giornalista Marco Nese che ne ebbe una, meravigliato che nei lunghi anni da inviato di un grande giornale non ne avesse mai avuto notizia, ha scritto – traendo liberamente dagli atti parlamentari- le risposte alle sue domande. Ne è venuto un ritratto di un Parlamento che fu informato del decadere delle istituzioni. Ne nacquero sia la “commissione Bozzi”, settemila pagine inutili, che, più recentemente, la Bicamerale che rimase lettera morta. Il ritratto di Pacciardi che ne esce, è quello di un uomo che non molla l’osso. Dal 1964 al 1991 – data della morte- ha continuato appassionatamente a spiegare che la Costituzione era in qualche punto – certo non nei fondamentali- obsoleta e in altri incompiuta. Noi continuiamo la sua opera.
Come mai ripubblicare il Mazzini di Pacciardi?
I mazziniani sono molto numerosi e le defezioni sono sconosciute. Per aver scritto su facebook che ripubblicavamo l’antologia mazziniana, ho raccolto trentotto prenotazioni di sconosciuti. Una prevendita record.
Che rapporto aveva con Pacciardi e come si è avvicinato all’Udnr?
Non ci piacenmo al primo istante, ci siamo apprezzati nel tempo. Aderii alla Unione Democratica Nuova Repubblica dopo essere stato , in una squattrinata mattina di agosto, a un convegno dei giovani di NR attratto dalla curiosità e per sfuggire alla calura. Lo sentii parlare, chiesi la parola, me la diedero e a fine dibattito decisi di partecipare. Lo sto ancora facendo. Periodicamente pubblichiamo, anche sui social, i nostri argomenti. Dopo la morte di Pacciardi, assunsi la direzione del movimento trasformandolo in “una lobby per l’Italia”.
Che progetti avete per il futuro?
I nostri piani consistono nell’occupare gli spazi abbandonati dal disfacimento dei partiti : educazione popolare, offerte di assistenza a giovani studiosi per le tesi di Laurea o studi. Incontri vonoscitivi con parlamentari ecc. Le classiche attività di influenza. La recente crisi dei partiti dovuta al rinnovo della presidenza della repubblica è valsa più di una battaglia vinta. Facciamo campagna per l’astensione dalle elezioni politiche. Quando cominciammo, gli astenuti erano il 14%. Ora siamo al 50. I nostri maggiori alleati sono la partitocrazia e il desiderio degli italiani di partecipare alla vita pubblica. Sembra una contraddizione, ma non lo è. Una assottiglia le loro file e l’altra, ingrossa le nostre. Siamo vicini all’affermazione dell’esigenza di rafforzare l’esecutivo. Ora ci concentreremo sulla legittimazione democratica di questo rafforzamento che si dimostra carente.