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IL 2 GIUGNO, LA NOSTRA DATA STORICA

– Francesco Subiaco

Il 2 giugno è una data storica per la tradizione mazziniana, poiché non segna solo il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, come sancito a seguito del referendum del 1946, ma rappresenta, soprattutto, l’inizio di una educazione nazionale, di una pedagogia morale basata sulla democrazia e sui valori della Costituzione, l’inizio di un cammino democratico e popolare che è il cuore pulsante del repubblicanesimo. Una ricorrenza che i repubblicani romani hanno voluto celebrare sulla terrazza del Gianicolo di fronte al muro della Costituzione della Repubblica Romana. All’evento, organizzato dall’unione Romana del Partito Repubblicano Italiano e dal segretario Michele Polini, erano presenti, Andrea d’Angelo (Responsabile relazioni Esterne PRI Roma),  Marco Cappa (Coordinatore Romano Italia Viva), Francesca Leoncini (Consigliere Comunale Italia Viva), l’Ambasciatore Bulgaro in Italia Todor Stoyanov ed una delegazione dei repubblicani romani e dell’ambasciata bulgara. Durante la celebrazione della festa della Repubblica il segretario Polini ha ribadito l’importanza dei valori costituzionali e la centralità del ruolo dei principi repubblicani per lo sviluppo democratico del paese. Il segretario ha poi aggiunto che: “L’iniziativa di oggi sancisce ancora una volta la volontà e l’impegno del popolo italiano nel perseguire e mantenere vivi i valori della Costituzione e della Repubblica, che affondano i loro principi nelle idee della Repubblica Romana. Celebrando il 2 giugno gli italiani mostrano di voler onorare quei principi sui cui si fonda la nostra Costituzione e che sono il cardine della Repubblica”. Dopo la celebrazione dei valori patriottici costituzionali la delegazione repubblicana in collaborazione con l’ambasciatore bulgaro Todor Stoyanov, hanno ricordato, di fronte alla statua del rivoluzionario laico bulgaro Petko Kirjakov Vojvoda, i combattenti garibaldini per l’indipendenza dei popoli, unendosi nella comune vicinanza negli ideali fondati su democrazia e libertà, che hanno una comune radice nelle visioni del risorgimento. Ideali universali che a distanza di anni da quel fatidico 1849, fanno ancora sventolare la bandiera dell’edera u un’Italia unitamente repubblicana

Il Risorgimento rivoluzionario di Valerio Evangelisti

– Francesco Subiaco

Il risorgimento non fu la parata trionfale della retorica nazionalistica, né la rapina feroce e crudele che descrivono alcuni. Esso fu una Rivoluzione ed una Riconquista, una guerra di liberazione ed una guerra civile, un evento duro, crudele e magnifico come sono tutte le grandi lotte che muovono i popoli. Perché la rivoluzione non è un pranzo di gala nemmeno se fatto per la più santa delle cause, e non va raccontato con la retorica falsa che ne fa una “glorious revolution” all’italiana. Essa fu principalmente una guerra popolare, una lotta diplomatica, uno scontro indimenticabile in cui i patrioti mazziniani cercarono di rovesciare i troni di un ordine antico e fatiscente che cercò con ogni mezzo di opporsi a quel vento di cambiamento. Non fu solo l’esperienza dei mille, fu il risultato di anni di guerriglia, di cacce, di rappresaglie in cui i poliziotti austriaci e papalini venivano definiti dei servi del tiranno, mentre i patrioti dei terroristi e dei demoni. Una storia che non può essere raccontata come il trionfo senza sangue delle truppe sabaude, ma va descritto come uno slancio rivoluzionario di una gioventù italiana votata al martirio, al sacrificio, all’inizio di una nuova rivoluzione italiana, stroncata sul nascere. Una riconquista fatta di guerriglie e rese dei conti, tra i Demoni di Dostoevskij e le battaglie dei film di Sergio Leone, con lo scenario della guerra civile americana, che sono lo scenario dell’ultimo romanzo di Valerio Evangelisti: “Gli anni del coltello” (Mondadori). Evangelisti, da poco scomparso, riesce nel suo romanzo a scrivere una epica del risorgimento, che ne fa una saga popolare del movimento mazziniano dopo la caduta della repubblica romana, che sbandato e perseguitato sui luoghi oscuri e rivoluzionari del nostro risorgimento, aldilà di un giudizio storico, trasformando la storia del popolano e rivoluzionario Gabariol in una grande avventura fatta di sangue e lotta, patria e libertà.

LORENZO PREGLIASCO: “PUTIN HA SOTTOVALUTATO LA COMPATTEZZA OCCIDENTALE. ORA GLI ITALIANI VEDONO LA RUSSIA COME UNA MINACCIA REALE”

– Tommaso Alessandro De Filippo

Abbiamo intervistato Lorenzo Pregliasco, fondatore di YouTrend, volto televisivo ed esperto sondaggista ed analista italiano. Autore del testo “Benedetti Sondaggi”, Pregliasco svolge un ruolo informativo e comunicativo importante in un momento storico così complesso ed instabile, dove gli stravolgimenti anche geopolitici impattano notevolmente sulla percezione e gli interessi dei cittadini italiani.

Dott. Pregliasco, quali sono le sue considerazioni in merito all’evoluzione del conflitto tra Russia ed Ucraina? Crede che l’Occidente stia attuando una strategia di risposta compatta ed efficace verso il nemico russo?

Ritengo che la Russia abbia sottovalutato la capacità di risposta occidentale, scommettendo erroneamente sulla disgregazione politica dell’Unione Europea e sulla distanza tra essa e l’alleato USA. Nel mio articolo pubblicato sul primo numero della rivista Domino, mensile di geopolitica diretto da Dario Fabbri ed edito da Enrico Mentana, spiego come l’Occidente si sia allontanato dalla figura di Putin dall’inizio del conflitto in Ucraina. Le azioni politiche del Cremlino hanno prodotto una riluttanza nelle nostre opinioni pubbliche e nel nostro tessuto popolare. In Italia si è rapidamente allargato l’indice di cittadini che disprezzano la figura di Vladimir Putin e le istituzioni russe, dimostrandosi intenzionati ad agire contro di esse. C’è un indice favorevole verso lo strumento delle sanzioni europee, mentre l’approvazione è inferiore sull’invio di armi ed equipaggiamenti ed è bassa sull’ipotesi di inviare militari nostrani a combattere direttamente in Ucraina. Resta da vedere se questo sentimento di paura che identifica Putin e la Russia come una minaccia concreta reggerà nel tempo: dipenderà dalle conseguenze economiche delle sanzioni e dall’evolversi della guerra.

Come prospetta le elezioni politiche italiane del 2023? Che riscontro elettorale si attende?

Sarebbe impossibile ad un anno di distanza dalle elezioni politiche prevedere un esito ed uno scenario esatto. Il fattore chiave della legislatura attuale è stato quello dell’imprevedibilità, dato che dal 2018 in poi abbiamo assistito a stravolgimenti, inversioni di tendenza e nuove alleanze che nessuno si sarebbe mai aspettato. Il mondo in generale sta dando ampi segnali di instabilità da qualche anno a questa parte, pertanto in un anno sarà possibile assistere ad ulteriori novità politiche e sociali in Italia. Quel che sembra probabile è la possibilità di assistere ancora in futuro a governi di larghe intese, frutto di accordi politici ed istituzionali figli della necessità. Con il taglio dei parlamentari in vigore dalla prossima legislatura le maggioranze politiche, soprattutto al Senato, potrebbero essere piuttosto risicate, così da determinare nuovi accordi tra forze parlamentari che in campagna elettorale si son date battaglia.

Quali sono i principali interessi degli italiani in ambito politico?

In questo biennio pandemico la salute è balzata al primo posto tra gli interessi degli italiani, come pienamente comprensibile. In linea generale il nostro è un popolo abbastanza concreto, attento alle necessità quotidiane come quella di trovare lavoro e realizzarsi economicamente e professionalmente. L’interesse verso l’ambiente si è parecchio incrementato negli anni recenti, anche se subisce il grande solco generazionale tra i giovani elettori, che pongono l’ambientalismo al primo posto, e gli elettori adulti, meno interessati e coinvolti in questa dinamica. Pertanto, nonostante l’incremento riscontrato l’ambiente è ancora “battuto” dall’interesse lavorativo per la maggior parte dei cittadini del nostro paese.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Al primo posto c’è quello di continuare a migliorarmi, proseguendo ed ampliando i contesti di mio interesse umano e lavorativo. Scrivere e pubblicare il mio testo “Benedetti Sondaggi” mi ha impegnato abbastanza, ma al tempo stesso dato soddisfazione. Inoltre, la realtà di YouTrend si è ormai strutturata negli anni ed ha intrapreso collaborazioni importanti con associazioni, ambiti istituzionali ed aziende che commissionano lavori ed indagini. Questo ha permesso incremento e perfezionamento professionale per coloro che lavorano con noi, soprattutto in ambito comunicativo e di analisi dei dati.

 

DIALOGO CON ADOLFO URSO, TRA QUESTIONE UCRAINA E RITORNO DELLA POLITICA DI POTENZA

– Francesco Subiaco, Francesco Latilla

Dalla questione ucraina al ritorno della politica di potenza, passando per la necessità di ripensare la questione energetica e la difesa in un’ottica nazionale ed europea in complementarità con la Nato. Il presente pone la politica italiana di fronte a delle sfide nuove, agli innovativi capovolgimenti che stanno ridisegnando la scacchiera internazionale del campo di battaglia. Di fronte a questi scenari la politica non può scindersi dalla cultura, dalla necessità di una organizzazione e dal dialogo per creare un nuovo scenario comune. Questo è lo scopo della fondazione Fare Futuro, che si propone di diventare uno dei principali pensatoi dello scenario moderato, attraverso un dialogo con il mondo angloatlantico e la necessità di una dialettica plurale e lucida sui cambiamenti del presente. Per parlare di questi temi abbiamo intervistato il Sen. Adolfo Urso, presidente della fondazione FareFuturo e del Copasir storico esponente di una destra atlantista e moderna aperta alle sfide del tempo, che ha sempre portato avanti prima in Alleanza nazionale, poi in Fratelli d’Italia.

In questi giorni si è svolto il convegno della Fondazione FareFuturo. Quali sono i temi principali che avete trattato?

Il 14 e 15 marzo la Fondazione FareFuturo, insieme all’International Republican Institute e al Comitato Atlantico Italiano, ha organizzato un convegno sul tema “L’Alleanza atlantica, la crisi ucraina e la sicurezza Euro mediterranea”. Il meeting si è aperto pubblicamente alla Sala Nassirya del Senato della Repubblica, con gli interventi del direttore per la Strategia Transatlantica dell’IRI Jan Surotchak, del presidente del Comitato Atlantico Italiano Fabrizio Luciolli e con il saluto registrato del Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Luigi Di Maio e del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini. I lavori sono poi proseguiti a porte chiuse, con una serie di approfondimenti che hanno visto come relatori deputati nazionali ed esteri, deputati europei, presidenti di Regione e interlocutori istituzionali.

Il meeting ha voluto rappresentare un focus sulle prospettive per l’Alleanza atlantica alla luce degli accadimenti internazionali di queste ultime settimane e della guerra tra la Russia e l’Ucraina, ma anche interrogarsi sul tema centrale della sicurezza nel Mediterraneo allargato. Una priorità quanto mai attuale per l’Italia, anche sul fronte della sicurezza energetica, rispetto alle nuove sfide della competizione globale. Proprio il Mediterraneo, al netto della emergenza della guerra in corso in Ucraina, rappresenta il terreno di confronto tra potenze autoritarie come la Russia e la Cina, che stanno estendendo la loro influenza su vasti territori, ricchi di risorse energetiche e di terre rare indispensabili per realizzare la transizione verde in cui siamo tutti impegnati, e le democrazie occidentali. E il nostro Paese all’interno di questo scenario, insieme agli altri partner europei e sotto l’egida della Nato, dovrà svolgere un ruolo sempre più importante e decisivo a difesa della pace e della stabilizzazione di tutta quest’area, che va dal Corno d’Africa alla Libia fino alla zona subsahariana del Sahel.

Cosa ne pensa della questione ucraina e quale ruolo dovrebbe avere l’Italia nella scacchiera internazionale?

 L’Ucraina è uno Stato sovrano, riconosciuto dalla comunità internazionale, che è stato oggetto da parte della Russia di un’aggressione inaccettabile. Va riconosciuto il valore della resistenza eroica del popolo ucraino, che ci ricorda quanto la libertà non debba mai essere data per scontata, e richiama ai propri doveri un’Europa talvolta distratta, anche sul fronte della necessità di potenziare una difesa comune con una nuova strategia e investimenti mirati che non possono più aspettare. L’Italia sta svolgendo appieno il proprio ruolo nella scacchiera internazionale, che è quello di un partner di primaria importanza nello scenario europeo e atlantico. Fondamentale in quest’ottica, è stata la approvazione da parte del Parlamento della mozione unitaria sulla guerra tra Russia e Ucraina, che a differenza di quanto spesso avvenuto in passato, ha mostrato un Paese unito, capace di superare le divisioni della politica interna nella difesa dell’interesse e della sicurezza nazionali.

Come pensa procederà il conflitto sul fronte ucraino e quale ruolo svolgerà la Cina in questa controversia?

Ovviamente, l’unica strada per risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina rimane quella diplomatica, alla quale abbiamo il dovere morale di lavorare incessantemente. Detto questo, come anche evidenziato dal premier Draghi nel suo discorso al Parlamento, la solidarietà italiana ed europea in questi momenti non può essere solo di facciata. Alle dichiarazioni di intento vanno fatte seguire azioni concrete, che facciano capire alla Russia come l’occidente non intenda tollerare l’aggressione in corso. Da qui il sistema delle sanzioni, e il sostegno concreto alla resistenza ucraina, sul quale si sono espressi favorevolmente anche Stati storicamente neutrali come la Svizzera. La Cina da parte sua ha una grande occasione, quella di svolgere un ruolo diplomatico e di dissuasione nei confronti di Putin, accelerando quanto più possibile la fine di un conflitto insensato che rischia di diventare ogni giorno più crudele, con migliaia di morti lasciati sul campo, tra i quali anche tanti civili innocenti, compresi donne e bambini.

IL MEDITERRANEO E’ IL CAMPO DI BATTAGLIA TRA AUTOCRAZIE E DEMOCRAZIE OCCIDENTALI, CHE RUOLO SVOLGE IN QUESTO CONTESTO L’ITALIA?

Nella Relazione annuale sull’attività del Copasir, presentata lo scorso 9 febbraio e – caso unico finora – illustrata e discussa in Senato il 15 marzo, l’area del Mediterraneo allargato è stata definita ‘Priorità nazionale’. Dal Corno d’Africa alla Libia, passando per il Libano, la Tunisia, l’area sub sahariana del Sahel, così come in Iraq e in Siria, e nei Balcani, l’Italia è presente con uomini e mezzi, a sostegno delle principali missioni internazionali. Ma la battaglia per la supremazia globale tra le democrazie occidentali e le potenze autocratiche, come la Russia e la Cina, si gioca anche e soprattutto sul fronte della sfida per il controllo dell’energia e delle risorse minerarie necessarie per portare a termine la transizione ecologica. Sarà necessaria una sempre maggiore sinergia europea e occidentale che consideri di nuovo il Mediterraneo allargato come centro nevralgico della politica mondiale, e in questa ottica l’Italia, per tradizione e posizione geografica, dovrà certamente avere un ruolo da protagonista.

In un suo precedente intervento al Copasir aveva precedentemente anticipato l’offensiva russa e il rischio di una influenza russa nel nostro paese. Può spiegarci meglio?

Avevamo descritto la postura aggressiva della Russia, anche rispetto alla politica energetica, e alle mire espansioniste nel medio oriente e in diversi territori dell’Africa. Così come avevamo messo in guardia il Parlamento, circa i rischi elevati di attacchi cyber, non soltanto di origine terrorista ma anche di possibile matrice statuale. E purtroppo, eravamo stati buoni profeti. Nella relazione annuale del Copasir, si legge come “L’attivismo della Russia si rivolge soprattutto all’acquisizione di informazioni di carattere politico-strategico, tecnologico e militare. Oggetto di particolare interesse sono i processi decisionali nei vari settori dell’azione politica tra cui gli affari esteri e quelli interni, la politica energetica, la politica economica e le dialettiche interne alla NATO e all’UE. Le attività portate avanti in questi ambiti sono solitamente negabili e difficilmente attribuibili”.

In un’ottica mediterranea allargata, “La Russia, considerata la principale minaccia verso Est, ha intrapreso ormai da qualche anno diverse iniziative assertive da Sud: una presenza con forze navali nel Mediterraneo; una presenza con truppe e l’occupazione di basi in Siria; interventi in Libia, Repubblica Centrafricana, Mali di forze militari proprie o ad esse collegate, come la compagnia Wagner”. L’allarme evidentemente era stato lanciato in tempo.

Quanto sta accadendo ci fa capire inoltre quanto importante sia la sicurezza della Repubblica e quanto ciò debba essere considerato in ogni decisione che prendiamo, anche quando affrontiamo i temi dell’energia o dell’economia digitale, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, dello spazio come dell’acciaio, degli asset infrastrutturali come delle filiere industriali, ben sapendo che i nostri avversari sistemici, cioè i sistemi autoritari, li utilizzano appieno nel loro confronto con le democrazie occidentali. Tutto questo fa parte di quello che viene chiamato guerra ibrida. A tal proposito, abbiamo evidenziato la necessità di disporre di un’intelligence economica al servizio del sistema Italia, che sia proattiva a tutela della scienza e della tecnologia e degli asset produttivi del Paese.

Di fronte alle sfide energetiche proposte da un affrancamento dalla Russia, come può il nostro paese risolvere il problema dell’autosufficienza?

L’Italia importa il 95% del gas che utilizza, e di questo, il 42% proviene dalla Russia. E’ chiaro che le sanzioni per il nostro sistema produttivo, ma anche per le famiglie italiane, rappresentano un grande sacrificio. Sacrificio, tuttavia, che viene richiesto e condiviso sul presupposto più importante, la difesa della libertà, del nostro modello di democrazia occidentale e del principio di autodeterminazione dei Popoli. Paradossalmente, se da questo momento difficilissimo vogliamo trarre un insegnamento positivo, questo si può tradurre nella necessità, ormai chiara a tutti, di accelerare un processo di diversificazione nelle forniture energetiche del Paese, e al contempo di potenziamento della nostra autonomia energetica. Anche su questi aspetti, il Copasir era recentemente intervenuto, prima dello scoppio del conflitto, con la Relazione del 13 gennaio sulla sicurezza energetica nella attuale fase di transizione ecologica. Lanciando l’allarme, ma individuando anche possibili soluzioni, da proporre al Governo e al Parlamento. Ad esempio, con un migliore sfruttamento e una revisione del sistema delle concessioni per i bacini idroelettrici, con ulteriori investimenti sul solare e sull’eolico, ma anche prevedendo il ricorso ai poteri sostitutivi dello Stato, in caso di inerzia degli Enti locali. Il gas naturale sembra poi rappresentare una risorsa irrinunciabile nel breve-medio termine, in attesa che possa completarsi la transizione energetica. Anche allo scopo di invertire il dato relativo all’aumento del 250 percento della spesa delle famiglie per il gas naturale, occorrerebbe valutare l’ipotesi di incrementare l’estrazione di gas dai giacimenti italiani, riducendo allo stesso tempo gli acquisti dall’estero in modo da mantenere costante il volume dei consumi. Si tratterebbe di sfruttare più efficacemente i giacimenti già attivi, in modo da raddoppiare la quota nazionale da poco più di quattro a circa nove miliardi di metri cubi all’anno.

Con la crisi del populismo ci si è risvegliati in una nuova Italia che fatica a riformulare gli assetti ideologici. Da dove devono ricominciare i partiti per affrontare le sfide del futuro?

Più che di crisi del populismo, parlerei di crisi della politica. Che troppo spesso ha abdicato al suo ruolo, rinunciando ad individuare una strada maestra per riportare in alto il nostro Paese. Bisogna distinguere, come da sempre avviene ad esempio nelle democrazie anglosassoni, tra le divisioni nella politica interna, che giustamente evidenziano le diverse sensibilità politiche sui temi più disparati, da quelli etici, a quelli sociali ed economici, dall’interesse nazionale. Che va sempre e comunque tutelato. Come avvenuto recentemente, proprio in occasione della risposta unitaria delle forze politiche nel condannare con fermezza e con la massima durezza la invasione russa dell’Ucraina. Un atteggiamento che potrebbe forse aprire una nuova fase, proprio nella dialettica politica e nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Così come è indispensabile investire nei giovani, nella formazione delle nuove classi dirigenti. Non per riproporre le vecchie ideologie del’900, ma per appassionare di nuovo migliaia di ragazzi all’impegno sociale e politico. Fornendo loro modelli virtuosi e credibili. Ecco, in questo senso penso che l’opposizione ‘patriottica’, come bene interpretata dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, possa essere una sintesi efficace di questo percorso in questa fase storica, nella quale far convergere le migliori intelligenze ed energie della società italiana. Per essere pronti a governare quando e se il Popolo, unico sovrano in democrazia, ce ne darà l’opportunità con il voto liberamente espresso nelle urne.

 

IERI AL SENATO LA CONFERENZA DI FARE FUTURO SUL FUTURO GEOPOLITICO DELL’ITALIA

– Francesco Subiaco

“L’alleanza atlantica, la crisi ucraina e la sicurezza euromediterranea” sono questi i temi trattati nella conferenza stampa della Fondazione Fare Futuro, in collaborazione con l’International Republican Institute ed il Comitato atlantico, che si è svolta il 14 marzo alla sala caduti di Nassirya del Senato della Repubblica. Una conferenza che ha visto gli interventi del presidente della fondazione Fare Futuro, il Sen. Adolfo Urso, del presidente del Comitato Atlantico, professor Fabrizio Luciolli, del direttore per la strategia Transatlantica dell’IRI, Jan Surotchak, del ministro degli affari esteri Luigi Di Maio e del ministro della difesa Guerini. Interventi che hanno aperto le attività del convegno del 14  e 15 marzo, con oggetto l’analisi e l’interpretazione dei principali fenomeni internazionali, delle prospettive dell’alleanza atlantica di fronte alle sfide che le autocrazie pongono alle democrazie occidentali, del ruolo dell’Europa nel risolvere le crisi e i disordini strategici che stanno sconvolgendo il Mediterraneo allargato e le regioni orientali, attraverso il confronto e l’approfondimento. Idee che si sviluppano nel convegno con le prospettiva di delineare “una comune visione europea ed occidentale che non può prescindere dagli interessi nazionali, capace di coniugare sostenibilità e bisogno di libertà che ci portano ad un cambio di paradigma capace di affrontare la crisi sistemica e i conflitti che stanno sconvolgendo il mondo” come ha sottolineato il presidente Urso nel suo intervento dove ha ribadito “le preoccupazioni per il rafforzamento militare delle autocrazie, come la Russia, nel continente africano, e della competizione sullo sviluppo delle tecnologie e sul controllo del Mediterraneo che pongono nuove sfide all’occidente”. Delle sfide che il nostro paese deve affrontare con la coscienza dei profondi cambiamenti che stanno avvenendo sulla scacchiera internazionale, che di fronte alla tragedia dell’aggressione russa portano “la necessità di ripensare e rivedere le nostre strategie, alla luce dell’adozione del Concetto Strategico e della Bussola europea, auspicando una Nato più europea, ma soprattutto una Unione Europea più capace di ritrovare le proprie radici, i propri valori democratici e liberali, come è accaduto a Kiev. Superando la situazione di inability to act per difendere le nostre democrazie” come ha dichiarato il presidente Luciolli.  Una conferenza che ha sottolineato la necessità di ripensare il Mediterraneo e l’orizzonte comune occidentale, ripartendo dai valori occidentali che in un mondo frenetico e complesso deve saper confrontarsi con gli attacchi delle autocrazie, contrastando l’influenza neoimperiale russa e cinese sui paesi in via di sviluppo e sulle difficoltà del vecchio mondo.

Un evento che come ha affermato l’ambasciatore Gabriele Checchia è un segnale con cui questi tre pensatoi apportano un contributo alla solidarietà euroatlantica alla luce dell’inammissibile aggressione della Russia di Putin, che non ha nulla a che fare con quella Russia che guarda invece alla democrazia e all’Europa, per consolidare la necessaria condivisione dei valori e degli strumenti di difesa, poiché l’alleanza atlantica è un patto esclusivamente difensivo, offrendo il nostro pieno sostegno al popolo ucraino senza arrivare ad uno scontro diretto, pericolosissimo, con la Federazione Russa, coniugando senso di responsabilità con quei valori grecocristiani che sono il simbolo dell’identità occidentale”

Draghi, altro che “credibilità internazionale”: anche in questa crisi l’Italia non conta nulla


-Tommaso Alessandro De Filippo


Roma, 13 mar – Ricordate le chilometriche interviste e dichiarazioni di numerosi esponenti dell’agorà mediatica nei giorni dell’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi? Un fiume di entusiasmo teoricamente motivato dalla “credibilità istituzionale e geopolitica” che l’ex presidente della BCE avrebbe fornito all’Italia con il proprio arrivo.

Draghi e la credibilità dell’Italia

Pochi osservatori fecero notare che Draghi avrebbe avuto l’unico ruolo di essere garante della stabilità politica, per rasserenare la UE sull’appoggio incondizionato dell’Italia a misure come la ratifica del MES (il cappio al collo che Bruxelles sogna di imporci da anni) e la famigerata riconversione verde, tragicomicamente stravolta dalla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Chiunque esprimesse dubbi sulla presunta immagine positiva che l’Italia avrebbe ritrovato venne tacciato di complottismo e negatività, marginalizzato ed isolato nel dibattito mainstream. Eppure, alla prima vera grande crisi geopolitica l’inconsistenza italiana in politica estera e l’inutilità di Draghi frustrato a Palazzo Chigi sono evidenti. Nelle ore precedenti l’inizio della guerra Draghi ancora paventava un viaggio a Mosca volto ad incontrare Putin ed “intavolare la via diplomatica per risolvere la crisi”. I fatti hanno smentito il premier, tra l’imbarazzo nazionale.

Le solite esclusioni

Tuttavia, anche a conflitto in corso Draghi è stato escluso da tutti o quasi i vertici istituzionali e diplomatici: in UE sono ancora Francia e Germania quelle che, almeno comunicativamente, possono operare in ambito geopolitico con l’immagine di rappresentare una pur minima potenza geopolitica. Non a caso i vertici li tengono autonomamente e, quando ritengono di dover ampliare la compagine delle nazioni presenti ai tavoli diplomatici, scelgono nazioni maggiormente credibili della nostra come Spagna, Polonia o Regno Unito, che ha lasciato la UE tra gli attacchi e le ironie di larga parte degli osservatori. Anche sul piano extraeuropeo le attenzioni verso l’Italia a guida Draghi sono prossime allo zero, dato che Biden e tutta la presidenza USA non hanno mai preso in considerazione l’Italia sul piano diplomatico per provare a risolvere la crisi, affidandosi fino ad ora prevalentemente allo storico e radicato alleato britannico.

Come se non bastasse il presidente ucraino Zelensky dal suo bunker ha spesso rimarcato la vicinanza ideologica e politica alle singole nazioni europee ed occidentali, citando però raramente l’Italia, piuttosto polemizzando ironicamente con Draghi nelle scorse settimane, in occasione della nota telefonata mancata tra il premier ed il presidente ucraino. Un mix di inconcludenza ed impalpabilità in ambito internazionale che annulla ancor più il peso geopolitico dell’Italia, nonostante la presenza a capo del governo di una figura di “alto profilo” che all’estero però viene percepita con una considerazione alquanto limitata.

ATTUALIZZARE MAZZINI DOPO 150 ANNI: IL PATRIOTTISMO COME EREDITÀ INCANCELLABILE

– Tommaso Alessandro De Filippo

Cosa resta di Giuseppe Mazzini 150 anni dopo la sua morte? Ce lo si chiede in un’epoca avversata dall’ostinata voglia di cancellare e modificare la storia ed il pensiero delle figure che essa ci ha donato, con le loro battaglie ideologiche e politiche che sembrano stonare rispetto all’attualità torbida che affligge il nostro tempo. L’importanza del sacrificio, compiuto nell’ottica della convinzione delle proprie idee e nella necessità di rivoluzionare delle società sbagliate non appare più una convinzione maggioritaria. Anche in ragione di ciò, ricordare adeguatamente i volti eroici del nostro passato appare difficilmente perseguibile senza sfociare nella banalità e nel giudizio negativo che i cultori della cancellazione di radici ed ideali potrebbero emettere. Eppure, in questo ambiente sociale ostile resta fondamentale non arrendersi dinanzi ad una deriva pur prevalente, certi dell’importanza di attualizzare gli aspetti fondamentali che caratterizzano il valore del sacrificio e del patriottismo mazziniano. In primis, con il ricordo di Giuseppe Mazzini rilanciamo una testimonianza di sacrificio, impegno e determinazione compiuto per l’utopia realizzata dell’Italia unita. Quel desiderio di fratellanza di un popolo bisognoso del superamento delle divisioni si è tramutato in realtà grazie alla perseveranza degli eroi e dei martiri risorgimentali. Tuttavia, in questo momento storico, dove tensioni geopolitiche e scontro tra potenze determineranno i nuovi equilibri mondiali, poter usufruire dell’unità nazionale e del sentimento patriottico è l’ancora a cui aggrapparsi. Questo condiziona positivamente il nostro pur complesso cammino nell’attualità: essere consapevoli del passato dovrà motivarci per costruire adeguatamente il futuro. L’amore per la verità, la libertà ed i doveri sociali, condizioni necessarie per l’avvento di una vera democrazia, sono oggi il baluardo da difendere contro l’avanzata di autocrazie e regimi che annullerebbero la nostra eredità storica. Conoscere e ricordare le radici mazziniane impiantate al tempo sono il miglior gesto di riconoscenza verso le sue idee. Ritenere che siano mero inchiostro dei libri di storia non meritevoli di attualizzazione sarebbe il primo passo per vanificare il futuro.

PROF. MICHELE MARSONET: “GLI USA CONTRASTINO IN OGNI MODO LA RUSSIA. IL MONDO DELL’ISTRUZIONE ITALIANO È DA RIFONDARE”

– Tommaso Alessandro De Filippo


Il Prof. Michele Marsonet si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in Filosofia della scienza presso l’Università di Pittsburgh (USA). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Fellow” presso le Università di Oxford e Manchester (UK), City University of New York e Catholic University of America (USA). E’ Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova (2001-2002, e 2008-2011). Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (2002-2005, rieletto per il periodo 2005-2008). Dal 2008 al 2014 Pro-Rettore con delega all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova. Dal 17 ottobre 2012 è Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (USA). Visiting Scholar all’Università di Melbourne (Australia) nel 1999. E’ stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri: Fribourg (Svizzera, 1989 and 1996), Hertfordshire (UK, 1994), Siviglia (Spagna, 1995), Varsavia (Polonia, 1995), Malta (1996, 1999, 2003, 2005), Pittsburgh (USA, 1992 and 1997), Islanda (1998), Giessen (Germania, 1998), Melbourne (Australia, 1999), Bergen (Norvegia, 2000), Malaga (Spagna, 2001), Oxford (UK, 2001), Université Catholique de Louvain (Belgio, 2001), Stirling (UK, 2002), Cork (Irlanda, 2004), London King’s College (UK, 2005), Babes-Bolyai University (Cluj, Romania, 2007), St Andrews (UK, 2009), Hanoi (Vietnam, 2015). Fellow del Center of Philosophy of Science, University of Pittsburgh (USA). Coordinatore programmi scientifici nazionali, finanziati dal MIUR e dal CNR. Dal 2008 è External Examiner per tesi di Master e Ph.D. della University of Malta. E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima (Perù), e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dalla Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 28 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in riviste italiane e straniere. Inoltre, collabora con il magazine online Atlantico, diretto da Daniele Capezzone e Federico Punzi. Abbiamo avuto il piacere di dialogare con lui sul conflitto tra Russia, Ucraina ed USA, oltre che sulle attuali restrizioni pandemiche italiane proprogate nel tempo e le difficoltà del nostro mondo dell’istruzione.

Prof. Marsonet, può esprimerci le sue considerazioni in merito ai venti di guerra tra Russia ed Ucraina?

La Russia ha una responsabilità diretta delle tensioni in corso insieme all’Ucraina, dato il loro scontro frontale protattosi negli anni, dovuto anche a delle ragioni storiche. Credo che il comportamento americano in tale ambito sia dettato dalla necessità di Biden di tenere a bada l’opinione pubblica negli USA. Infatti, lo scenario politico futuro degli Stati Uniti è assolutamente incerto, con i DEM che non sono uniti intorno al presidente espressione del proprio partito ed un GOP alle prese con la necessità di ritrovare degli equilibri interni. Pertanto, ritengo che la pressione esercitata dagli USA su Russia ed Ucraina sia dettata soprattutto da motivazioni interne. Tuttavia, se ciò serve per impedire a Mosca di invadere Kiev ben venga.

Ritiene che l’attuale strategia di USA e NATO volta a difendere il territorio ucraino possa rivelarsi efficace a lungo termine?

Attualmente c’è una tale preponderanza armata di matrice russa che rende difficile ad una NATO così disarticolata immaginare di contrastarne la forza. Inoltre, è da menzionare l’ambiguità e l’incapacità costante della UE in materia di politica internazionale. Ieri come oggi gli unici a poter fare la differenza in situazioni come questa sono gli americani, che sono però stanchi di dover combattere guerre evitabili in difesa di altre nazioni, prive della capacità di difendersi autonomamente.

Quanto pesa l’ambiguità di Parigi e Berlino ed il loro interesse a condurre accordi economici con Russia e Cina sulla stabilità dell’alleanza atlantica?

Purtroppo i principali paesi europei dipendono ad oggi dalle forniture russe di gas ed energia, dati gli accordi presi sui gasdotti NordStream. Anche in ragione di ciò, non possono assumere delle posizioni dure nei confronti di Mosca e devono necessariamente trovare una mediazione. Anche l’Italia nella figura di Mario Draghi credo proverà a fare questo, data la nostra attuale assenza di autonomia energetica.

Dal suo punto di vista a cosa è dovuta la fascinazione di alcuni occidentali verso Vladimir Putin e le modalità di governo di stati come la Russia?

È dovuta al fatto che Putin rappresenti l’immagine di uomo e politico forte, dotato di un “pugno di ferro” che utilizza per governare la propria gente. Inoltre, in Italia ed in parte delle nazioni occidentali c’è un sentimento di sfiducia verso le classi politiche che vengono ritenute deboli. Ciò porta ad essere attratti da figure istituzionali differenti. Storicamente le grandi potenze hanno sempre praticato una politica di forza volta ad imporre i propri interessi in ambito internazionale.

In che modo valuta le attuali restrizioni delle libertà individuali prorogate dall’esecutivo italiano attraverso i recenti decreti?

Non condivido le polemiche verso le restrizioni avanzate da molti liberali. Ritengo che il momento sanitario sia complesso e meritevole di attenzione da parte della politica. Il governo italiano con la guida di Mario Draghi ha raggiunto dei risultati eccellenti in materia di campagna vaccinale ed io francamente giustifico alcune limitazioni delle libertà individuali condotte al fine di tutelare la salute.

Di che riforme in campo economico e sociale avrebbe urgente bisogno l’Italia?

Sul piano economico sarebbe necessaria una maggiore attenzione verso le industrie, le attività produttive ed il mondo dell’istruzione. Settori che non possono essere abbandonati perchè fondamentali per la formazione ed il mantenimento del tessuto sociale ed economico nazionale.

Come sarebbe possibile apportare dei miglioramenti al mondo dell’istruzione italiano?

In primis bisogna cercare di stoppare la politica della Didattica a distanza. Io stesso da professore universitario ho avuto modo di utilizzarla e la ritengo devastante per gli studenti di ogni grado scolastico. Spero realmente che si possa investire di più nel mondo dell’istruzione italiano e migliorarne le qualità, onde evitare un futuro disastroso per le nuove generazioni.

In chiusura, ritiene che i referendum sulla giustizia previsti in primavera possano dare la spinta necessaria per giungere ad una vera riforma della magistratura in Italia?

È molto difficile. Possono sicuramente avere una certa efficacia ma la magistratura ha raggiunto in Italia un potere quasi assoluto che sarà, al netto dei risultati delle votazioni, molto difficile da modificare.