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Mishima, storia di uno scrittore trafitto da una rosa

Mishima, storia di uno scrittore trafitto da una rosa

Di Francesco Subiaco


«Conosci il poeta che venne assassinato da una rosa?»


Yukio Mishima, non è solo il grigio dell’acciaio delle katane dei samurai, il rosso del sangue versato durante il seppuku quel lontano 25 novembre del 1970, o il candido dei crisantemi diafani dell’imperatore e del Giappone dei kami. È anche il giallo aureo del Padiglione d’oro, il nero delle uniformi conformi e tradizionali degli studenti Giapponesi, dietro cui si nascondeva il protagonista delicato e imperdonabile delle Confessioni di una maschera, il viola dei kimoni del teatro Nō e soprattutto è il cremisi fatale e sensuale della rosa e della maledizione che lo lega a questo autore straordinario e dannato delle lettere nipponiche. Tinte che mostrano come Mishima sia un autore ricco di imperdonabili e inconfessabili sfaccettature, che va letto e conosciuto alla luce di tutti i suoi colori proibiti. Yukio Mishima, infatti, vive nella sua figura l’equivoco di essere non solo un grande autore, ma soprattutto di essere un simbolo e una leggenda per gran parte della cultura controcorrente, definizione limitante per un autore di questo spessore. Mishima, infatti, non fu soltanto l’icona mitica e sacrale di una “destra divina” e ribelle, che trovava nel suo seppuku, compiuto il 25 novembre del 1970, il sacrificio di un Che Guevara conservatore e identitario oppure nella sua nostalgica battaglia per un mondo antico e panico la protesta antimoderna di un Pasolini patriottico e guerriero, ma fu anche tanto altro. Fu l’ultimo testimone di una kulturkamph tra identità nipponica e mondo moderno, tra le tentazioni della civiltà di massa e le estasi delle ierofanie dei kami, l’esteta armato che di fronte ad un plotone di soldati e di curiosi il 25 novembre offrì la propria vita in nome di una resurrezione spirituale e morale dell’uomo di fronte alla decadenza del Giappone contemporaneo, pregno di nostalgia degli dei e coraggio titanista. Un arcangelo guerriero del numinoso e dell’identità sciamanica e rituale di un sogno perduto e lontano che riflette l’idea per cui “se Dio non esistesse più bisognerebbe farlo rinascere”. Nella produzione di Yukio Mishima però non esistono solo “Sole e acciaio” e “Lezioni spirituali per giovani samurai”, ma c’è molto di più, c’è l’esteta decadente sacerdote della bellezza e martire dell’assoluto, c’è il cantore della desolazione spirituale del mondo che nel Mare della fertilità rese eterni i temi di sconforto e disperazione presenti nella sua sensibilità, c’è soprattutto l’autore puro e incorruttibile trafitto da una rosa che conservava fiori imperituri contro l’inverno dell’oblio e della perdita. C’è il protagonista controverso e innominabile delle lettere nipponiche che con il suo sacrificio volle mettere una firma, un finale su un’opera d’arte complessa e celestiale fatta di romanzi unici come la tetralogia de “Il mare della fertilità” e le “Confessioni di una maschera”. Per scoprire tutte queste sfumature di Yukio Mishima è fondamentale leggere e rileggere “Trafitto da una rosa” di Atsushi Tanigawa, editi dalla Gog edizioni di Lorenzo Vitelli. Tanigawa estetologo ed acuto conoscitore di Mishima traccia una cartografia dell’autore dei Colori Proibiti innescandosi proprio dal ricordo personale di quel 25 novembre del 1970, il giorno del seppuku, il suicidio rituale dei samurai, quello in cui Mishima si trafigge il ventre, come ultimo, estremo gesto. Da quel ricordo fatale nasce l’immersione totale di Tanigawa nell’opera di Mishima approfondendone le opere e i temi principali: la musica, la flora, il culto del corpo, le contaminazioni elleniche, quelle poetiche, da Rilke a Valéry, l’influenza dannunziana, la cultura liberty e l’identità profonda, tra D’Annunzio e Kawabata. Un viaggio in un mondo fatto di bellezza e morte, di sublime e vitalismo, in cui il lettore troverà un autore straordinario capace di sprofondare negli abissi dell’interiorità e di risorgere nella maestosità di un capolavoro nel richiamo dei passati perduti. Un viaggio tra delicatezza e sensualità, estetismo e ribellione, in cui la rosa, come una maledizione letteraria, incontra il destino di Mishima e dei personaggi, diventando la metafora del rapporto tra l’artista e l’assoluto, l’uomo e la bellezza, il corpo e lo spirito. Come il Rilke di un suo racconto, che si avvicina ad una rosa spinosa, seppur malato e vulnerabile, e ne viene trafitto mortalmente anche Mishima è trafitto dalla bellezza, dal numinoso, dalla potenza, che lo colpiscono, dissanguano e prosciugano fino a trasformare la sua vita in un esile vetro e la sua opera in un miracolo fragile e straordinario. Scoprire quindi l’opera di Tanigawa è scoprire e vivere il rapporto conflittuale e fatale con quella rosa ricca di echi e di misteri. È rivelare che l’opera di Mishima non è solo quella di un santino di una parte, ma il travaglio spirituale di una delle anime più profonde e malinconiche del novecento. Un autore che scrisse romanzi in cui i temi dell’omosessualità, del mito, del rapporto controverso con l’identità, con la cultura toccano, diventano scenari per mostrare con lucida disperazione i luoghi oscuri dell’animo umano, il vento divino e travolgente del sacro che attraversa le vite dei protagonisti rompendone tutte le certezze e conferme poiché “Le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso”. La delicatezza piena di tatto e profondità che permeerà le atmosfere del capolavori di Nagisa Oshima, “Merry Christmas mr. Lawrence”, ricco di echi mishimiani (la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto infatti si chiamerà Forbidden colours). Rileggere oggi il proclama conclusivo dell’esistenza di Yukio Mishima, con la consapevolezza che ci viene dalla lettura di “Trafitto da una rosa”, ci porta a guardarlo come l’ultima speranza, il finale inaspettato che si cela nel Mare della fertilità, un’ultima ribellione romantica dopo l’ammissione finale della Decomposizione dell’angelo (ultimo tomo del Mare della fertilità):”Sono venuto” pensò Honda “nel luogo del nulla, dove ogni ricordo è cancellato”. Un finale che Mishima col suo gesto voleva riscattare far risorgere con un gesto romantico e rituale poiché “la vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”.

“Difendi, conserva, prega”. L’Italia interiore di Pasolini

Di Lorenzo Lombardi

Bisogna essere molto forti per amare profondamente Pier Paolo Pasolini. Non si devono temere le sue profezie sul mondo post-storico a cui egli assiste per privilegio d’anagrafe, il suo amore che solo è nella tradizione ed il suo smarrimento nella ricerca di fratelli che non sono più. Ricostruendo l’opera di Pasolini come giustamente riconosce Vincenzo Cerami, si assiste alla storia d’Italia dalla decadenza del fascismo sino al boom economico.La storia che un poeta narra è sempre una storia interiore poiché il poeta svela i codici, rivela l’anima del tempo dinanzi al divenire quotidiano, sottopone al dubbio perpetuo le verità che sembrano intramontabili e dispera di quei valori eterni tramontati nell’illusione che non potessero più ’servire’, i valori che il poeta riconosce alla luce della loro vitalità come i doveri a cui sottoporsi per rendere la vita degna del suo valore.In questi trent’anni di storia interiore improvvisamente si cade in un abisso, in cui non è più possibile riconoscere realtà particolari, il mondo contadino paleo-capitalista ed il dialetto inventato ogni mattina dai poveri, per non farsi capire, per non condividere con nessuno la loro allegria. Ci si inabissa nel baratro interclassista in cui la mutazione antropologica degli italiani si è compiuta in nome ‘’della libertà, dell’uguaglianza e dell’umanità’’o almeno così sostiene il potere ma gli occhi del poeta rivelano che questa ‘’rivoluzione’’ si è compiuta in nome della schiavitù, dell’omologazione e della postumanità.’’In Italia ognuno sente l’ansia degradante di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero.Mai la diversità è stata una colpa come in questo periodo di tolleranza.’’:così Pasolini condanna chi ‘’è diverso essendo egli comune’’, l’edonismo di massa, la sregolatezza non del genio ma dello stolto che a tutti i costi deve palesare le sue catene invisibili, la sua incosciente coscienza d’infelice.Nell’epoca del tramonto del passato Pier Paolo non può più neanche ammirare assieme al fanciullo Dillio ‘’sui nostri corpi la fresca rugiada del tempo perduto’’poiché il ‘’nuovo potere è un potere che manipola i corpi trasformandone la coscienza’’, il Dopo-storia albeggia e non lascia alle spalle alcun tramonto, calpesta le carcasse del passato e le incide di un’eterna colpevolezza per giustificare la morte di cui si nutre, al poeta vecchio-ragazzo come si legge nella ri-scrittura di ‘’Dilli’’ del 74’ non resta che essere ‘’il sogno di un corpo’’, ’’conchiglia contro il male, di cui nessuno sa’’, non gli resta che ‘’rimanere fedele al proprio scopo’’ in un mondo privo di destinazione.Notiamo dunque come la componente idealistica dell’autore vinca sulla morte dell’deale, espressa magistralmente in quello che secondo C.B è l’unico film a possedere qualcosa che non appartiene al cinema, ovvero il Salò-Sade del 75’,dove quest’ultima si abbandona al senso esteriore e dunque tangibilmente reale rovesciando i canoni estetici dell’etica e rivelando nel sado-masochismo il peccato originale:l’anarchia del Potere. Nonostante il poeta, in quanto parte attiva della massa, subisca i valori falsi e alienanti dell’ideologia consumistica, egli non li interiorizza, ne è schiavo su un piano prettamente formale, esteriore ma questa volta irreale ,egli è salvato dalla stessa cultura che gli permette di contestare l’ideologia dominante. Assistiamo ad una contraddizione pulsante:la crisi della modernità abita il mondo ed il suo senso esteriore e questa volta reale ma nel poeta risiedono con nostalgia e disperata vitalità i valori del vecchio mondo a cui la realtà non lascia spazio ma divengono interiori e solo apparentemente irreali.Il poeta dunque non abbandonerà il suo rapporto col sacro intriso di contemplazione pittorica e pur ‘’girando per la Tuscolana come un pazzo, come un cane senza padrone’’ conserverà dentro di sé l’ingenuità della miseria, la veracità del sottoproletariato romano, dei ragazzi di vita che non imitavano i ragazzi della borghesia ma rimanevano fedeli a sè stessi ,alla loro cosciente incoscienza del mondo esterno, segregati fra la fame ,l’abbandono e la gaiezza di una vita violenta.A dispetto del Neorealismo, contraddistinto da un forte carattere prospettivistico-marxista ,la produzione letteraria e cinematografica che riguarda le borgate romane nasce dal disincanto e dall’accettazione di una realtà istintuale e immorale ma non per questo priva di codici etici e tradizioni proprie.Pasolini considera questa realtà come l’ultima sponda in cui il naufragio del consumismo non ha contaminato le rive ma anche il rimpianto di un mondo contadino ,un mondo che non esiste più e che egli rivive attraverso l’amore dannato e apollineo per sua madre, vertiginoso e imprescindibile ,quell’amore che gli impediva di innamorarsi di tutte le altre donne.Nota brillantemente Marcello Veneziani nel suo atlante ‘Imperdonabili’ come Pasolini sia in realtà un conservatore nel nome della madre, ’’all’amor patrio preferì l’amor matrio, più che le radici amava le matrici:la madre terra, la madre Chiesa e la madre lingua.’’Risiede in questa tensione l’eresia dell’intelettuale corsaro e come ogni eretico P.P.P morirà ucciso, il suo omicidio ancor oggi è avvolto nel mistero, sospeso fra le plurime e contradittorie dichiarazioni del ragazzo di vita Pino Pelosi e gli ipotetici indizi dell’assassino di Enrico Mattei nel romanzo rimasto incompiuto ‘’Petrolio’’.Noi non conosciamo le cause, i dettagli e le motivazioni ma di certo non può stupirci che in una società come la nostra un poeta venga ucciso.Ammazzare un poeta è il gesto fondativo ,l’atto che redime la coscienza dalla realtà, nell’illusione che la coscienza sia una prigione da cui evadere, una statua da abbattere, una libro al rogo, una memoria da abolire. La morte ‘’santa’’ di Pasolini tuttavia conferisce ad egli un valore ancora più alto ed ad oggi il suo spirito è la bussola che ci conuduce nella notte del mondo alla luci dell’eterno ,Pier Paolo ha accolto la lezione di Cristo che è venuto a portare la spada e non la pace, ovvero a rovesciare gli ordini pre-costituiti piuttosto che conformarsi passivamente ad essi.La sua anima aleggiando fra le vette del mondo ci sussurra il comandamento a cui prestare fedeltà per farci scudo fra la breccia della modernità: “Ama, prega, conserva!”.

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL ‘700 MUSICALE NAPOLETANO

Quindici appuntamenti imperdibili con un solo filo conduttore: la valorizzazione della Settecentesca Scuola Musicale Napoletana.

Quest’anno la XXI edizione del Festival Internazionale del ‘700 Musicale Napoletano si presenta con molte novità: il riconoscimento del Ministero alla Cultura tra i Festival di interessa Nazionale e l’ammissione all’ European Festivals Association dopo essere stato valutato da esperti internazionali nel mondo dei festival ed omaggerà due grandi musicisti epigoni della Scuola musicale Napoletana, Saverio Mercadante e Ferdinando Carulli che non é stato possibile celebrare l’anno scorso a causa del lockdown e i Settecento anni della morte del Sommo Poeta Dante Alighieri.

Il Festival Internazionale del ‘700 Musicale Napoletano, si articolerà in 15 appuntamenti che si svolgeranno nella seconda metà di dicembre 2021 e presenta un programma variegato in grado di interessare larghe fasce di pubblico. Chi segue il Festival conosce il carattere divulgativo dello stesso che pur proponendo esecuzioni storicamente informate, non trascura altri generi musicali senza perdere l’unicità del filo conduttore: la valorizzazione della Settecentesca Scuola Musicale Napoletana.

Il Cartellone ricco di eventi  proporrà Opera Comica con La Finta Tedesca di Hasse per la regia di Riccardo Canessa e Raffaella Ambrosino nel ruolo di Carlotta  e Carmine Monaco D’Ambrosia nel ruolo di PantaleoneMusica Sacra con il Requiem di Niccolò Jommelli, Musica da Camera con le Sonate Trio interpretate da Nunzia e Raffaele Sorrentino e al clavicembalo Angelo Trancone, Solisti con Enza Caiazzo che al clavicembalo eseguirà musiche di autori di Scuola  napoletana, Francesco Pareti in SHB 1685, concerto dedicato a Domenico Scarlatti, Haendel e Bach e ancora, Danza con Le Ombre Segrete per la coreografie e regia di Antonello Tudisco con  musiche e testi di Max Fuschetto, Cosimo Morleo e Pasquale Capobianco ed Enzo Oliva al Pianoforte, Teatro musicale con la Cantata dei Pastori del Perrucci elaborata e diretta da Carlo Faiello con il mitico Giovanni Mauriello e un inedito lavoro di Antonio Mocciola Voce dal sen fuggita. Dai castrati ai soprani, la rivoluzione di un’epoca, con Il mezzosoprano Gabriella Colecchia nel ruolo di Giuditta Pasta e l’attore Antonio D’Avino nel ruolo di Giovan Battista VellutiGianni Gambardella al pianoforte, la partecipazione di Andrea Cancelliere e Diego Sommaripa alla regiaStraordinario evento dove sarà eseguito un inedito di Saverio Mercadante, quello dedicato a Dante con il Concerto Italica Famosa tra Dante e Mercadante che vede protagonista il mezzosoprano Manuela Custer accompagnata dal pianista Raffaele Cortesi e il quartetto Dafne, evento promosso dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni Dantesche. Musica Barocca con strumenti d’epoca con I Solisti dell’Orchestra Barocca di Cremona diretti da Giovan Battista Columbro e La Burrasca ensemble di strumenti storici diretto da Pierfrancesco Borrelli con il sopranoCarmela Osato.Jazz con Daniele Sepe che con il pianista Bruno Persico improvviserà su temi di Saverio Mercadante, e a favorire il ricambio generazionale due eccezionali giovani interpreti, Francesco Bakiu che eseguirà delle Sonate di Domenico Cimarosa e Cristina Galietto con il Concerto in Mi minore di Ferdinando Carulli per Chitarra e Orchestra. Protagonista in ben quattro dei concerti l’Orchestra da Camera di Napoli diretta da Enzo Amato che è l’ideatore del Festival e ne cura la direzione artistica.Tutti gli eventi si svolgeranno in luoghi storici e suggestivi come il Centro di Cultura Domus Ars, La Sala Comencini della Fondazione Circolo Artistico Politecnico, la Basilica di San Giovanni Maggiore, la Sala del Capitolo di San Domenico Maggiore e la Chiesa di Santa aria dell’Aiuto.

Maggiori informazioni e acqusiti dei biglietti, con tutte le date e gli spettacoli, su https://www.azzurroservice.net/

(Per vivere in sicurezza questa meravigliosa esperienza è obbligatorio prenotarsi acquistando i biglietti o l’abbonamento on line con Azzurro Service o al punto informazione Domus Ars Centro di Cultura in Via Santa Chiara 10 Napoli tel. 081.34.25.603 – infoeventi@domusars.it, ed essere in possesso di green pass)

IL NATALE D’EUROPA 

A cura di Edoardo Baccarini (Forza Italia Giovani) 

La macchina europea ha partorito un’altra insensata, folle, inutile, ridicola, grottesca, stupida, sciocca, vergognosa battaglia. Che poi, perché chiamarla battaglia? Meglio dire boutade, stronzata involontaria, brutta uscita, figuraccia, insomma, tutto questo per dire che a Bruxelles l’hanno fatta davvero grossa. Quando si tratta di spropositi, di narrazioni straordinarie, l’Europa c’entra sempre, e ciò già a partire dalla mitologia greca, quando fanciulla, prima  ammirata e sedotta da Zeus con sembianze di toro, fu poi violentata dallo stesso con l’aspetto di un’aquila. Quanto è passato dal “tempo de li dei falsi e bugiardi”!, eppure c’è chi Europa non smette mai di violentarla, neppure per un secondo. E, badate, queste sevizie, reiterate e spregevoli, non trovano più uomini, donne decisi a combatterle, ma tiepidi adulatori del pensiero unico, veloce, laico e del “meglio farmi i fatti miei”, che non sanno nemmeno cosa indossare la mattina. Il conformismo: la nuova ignavia; la banalità del pensiero: la nuova facondia… tutto spregevolmente si propaga e si dilata nel continente grazie alla lingua, alla parola, intese come strumento tecnico, astratto, insensibile. D’altronde, è bene ricordarlo, c’è chi con la lingua ha giustificato i gulag, c’è chi con la parola ha convinto una nazione che la stella di David fosse un bersaglio. E tutto alla luce del sole, con il plauso di uomini e donne europei, uomini e donne civili e civilizzati, che portano bombe e carri armati per insegnare la democrazia agli altri, quando loro stessi non sono affatto democratici, ma nazisti, comunisti, fascisti, intolleranti, persecutori, iracondi ecc… alla penombra di questo imbarazzo, d’accordo con la storia burocratica degli ultimi anni, dopo le battaglie al Crocifisso ed all’identità Cristiana della maggioranza dei Paesi che siedono nel suo Parlamento, l’Europa chiede di cancellare i nomi cristiani dei bambini, di trovarne altri, magari da altre realtà del mondo. La tecnocrazia europea ci chiede di eradicare le tradizioni, di uccidere l’arte, la cultura e la storia in nome di un più ampio spirito di accoglienza inoltrato via fax, ignorando totalmente (come tutti quelli che portano avanti le idiozie) che la Chiesa Cattolica ed il Natale del nostro Salvatore Gesù Cristo sono il fondamento primario di quel valore così tanto bistrattato e atteso. L’Europa si occupi dei veri problemi che la affliggono, tra cui la sua incapacità di fare la differenza, la mancanza di un esercito e di una coesione politica sincera tra le nazioni che ne fanno parte. Lasci perdere la religione, che forse, al contrario di quel che fa, dovrebbe salvaguardare come bene più prezioso, preziosissimo, poiché è l’unico vero collante ideologico che ne alimenta l’esistenza. Cara Ursula, noi festeggeremo il Santo Natale, come gli Spagnoli, i Tedeschi, i Portoghesi, i Croati, i Francesi e tutti quelli che amano pensare che il mondo abbia bisogno di quelle festività per rigenerarsi ogni anno. Continueremo a scegliere nomi cristiani, perché hanno un valore profondo e testimoniano un passato di cui essere orgogliosi. A te lasciamo gli auguri più sinceri di buone vacanze, con la speranza però che nei giorni del 24, 25, 26 dicembre, non avendo tu nulla da festeggiare, con coerenza ti recherai in ufficio e mostrerai ai tuoi colleghi europei che, se non si crede, anche le vacanze non hanno senso di esistere.

Francesco Latilla trionfa al Festival Dantesco per la migliore interpretazione

Ieri, mercoledì 26 ottobre 2021, si è svolta al Teatro Palladium Università Roma Tre la cerimonia di premiazione del Festival Dantesco, un importante concorso legato al Sommo Poeta. La giuria, costituita da numerosi esperti di fama nazionale, ha premiato il giovane Francesco Latilla come miglior interprete per la lettura del  XXVI Canto dell’Inferno della Divina Commedia, un filmato dal titolo Ad ammirar… le stelle con la regia dei fratelli Latilla, girato mesi addietro per l’iniziativa Il maggio dei libri. I Latilla hanno sempre descritto la loro iniziativa come un totale viaggio nella propria (in)coscienza, un’immersione catartica per il pubblico grazie soprattutto all’atmosfera data da un connubio di luce e musica. Inoltre, la profondità del microfono che eleva la voce a suono, secondo Francesco, corrisponde al mistero della parola, della voce di Dio. La lettura si avvale di importantissimi brani d’opera dei prestigiosi compositori che hanno segnato la storia della musica, brani dirompenti ed inquietanti come il Requiem di W. A. Mozart, proprio per risuonare nello spettatore come una tempesta infernale. “Voglio ringraziare mio fratello Gianmarco per aver curato assieme a me l’adattamento e la regia di questo importante canto” queste sono state le affermazioni di Francesco non appena salito sul placo, concludendo poi con i ringraziamenti: “Vorrei anche ringraziare il nostro mentore, il Maestro Lino Capolicchio, una figura per noi fondamentale che si è palesata dal giorno zero, quando non c’era nessun altro e questo va sempre detto perché quando si è giovani si fa fatica ad emergere. Questo mondo, lo spettacolo, è molto duro e quando si ha un’ importante guida, come Virgilio per Dante, sicuramente viene fornita una luce per il cuore e l’anima. Grazie a tutti.

INTERVISTA FRANCESCO PEIRCE

Abbiamo intervistato Francesco Peirce, giovane intellettuale napoletano, esperto di tematiche occidentali, in particolar modo americane. L’ascolto delle sue prospettive ed analisi rappresenta opportunità di notevole valore, data la convinzione con cui riteniamo fondamentale la conoscenza delle nuove generazioni per la rinascita nazionale.

Quali sono i tuoi principali riferimenti culturali e ideologici? 

Non è facile delineare una precisa cornice ideologica nella quale identificarsi, specie in un’epoca come la nostra caratterizzata da uno stravolgimento delle ideologie tradizionali. Dal punto di vista filosofico ho sempre creduto nella validità del liberalismo, i cui ideali – a parer mio – non si identificano esclusivamente con il liberismo economico, ma anche con la presa di consapevolezza delle potenzialità dell’essere umano all’interno della comunità nella quale agisce. Per intenderci, la rivendicazione della libertà di pensiero, di stampa, l’autodeterminazione dell’individuo, la facoltà da parte del cittadino di contestare l’autorità, quando questa diventa illegittima, sono tutti aspetti che caratterizzano lo sviluppo del pensiero europeo e americano (anche se con diverse discontinuità cronologiche) e che quindi hanno radici profonde nella storia dell’Occidente. 

Per quanto riguarda i riferimenti culturali ho avuto modo, nel corso degli anni, di approfondire varie correnti di pensiero: dall’empirismo inglese all’idealismo tedesco, dall’umanesimo italiano al romanticismo fino ad approdare al trascendentalismo americano, oggetto quest’ultimo delle mie attuali ricerche. Aldilà dei movimenti culturali, due sono le figure intellettuali a cui mi sento particolarmente legato; la prima è quella di Giordano Bruno, il cui panteismo e naturalismo costituiscono l’impianto della sua visione metapolitica dell’uomo, improntata non alla negazione della spiritualità, bensì alla lotta contro i dogmatismi del suo tempo. La seconda è Maximilian Weber, filosofo della razionalizzazione (in ted. Rationalisierung) del quale condivido l’analisi sociologica del capitalismo (che permise di correggere alcuni degli errori compiuti da Marx), nonché il suo realismo politico che riflette il riformismo tipico degli anni della Repubblica di Weimar.

Come valuti l’attuale scenario politico nazionale italiano? 

In Italia attualmente viviamo una situazione politica disastrosa, basti pensare che alcuni dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni non sono stati eletti democraticamente dal popolo. Si potrebbero fare numerose considerazioni in merito, ma ciò richiederebbe una riflessione troppo ampia del ruolo politico dell’Italia sia sul piano nazionale che internazionale. 

A differenza degli altri paesi occidentali, l’Italia vanta una ricca cultura politica e tuttavia ci troviamo in una situazione paradossale, in cui assistiamo allo scollamento integrale di ogni legittima rappresentanza politica: da un lato ci sono quei governanti che non rispondono ai reali bisogni dei cittadini, dall’altro abbiamo una popolazione sempre più restia alla partecipazione attiva della vita politica. Diciamo che quest’ ultimo aspetto è una diretta conseguenza del primo, ma non credo sia sempre così. Spesso è anche l’indifferenza e il pressapochismo della gente che incidono gravemente sulla resa effettiva della classe politica. Ad ogni modo, ciò che è accaduto ultimamente con le elezioni amministrative, dove si è registrato uno tra i più bassi livelli di affluenza alle urne degli ultimi anni, è particolarmente significativo; i cittadini hanno capito per l’ennesima volta di non essere rappresentati dalle istituzioni e hanno preferito l’astensione. Allo stesso tempo, buona parte di questi hanno iniziato a organizzarsi autonomamente per dare vita a numerosi movimenti di protesta. È la naturale conseguenza che scaturisce da un disagio sociale preesistente (aggravato ulteriormente dalla crisi pandemica), un esempio che testimonia come in Italia sia necessario recuperare una cultura del civismo e del coraggio civile. D’ora in poi i politici dovranno tener conto di queste problematiche, se intendono riacquistare la credibilità dei loro elettori. 

Detto questo, bisogna però fare i conti con quello che ritengo essere uno dei punti deboli della politica italiana, ovvero il multipartitismo. Sicuramente si tratta di un’impostazione consolidata (ereditata dalla Prima Repubblica), che aveva le sue logiche e meccanismi di funzionamento, e che garantiva un certo pluralismo democratico. Su questo non c’è dubbio. Ma a lungo andare questo sistema ha innescato tutta una serie di fenomeni politici incontrollati, generando crisi di governo, coalizioni instabili e larghe intese, ed è così che poi il paese diventa ingovernabile.  Quando i partiti di una stessa coalizione entrano in competizione tra loro, a venir meno è il sistema politico nel suo complesso, perché l’unione si indebolisce e di rimando anche l’elettorato finisce col sgretolarsi.  

Quali sono le tue considerazioni sull’Occidente attuale? Come agire per difendere i valori dall’avanzata dell’integralismo islamico e del regime comunista cinese?

L’attuale crisi dell’Occidente, che abbiamo visto acuirsi negli ultimi vent’anni in maniera piuttosto preoccupante, è il frutto di processi economici, culturali e politici negativi che si inseriscono all’interno di fasi ricorrenti, e la cui natura sintomatica riflettono i tratti tipici del parossismo. Non è un caso che lo storico inglese John Burrow parlava di una “crisi della ragione”, riferendosi a quel periodo di transizione della storia europea segnato da tumulti ed eventi drammatici, a cavallo tra i secoli XIX e XX. Di lì a poco, intellettuali come Heidegger e Spengler avrebbero profetizzato il decadimento progressivo dell’uomo occidentale, a causa del materialismo, dell’alienazione e del dominio della tecnica. 

Oggigiorno, l’Occidente è afflitto dal nichilismo tipico della postmodernità; è da po’ di tempo oramai che assistiamo a un vero e proprio ribaltamento culturale. C’è questa malsana idea che i valori tradizionali siano retrogradi e obsoleti, che siano connessi a molti degli aspetti negativi nella nostra società e che vadano rimossi del tutto. Si pensi ad esempio alla cancel culture, il wokeism o il movimento disrupttexts (per citarne solo alcuni), fenomeni provenienti dagli Stati Uniti che hanno già interessato diversi paesi del mondo industrializzato. A tal proposito, bisogna recuperare il senso della storia e dell’identità, e capire che il vero progresso consiste non nel rifiuto dei propri valori, ma nel saper conciliare innovazione e tradizione, in piena antitesi con l’ideologia globalista. Un discorso che abbraccia non solo l’ambito culturale, ma anche quello economico, nel quale bisogna insistere soprattutto per arrestare l’espansione dell’egemonia cinese. In questo senso occorrerebbero interventi volti alla ricostruzione delle economie nazionali, contro le delocalizzazioni e la deregolamentazione delle imprese.    

Infine, quella dell’integralismo islamico è una questione davvero complessa che può essere esaminata sotto diversi aspetti. Anche qui, dal punto di vista dei conflitti ideologici e culturali, le potenze occidentali pagano lo scotto degli errori commessi nella destabilizzazione del Medioriente. In particolare, si è preferito perseguire obiettivi economici e strategici, piuttosto che optare per una concertazione politica degli stati nella lotta al terrorismo. È ovvio che tale fattore non può che causare un inasprimento del rapporto tra il mondo cristiano e quello arabo. 

Di cosa ti occupi e che materie studi e approfondisci nella tua vita privata? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho conseguito la laurea in studi linguistici, specializzandomi nelle letterature anglo-americane e ora mi occupo dell’insegnamento della lingua inglese. Inoltre, mi dedico allo studio della storia e della filosofia, che ritengo i due pilastri fondamentali nel panorama delle discipline umanistiche. Ho intenzione di ampliare il mio percorso di formazione come docente e spero in futuro di portare a termine i miei progetti di ricerca nel campo filosofico e letterario.

LA LETTERATURA è SEVERA MAESTRA

di Francesco Subiaco

Camillo Sbarbaro diceva che si inizia a scrivere per essere notati e si continua a scrivere perché si è noti. La scrittura è un bisogno, una febbre, una smania. Si scrive per nascondere le proprie paure su carta, per esorcizzare il dolore, per creare i mostri che poi si vuole sconfiggere, per lasciare un ricordo o peggio un testamento. La scrittura ha un che di religioso, dentro ogni apprendista delle buone lettere si cela, inconscio e inconfessabile, il desiderio di un lettore segreto, un padre, un amore, un dio, per i più egocentrici o fedeli, di trovare un conforto, un contatto umano. Un legame, perché religo vuol dire anche legare a sé, con forse i fantasmi di un passato in cui si è intrappolati, forse un mondo ostile che si vorrebbe diverso. Scrivere però è anche un appello, a cui molti rispondo senza essere chiamati, che comporta dei lati oscuri, delle vicende bizzarre, oppure una fantasia atipica, irreprimibile, disturbata e patologica. In ogni autore si nascondono infatti i germi della pazzia, dell’egocentrismo, la smania di essere amati, il sentimento di rivalsa, la frustrazione della vita di tutti i giorni, l’incomprensione dei contemporanei. Il marchio di far parte di una moltitudine nel tempo e non nello spazio, di sentirsi gli ultimi, i soli, gli unici. Un sentimento straniante quanto elettrizzante. Ciò detto non è sempre vero che dietro ad un emarginato, un pazzo, un esaltato, un frustrato, si nasconda un genio. Molte volte tali sintomi nascondono solo un illuso. Perché se possiamo essere d’accordo nel dire, con Schopenhaur, che in ogni genio, c’è un che di infantile, ma dietro ogni infantile non c’è quasi mai un genio. Come dietro alla figura standard dell’uomo delle lettere e delle arti si nasconde, la maggior parte delle volte, non un genio ma un mediocre, al limite un mestierante. In ogni pittore c’è un imbianchino promettente, in un giornalista un pettegolo, in un romanziere un mitomane, in un attore un bugiardo. Ma non si può far emergere il genio dietro la mediocrità umana, se non si scrive, se non si crea. Malaparte era un mitomane un narcisista, ma soprattutto l’autore di uno dei più bei romanzi del novecento. È lo scrivere che conta, non l’essere letti, non il giudizio. E per scrivere ci vuole impegno, ci vuole una lotta con se stessi e con la parola. Ci vuole una grande unica maestra, la letteratura. Perché non esistono scorciatoie per raggiungere uno stile se non il confronto e la sensibilità. Ma un grande scrittore al contrario degli evangelisti non viene ispirato dal divino, deve confrontarsi, allenarsi, ingegnarsi, imparando i trucchi del mestiere prima di farli propri. Per trovare una buona palestra è interessante il confronto offerto da Stefania Crepaldi nel suo “Lezioni di narrativa”(Audino). In cui attraverso una serie di esercizi, di confronti, di esempi, la Crepaldi non insegna a scrivere, ma a prepararsi a scrivere, attraverso una carrellata di immagini, metodi, trucchi, che possono essere un interessante punto di partenza non per essere notati, ma per imparare a notare le tecniche, gli stratagemmi di uno scrittore e poi iniziare a scrivere. Perché il metodo e l’esercizio sono gli unici strumenti che danno senso al talento. Ed il talento senza genio, si sa, vale poco, ma, è ancor più noto, che il genio senza talento, non vale nulla

Intervista a Mauro Cascio

Totalitario, incomprensibile, statico, riduttivo, scientista. Hegel ilare pensatore calunniato dai filosofi, ha ricevuto tutti questi appellativi immeritati, dai suoi detrattori. Da Popper a Kierkegaard, da Marx a Vattimo, il sistema del pensatore tedesco ha subito la stessa sorte del dannunzianesimo nell’ambito letterario. Circondandosi di detrattori che incapaci di rappresentare una valida alternativa al suo sistema hanno bellamente cercato di demolirlo, sminuirlo. Fraintendendolo in buona e cattiva fede. Ma Hegel è molto di più dello stereotipo deformato che gira tra gli studenti di filosofa. È il pensatore monumentale di una delle ultime filosofie capaci di fondere l’individuo cn la totalità, la storia e lo spirito, il pensiero ed una sua rappresentazione onnicomprensiva. Rappresentazione che divenne la base della filosofia di Marx e Gentile, Croce e Gramsci. Creando un ponte tra finito e infinito, tra libertà e comunità. Per liberare l’autore della Fenomenologia dello spirito da questi equivoci abbiamo intervistato Mauro Cascio, curatore e autore della prefazione del saggio “Introduzione alla filosofia di Hegel” di A. Vera(Mimesis), con cui il pensatore, i cui interessi trasversali fondono filosofia, cultura, massoneria e politica, per far inernare il lettore nell’anima dell’opera hegeliana.

Potremmo definire Vera un esponente della destra dell’ortodossia hegeliana, rispetto a Spaventa e perché?

Se per essere di destra si intende essere un conservatore, Vera lo è stato, soprattutto rispetto ad altri hegeliani come Spaventa e soprattutto come Benedetto Croce o Giovanni Gentile che hanno addirittura inteso ‘riformarlo’. Vera invece ci dice: prima di riformare, prima di mettere mano, bisogna capire.

Cosa avrebbe pensato Vera delle riletture del pensiero hegeliano fatte dagli idealisti italiani come Gentile, Croce e Gramsci o Fusaro? E cosa ne pensa Mauro Cascio ?

Lo abbiamo già detto: Vera non vuole riformare. Vera vuole ‘interpretare’. Certo, ci possono essere sbavature qua e là, delle incertezze. Non è che i testi sacri siano rivelati ed intoccabili. Ma l’impianto complessivo è valido, è efficace ed è potente. È superiore alle scienze empiriche, pensa oggi come si sentirebbero quegli ‘scienziati’ empirici dall’ego smisurato che hanno studiato tutta la vita la zanzara e che si ritengono capaci di spiegare il senso del mondo a Massimo Cacciari. Ecco: ci vorrebbe Hegel (in realtà Emanuele Severino) per metterli al loro posto.

Trovi una antitesi tra la fine della storia secondo il pensatore di Stoccarda e Francis Fukuyama o in sostanza vedi una continuità ?

Io non credo che Hegel abbia teorizzato la fine della storia. Lo spirito ha delle tappe e in quelle tappe si autocomprende. Per chi si ricorda le musicassette: io ho l’ascolto del nastro che fino a quel momento si è avvolto. Il nastro potrebbe anche essere finito, in realtà ci potrebbe essere altro nastro (presente in eterno) che però mi si presenta nel presente al mio ascolto. Può, cioè, aspettarmi un futuro. La mia comprensione del nastro è legata al suo avvolgimento nella bobina. Ma io sono la testina di lettura e posso solo conoscere quanto sta scorrendo tra me e il tampone. 

Mauro Cascio filosofo ed esponente del pri, che collegamento e/o vicinanza vedi tra Mazzini e Hegel? E tu come concili il tuo repubblicanesimo con la visione hegeliana? Trovi opportuna questa divisione o pensi siano ideologie e filosofie tra loro contigue?

Quando Mazzini riesce a farsi recapitare una traduzione di Hegel (probabilmente i lineamenti della filosofia del diritto), commenta: «Già sapete che appartengo alla stessa serie di idee». Perché entrambi vedono la libertà nel dovere e nella legge. Che non vuol dire essere soggetti supinamente a ogni legge. La legge sono fatte per normare e preservare le libertà di tutti. Il tessuto normativo è ricamato di libertà. Come una cerniera che salendo porta a sistema i diritti. Solo nel dovere io riesco a preservarmi per esempio dall’arbitrio. Io non ho una libertà dalla legge, come nel pensiero liberale, ma una libertà nella legge. Lo Stato è fatto di questa materia, di questa sostanza. È fatto della libertà e della partecipazione di tutti i suoi cittadini. Non di una parte, fosse anche la più amplia delle maggioranze, contro una parte. Lo Stato è una armonia. Non una contrapposizione in bellicosa tensione.

Scienza e Storia sono due concetti fondamentali in Hegel . Come valuti da hegeliano il rapporto con la morte e con la tecnica della contemporaneità? E la visione scientista?

La Storia è (l’unico) palcoscenico dello Spirito. Logica e Natura non sono che momenti astratti, perché entrano in gioco, funzionano per così dire, solamente nello Spirito. La morte esiste per la coscienza, non per lo Spirito (né per il Sé). Il pensiero speculativo è una violenza rispetto al pensiero raziocinante. Le scienze empiriche appartengono a quest’ultimo dominio. All’aut aut, appunto, non all’et-et. Solo la Scienza (da non confondersi con le scienze empiriche) ha questo grande compito uditivo.

Valuti il politically correct come una negazione della funzione dialettica della filosofia e della cultura o come tappa fondamentale della sintesi di una nuova cultura e società ?

È semplicemente una sciocchezza. Un passatempo. Quando non c’è più cultura di qualcosa bisogna pur parlare, no?

Come valuti la riforma della dialettica hegeliana fatta da gentile? Per te l’attualismo sta alla “scolastica” hegeliana, come la filosofia di Aristotele al razionalismo greco? 

Non credo che la dialettica andasse ‘riformata’. Era sufficiente una sistematica qua e là. Per questo nei prossimi mesi mi vorrei dedicare ad una ‘controriforma della dialettica hegeliana’. Tenendo conto degli appunti di Croce e Gentile. Aristotele non fu un riformatore di Platone, fu una ‘interpretazione’ differente di uno spirito che si stava definendo e messo a fuoco. Non so un nuovo Platone. Hegel è stato un nuovo Eraclito. Non so Socrate,  ma Severino è stato Parmenide.

Quale è lo stereotipo peggiore diffuso su Hegel secondo te? E perché è falso ?

Non finiremmo più. Una delle letture più note è quella di Popper sull’Hegel totalitario. Non si è appreso a fondo il concetto di libertà nella legge. Ma qui l’ha pagata soprattutto Gentile. Anche la Filosofia della Natura, che sicuramente è superata, è stata troppo trascurata. Normalmente è la cosa di Hegel che si considera di meno.

Quanto pensi che la filosofia ebraica, penso soprattutto a Spinoza abbia influito tanto negli hegeliano quanto negli antihegeliani come Giuseppe Rensi?

L’ebraismo è stata una tappa importante dell’evoluzione dello Spirito. Senza non ci sarebbero stati gli sviluppi successivi. Questo termine dobbiamo sempre provare a tenere a mente quando parliamo di Hegel: Sviluppo. Una cosa non è. Una cosa diventa quello che deve essere. Questo vale per tutto. Anche per la storia del pensiero. Nasce un pensiero in germe. E poi si sviluppa nella storia, matura, cresce. E diventa quello che era previsto che fosse. In botanica questo concetto lo si chiama ‘Fenomenologia’. Giuseppe Rensi è rimasto legato a Kant sostanzialmente. Non entri nel merito del Logos ma lo tieni lì come principio regolativo. Come ‘Grande Architetto dell’Universo’. Non a caso Rensi, oltre che repubblicano, fu anche massone.