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STEFANO PIAZZA RACCONTA PERICOLI E SEGRETI DEL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

– Tommaso Alessandro De Filippo

Abbiamo intervistato Stefano Piazza, esperto di terrorismo islamico, a cui ha dedicato svariati testi e saggi, volti a sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sui rischi derivanti dalla sottovalutazione del fondamentalismo. Pertanto, siamo certi che l’ascolto delle sue analisi sia per noi una fonte di conoscenza e formazione sugli approcci che potrebbero riverlarsi utili e necessari verso tale emergenza. Attualmente, Piazza collabora con Panorama e La Verità e sarà in futuro ancora impegnato nell’affronto di questo tema, su cui la UE ha intrapreso una strada di approccio totalmente errata, figlia dell’ideologismo buonista.

Da esperto osservatore del fanatismo islamico pensa che l’Europa possa subire dei nuovi ed imminenti attacchi terroristici?

Ogni giorno leggiamo di operazioni antiterrorismo in tutta l’UE e la lista degli attentati sventati è lunghissima. Impossibile prevedere cosa puo’ succedere in Paesi esposti come la Francia, il Belgio, l’Inghilterra, la Germania o la Spagna, solo per citarne alcuni. Oggi è piu’ complicato per i terroristi organizzare operazioni nelle quale vengono utilizzati molti uomini perché l’attenzione delle forze dell’ordine e dell’intelligence è diversa rispetto al passato. Tuttavia, piccole cellule restano un pericolo latente senza dimenticare i cosidetti “lupi solitari” (che solitari non sono mai) che possono colpire e lo fanno ovunque.

 Per l’Occidente in che modo sarebbe possibile svilluppare una strategia difensiva efficace, che funga da deterrente per i terroristi?

 Nel contesto attuale mi pare impossibile. L’Occidente ha scelto da tempo di suicidarsi. Si faccia un giro nelle principali capitali europee e guardi cosa siamo diventati.  

Ritiene che l’immagine degli USA deboli, derivante dal disastroso ritiro afgano e da un possibile accordo al ribasso stretto ora con Putin possa incentivare e favorire nuovi attacchi terroristici?

 Non credo che gli Stati Uniti siano deboli. Hanno l’esercito piu’ potente al mondo, mezzi di ogni tipo, le armi piu’ efficaci e dispongono di tecnologie avanzatissime, inoltre controllano tutti i mari e gli ismi del pianeta. Tutti. Semplicemente gli americani hanno deciso di uscire dalla logica imperialistica per darsi a quella imperiale che prevede che si interviene solo se si deve (pensandoci bene) e non solo perchè si puo’. Fare i gendarmi del mondo è costato miliardi di dollari e migliaia di vite umane, tutte cose che l’America di oggi non si puo’ piu’ permettere. Oggi chi minaccia gli interessi della piu’ grande potenza del pianeta è la Cina quindi il focus è quello. Per quanto riguarda Putin lui ha scatenato questa crisi e sempre lui ha fatto marcia indietro una volta che il suo ministro degli Esteri è riuscito a fargli capire in che guaio si era cacciato. Persino Joe Biden che non brilla come Presidente ha capito che bastava stare fermi per mettere con le spalle al muro Putin. Per il resto è noto che qualsiasi tipo di vittoria, sia politica che militare o anche entrambe, è una fonte di ispirazione per l’ideologia dell’islamismo radicale. Il fatto che i Talebani abbiano ripreso il controllo dell’Afghanistan grazie al disimpegno degli USA, è ovviamente una vittoria degli islamisti radicali. La vicenda dell’Ucraina non credo possa cambiare le cose in un senso o nell’altro.

 In che modo valuta l’assetto attuale della UE, che sulla lotta al fondamentalismo non è mai riuscita a sviluppare un approccio comune?

 E’ un tema che ho toccato nei miei libri e in centinaia di articoli che ho scritto e lo riassumo con una sola parola: Fallimentare. Come si puo’ pensare di combattere il fondamentalismo islamico quando si finanziano progetti legati alla Fratellanza musulmana che è l’anticamera del terrorismo? Impossibile.

Cosa si cela dietro certa propaganda e quanto il Corano è realmente collegabile all’ideologia delle milizie islamiche?

 Queste persone uccidono gridando “Allah Akbar” (Allah è grande) e si rifanno all’islam dei primordi, quello di predicatori e giuristi come il siriano Ibn Taymiyya Taqī al-Dīn Abū al-ʿAbbās Ahmad (1263 +1328) oppure il saudita Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb al-Tamīmī al-Najdī (1703 +1792) o piu’ recentemente a ideologi come gli egiziani Hasan al-Banna, fondatore della Fratellanza musulmana  ( 1906 + 1949) e il suo discepolo Sayyid Qutb (1906 +1966). Cosa è collegabile ? Il Corano.

In che modo ritiene si sarebbe dovuto approcciare diplomaticamente alla vicenda afgana? 

 Gli americani hanno fatto bene ad andarsene, il come ormai è storia. Gli afghani che non sono un popolo ma un insieme di etnie che si odiano e si combattono da sempre, meritavano e meritano finalmente di essere lasciati pace. In verità loro odiano la modernità e vogliono continuare a vivere come hanno sempre fatto e dobbiamo solo prenderne atto. Ad esempio, non vogliono che nessuno gli tocchi il loro diritto di picchiare le loro mogli oppure di impiccare una persona che per fame ruba una mela. Quindi andare li, invadere, aiutare, criticare, mettere in piedi governi fantoccio e spendere miliardi di dollari non è mai servito a nulla. I soldi che gli dai finiscono nei conti bancari a Dubai o in Qatar mentre le armi che gli regali le usano per spararti addosso quando ti giri. Gli ospedali? Rubano tutto e rivendono tutto quello che possono. Poi i medici europei li curano, cosi’ quando escono possono di nuovo spararti. Semplicemente in Afghanistan che è oggi un “narco terror state”, non bisogna fare nulla. L’Afghanistan deve diventare un problema solo dei loro vicini ad esempio del Pakistan che si merita ogni guaio visto che i servizi segreti pakistani hanno inventato a tavolino i Talebani, dell’Iran che è un altro “terror state”, oppure della Cina che oggi ha bisogno di qualche problema così da non crearli in giro per il mondo. Per quanto riguarda la Russia di Vladimir Putin sa molto bene come trattarli.

Quale leader mondiale del passato ritiene abbia raggiunto i migliori risultati nella lotta al terrorismo islamico?

 A livello politico l’ex primo ministro francese Manuel Carlos Valls ( in carica tra il 2014-2016) fu il primo ad agire con vigore anche a  livello europeo facendo comprendere la pericolosità della situazione. Per questo venne avversato anche nel suo partito (socialista) poi pero’ la sua carriera si è interrotta anche a causa di una serie di scelte sbagliate. Per quanto riguarda il contrasto puro del fenomeno Vladimir Putin non ha rivali. Li uccide tutti.

Il seme di tale ideologia può radicarsi anche nella cultura sociale di nazioni democratiche come l’Italia?

Radicarsi direi di no perché mancano le condizioni che vivono paesi come il Belgio o la Francia ma se si guarda ad alcune periferie italiane direi che la situazione non è buona. La politica farebbe bene a chinarsi sul problema.

 

 

GIUSEPPE BENEDETTO TRA LIBERALISMO E DEMOCRAZIA

-Francesco Subiaco

Luigi Einaudi è stato uno dei più importanti protagonisti del dibattito politico ed economico italiano. Un pensatore capace di coniugare libertà e responsabilità, iniziativa privata ed armonia della gestione pubblica. Una concezione della politica e della società che fanno di Einaudi un alfiere della libertà, un paladino di una visione politica oggi dimenticata che alla demagogia dell’antipolitica, improvvisata e pauperistica, ha opposto l’idea di una militanza che non può essere avulsa dalla competenza, dalla conoscenza, riassunta nello splendido motto: “conoscere per deliberare”. Fustigando i peccati della nostra malapolitica attraverso le sue “Prediche inutili”, sognando l’Europa unita e libera in un momento in cui essa era divisa e oppressa dall’egida sovietica. Einaudi, presidente della Repubblica tra i più lungimiranti e competenti, prestò come sottolineò Giovanni Leone, la sua estrema competenza e conoscenza alla Repubblica Italiana, lasciando con il suo mandato un esempio e una professionalità che ne fanno uno dei maggiori capi di stato italiani. Ma il pensiero einaudiano non è un cimelio bello e perduto nella storia delle idee, ma è una concezione della vita che si fonda sulla libertà, sul senso delle istituzioni, sulla difesa dell’individuo contro le prevaricazioni del potere. Istanze garantiste e liberali che sono state raccolte dalla Fondazione Luigi Einaudi che si sta impegnando per diffonderne il pensiero e le idee. Per parlare dell’attività svolta dalla FE abbiamo intervistato il presidente Giuseppe Benedetto, che attraverso il suo percorso politico-culturale e le sue attività in ambito intellettuale, si prodiga per la diffusione dei valori liberali, garantisti ed europeisti. Abbiamo incontrato il presidente Benedetto, che si rispecchia in quella tradizione che va da Einaudi a Malagodi, da Bozzi a Mill, per parlare di temi etici e politici e per capire l’attualità di quelle fondamentali prediche inutili di cui abbiamo ancora bisogno.

Quanto è attuale il pensiero Einaudi, europeista e liberale, in questo periodo di disgregazione e conformismo? E perché?

Il pensiero di Luigi Einaudi è straordinariamente attuale. Le sue riflessioni di acuto economista e intransigente difensore delle Istituzioni illuminano il panorama politico italiano ed europeo e sono la guida dell’attività della Fondazione che prende il suo nome. Tra i molteplici profili di attualità credo che due siano cruciali: la sua radicata fiducia nel processo di integrazione europea e l’attenzione ad una prudente gestione delle risorse pubbliche. Abbiamo vissuto negli ultimi anni e continuiamo ad assistere a movimenti sovranisti, dichiaratamente antieuropei e contrari ai valori dell’integrazione. La pandemia ha però mostrato tutti i limiti dell’isolazionismo e l’Unione Europea ha saputo essere presente davanti alla storia. Mi auguro che il sovranismo prima imperante sia oggi sempre più declinante, anche grazie alla presenza di Mario Draghi. Con riferimento al secondo grande insegnamento di Einaudi, avverto oggi un pericolo: la noncuranza del debito pubblico. Il PNRR rappresenta un momento storico e tutti gli Stati occidentali hanno aumentato la spesa pubblica. Tuttavia, prima o poi si presenterà il conto e solo se gli investimenti saranno stati fruttiferi l’Italia avrà una situazione economico-finanziaria stabile.

Che opinione ha delle campagne referendarie sulla giustizia e sull’eutanasia?

Condivido i quesiti referendari sulla giustizia e li voterò, però non gli si attribuisca eccessiva rilevanza. Molti dei temi affrontati, quali separazione delle carriere, riforma del CSM e valutazione dei magistrati andrebbero affrontati con riforme costituzionali. Abbiamo assistito negli anni ad una pluralità di interventi che non hanno fatto altro che moltiplicare il numero delle leggi ed anche la loro oscurità. Vi sono squilibri significativi nella relazione tra poteri dello Stato che devono essere affrontati a livello costituzionale, con coerenza e sistematicità. La Fondazione Einaudi ha proposto l’istituzione di una Assemblea Costituente, eletta direttamente dai cittadini, che riformi la II parte della Costituzione, così da modificare in modo organico il nostro sistema costituzionale.

Il referendum sull’eutanasia dimostra l’incapacità del Legislatore di affrontare importanti temi etici. L’introduzione del suicidio assistito è avvenuta grazie alla Corte costituzionale e ora intervengono i cittadini. Sono aperto a discutere di eutanasia, perché il corpo dell’individuo non è al servizio di nessuno. Però si presti attenzione, perché l’abolizione dell’omicidio del consenziente apre una voragine. A quali condizioni si potrà richiedere l’eutanasia? Una persona che soffre di depressione ha diritto a che un medico la aiuti a morire? Come viene disciplinata l’obiezione di coscienza? Un’eutanasia accessibile sempre sarebbe in contrasto con i moniti della Corte costituzionale dati nel caso Cappato. La Consulta ha ricordato che non sussiste un obbligo generalizzato nell’aiutare qualcuno a morire. Io sono in linea con quella posizione.

Di fronte alla crisi dei movimenti di protesta, e la crisi delle principali coalizioni, vede possibile la nascita di un movimento capace di diventare la grande casa dei liberali italiani?

La nascita di un partito politico autenticamente liberale è quanto auspico fin dalla dissoluzione del Partito Liberale Italiano. In una fase storica in cui i popolari decidono di accodarsi ai sovranisti e i socialisti ai populisti sicuramente si apre un importante spazio politico al centro. Però il vero tema è: quale centro? Un centro con tutti dentro, pseudo liberali, democristiani, ex popolari ed ex socialisti non è quello di cui il Paese ha bisogno. È necessaria una casa autenticamente liberale, che si rifaccia ai valori di ALDE e del gruppo al parlamento europeo Renew Europe. Poste queste condizioni, si intraprenda la strada dell’inclusione. I partiti costruiti sulla persona sono destinati al fallimento, se non sono sorretti da una radicata ideologia. È giunto il momento che nasca un partito fondato sui principi liberali, quelli di Einaudi, Croce e Malagodi.

 

Dal RDC alla prescrizione, questa legislatura, complice il caos pandemico, ha segnato una terribile regressione delle libertà nel nostro paese a vantaggio di una ingerenza statale sempre più pressante. Quali riforme potrebbero segnare il passaggio verso una “rivoluzione liberale” nel nostro paese?

Molteplici riforme sono necessarie per ripristinare la libertà, in campo economico e sociale. Non vi è però alcun dubbio che la più grave crisi che il Paese stia affrontando riguardi l’ordine giudiziario. Il CSM da organo di governo autonomo della magistratura è divenuto organo politico ed autoreferenziale. Il vulnus che ne deriva è all’indipendenza del giudice, che la Costituzione definisce terzo ed imparziale, soggiogato dalla cultura d’accusa della Procure. È per questo che la prima riforma sulla giustizia, prioritaria a tutte le altre, deve essere la separazione delle carriere. Come ho già accennato, il referendum promosso dai Radicali e dalla Lega tenta di disciplinare la materia, ma non è sufficiente. Il vero problema non è il passaggio dalla carriera requirente a quella giudicante, ma la presenza di un unico CSM col potere di decidere sui progressi di carriera e sulle sanzioni disciplinari. A nulla varrebbe impedire i passaggi da un lato all’altro se la cultura d’accusa continuasse a governare l’ordine giudiziario. Il danno che ne deriva non è agli avvocati, ma ai cittadini, imputati di fronte ad un giudice non pienamente terzo ed imparziale rispetto a colui che esercita le funzioni di Pubblico Ministero. Ad essere in pericolo è l’habeas corpus, la madre di tutte le libertà.

Come giudica la gestione securitaria della pandemia in questo periodo da parte del governo, vedendo i provvedimenti e le metodologie utilizzate da paesi come Israele, UK e Spagna?

Il Governo Draghi rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto al Governo Conte. L’incertezza e la stravaganza delle primule di Arcuri è stata sostituita dall’autorevolezza e l’efficienza della campagna vaccinale di Figliulo. Oggi grazie ai vaccini i cittadini possono esercitare le proprie libertà, che lo Stato deve limitarsi a riconoscere. Non le concede, né le attribuisce, come disse l’attuale leader del Movimento 5 Stelle.

Il dibattito sul green pass non mi appassiona. Il Governo deve agire al fine di ridurre al minimo le limitazioni delle libertà fondamentali, che si giustificano nella stretta misura in cui la pandemia rappresenta un’emergenza. Posto questo principio, è evidente che il green pass non possa durare in eterno. In ogni democrazia liberale si deve accettare che una frazione dei cittadini, seppur minima, non aderisca alle decisioni delle Istituzioni. È dunque opportuno che il Governo programmi una data di scadenza del green pass che coincida col terminare dello stato di emergenza relativo alla pandemia. Susciterebbe perplessità la proroga dello stato di emergenza oltre il 31 marzo 2022, se la situazione pandemica dovesse rimanere quella attuale.

 La fondazione Einaudi promuove da anni studi, approfondimenti per la diffusione del pensiero liberale. Può consigliarci tre testi per uscire dalla cappa del presente?

Le “Prediche inutili” di Luigi Einaudi, come qualunque altro testo da lui scritto. Quelli non possono mai mancare. “Sulla libertà” di John Stuart Mill, caposaldo del pensiero liberale. Infine, un romanzo: “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.

Quali sono i riferimenti culturali del presidente Giuseppe Benedetto?

Il mio riferimento culturale non può che essere il Partito Liberale Italiano, unico partito autenticamente liberale nella storia italiana. Come dico a mia moglie, sono vedovo del partito. Uomini straordinari, ancor prima che grandi politici, come Giovanni Malagodi e Aldo Bozzi, hanno ispirato la mia attività politica. Attività politica, fatta non nel palazzo, ma tra i cittadini per diffondere il pensiero liberale.

DIALOGO CON GABRIELE CHECCHIA: L’OCCIDENTE SALVAGUARDI LA DEMOCRAZIA NEL MONDO

– Francesco Subiaco, Francesco Latilla, Gianmarco Latilla

Non ignoriamo il bene e il male, gli opposti schieramenti, le lotte mondiali tra autocrazie e democrazie occidentali. Esse sono chiare ed evidenti, come i duellanti che si sfidano su un campo di battaglia. No gli europei ignorano il loro futuro, che vedono come uno spettacolo mortale che non li riguarda, una pantomima oltreoceano da cui arrivano sparute notizie. Sovrastanti, gli europei assistono alla questione ucraina, all’evacuazione afgana, al neocolonialismo cinese, come gli spettatori di una storia di cui al limite possono essere solo il pubblico. Ma Kiev, Kabul, Sinferopoli, Taipei, non sono città invisibili, meravigliosi fondali di battaglie lontane. In queste città passa il grande gioco, passa lo scontro, il duello sul campo di battaglia degli equilibri mondiali. Da una parte gli Stati Uniti e le democrazie occidentali, dall’altra le autocrazie, i nuovi imperialismi, i Rogue State, che si sfidano in un braccio di ferro il cui esito mira a capovolgere gli equilibri mondiali. Un presente complesso i cui meccanismi sono opachi e le cui sfumature si tingono delle ambigue tinte dei capricci della storia. Dal neocolonialismo cinese, alle persecuzioni dei cristiani d’oriente, il mondo è un groviglio complesso, un puzzle scombinato dalla difficile conclusione. Per risolvere le difficoltà che impediscono la nostra cognizione del presente su questi temi abbiamo intervistato Gabriele Checchia, intellettuale, esperto di geopolitica, ambasciatore presso il Libano dal 2006 al 2010, che attraverso la sua attività di analisi degli scenari internazionali, tramite la Fondazione Fare Futuro e il Comitato Atlantico, collabora alla creazione di un pensatoio culturale dell’area moderata ed atlantista, capace di giudicare e studiare lucidamente il nostro presente, per poter capire i processi che sconvolgeranno il nostro futuro. Checchia liberale che ha nel suo pantheon Aron e Croce, il Generale De Gaulle e il repubblicanesimo americano, è una voce libera dai pregiudizi del potere, capace di osservare il presente alla luce di una etica della libertà e la lunga esperienza diplomatica.

Può parlarci della sua attività con la fondazione Fare futuro?

Fare Futuro è una fondazione, presieduta dal sen. Urso, che intende rappresentare il pensatoio di punta dell’area moderata e di centrodestra per quanto riguarda le analisi e le questioni geopolitiche, tramite un atteggiamento obiettivo e bipartisan, come sottolineano i nostri eventi, organizzati con il Comitato Atlantico e l’International Republican Institute, a cui hanno partecipato anche esponenti di alto profilo del Partito Democratico, poiché il nostro obiettivo è innescare una riflessione capace di indagare seriamente la realtà senza essere partigiani nelle nostre analisi. La nostra fondazione raccoglie prevalentemente pensatori di area liberale, popolare e conservatrice, ma non esclude il dialogo con professionisti di altre visioni o estrazioni. In questi mesi abbiamo organizzato due eventi molto importanti. Il primo un evento per parlare della drammatica situazione afgana e sulle prospettive occidentali, a cui hanno partecipato esponenti del parlamento italiano, giovani parlamentari europei e l’International Republican Institute. L’altro evento che abbiamo organizzato aveva come tema, invece, il contenimento dell’influenza della Repubblica Popolare cinese in Europa e nelle nazioni in via di sviluppo. Per parlare della sfida decisiva che pone Pechino e il partito comunista cinese all’occidente, sottolineando sia la totale impossibilità di separare imprese private e pubbliche nel mercato cinese, sia per promuovere la difesa dei valori liberali e democratici marcatamente occidentali che si incarnano in quel faro di libertà e democrazia che è la repubblica di Taiwan, che da anni subisce pesanti segnali di intimidazione dal continente. In questo periodo stiamo preparando un evento sul Mediterraneo e l’importanza della vicinanza dei paesi europei all’alleanza atlantica.

Di fronte alla pervasività delle autocrazie sul Mediterraneo e sul mercato italiano quanto sono importanti i valori liberali della concorrenza e della difesa della democrazia?

Io credo che tali valori siano fondamentali poiché ci danno la cifra di tutto quello che l’occidente è stato, è  e dovrà essere. La solidarietà europea e la collaborazione con gli alleati atlantici sono fondamentali per la realizzazione dell’orientamento strategico dell’alleanza con il vertice di Madrid, Nato 20-30. Soprattutto in vista di una realizzazione di una difesa europea comune, che sia complementare e non a antagonista alla difesa Nato.

Come valuta lo sviluppo del movimento talebano dalla fine del Novecento a questa rinnovata ascesa con i drammatici fatti afgani?

I talebani di oggi non sono molti diversi dai disastrosi amministratori dell’Afganistan prima dell’intervento statunitense. Ora la comunità internazionale è in una situazione difficilissima perché si trova di fronte alla necessità di aiutare la popolazione in stato di estrema povertà generalizzata, senza però riconoscere l’attuale governo di Kabul, che esprime l’antitesi dei nostri valori. È un esercizio complesso poiché le nostre diplomazie in concerto con il governo statunitense sta cercando un modo per trovare un equilibrio. Però è importante sottolineare che parlare di un ritorno dei talebani è giusto e sbagliato al tempo stesso. Poiché è vero che tutti i talebani sono pashtun, ma non tutti i pashtun sono talebani, ed anzi dietro ad una maschera di unità si nascondono diverse correnti e diversi gruppi tra loro antagonisti.

Cosa ne pensa del silenzio che sta avvolgendo la situazione dei cristiani d’oriente?

La situazione delle comunità cristiane orientali è certamente molto delicata, basti pensare che essi sono ormai dimezzati negli ultimi 50 anni, complice soprattutto la diaspora verso Stati occidentali e America del sud. Occorre sottolineare che ciò è un fatto drammatico, poiché non solo è in quelle terre che il cristianesimo si è affermato, ma soprattutto perché essi si trovano lì da ormai venti secoli. I Cristiani d’oriente non si sono stanziati sulla scia delle crociate, come molti erroneamente affermano, ma sono arabi che da sempre, professano il cristianesimo e sono comunità antichissime che fanno parte indissolubilmente del tessuto sociale di quei paesi. In realtà i cristiani devono evitare di sentirsi una minoranza avulsa ed assediata dalla società, ma una parte di essa, fondamentale, che deve dialogare con le altre confessioni, a patto che venga rispettata e possa vivere in armonia con le altre comunità religiose. Nella mia esperienza da ambasciatore in Libano esistono dei paesi in cui esiste una convivenza felice in cui i cristiani sono una parte costitutiva. Nonostante ci siano purtroppo paesi in cui i gruppi islamici, penso all’Iraq e alle difficoltà dei copti in Egitto, rendono molto difficoltosa la convivenza nonostante la scommessa sulla convivenza sia una sfida importante su cui dobbiamo puntare.

Quali sono i riferimenti culturali di Gabriele Checchia?

Io da liberale mi ritrovo profondamente in due pensatori: Benedetto Croce e Raymond Aron. Soprattutto ad Aron devo la definizione de la Republique imperial, che rappresenta la visione di un polo occidentale che svolga il ruolo di salvaguardare la democrazia nel mondo.

DIALOGO CON DAVIDE QUADRI: L’ATLANTISMO È BASE PER COSTRUIRE IL FUTURO. SALVINI LEADER DI UN CENTRODESTRA VINCENTE

Abbiamo intervistato Davide Quadri, Responsabile nazionale esteri della Lega Giovani, da anni impegnato nella cura dei rapporti internazionali della giovanile, incentrati sulla vicinanza alle grandi democrazie occidentali ed ai valori della libertà individuale. Il nostro dialogo con lui ha spaziato dall’importanza della collocazione geopolitica per l’Italia, al futuro del centrodestra. Inoltre, è stato prezioso ascoltare il racconto delle esperienze che lo hanno reso uno dei giovani maggiormente promettenti del panorama politico nazionale.

Quali sono i tuoi riferimenti culturali ed ideologici?

Innanzitutto grazie mille per l’opportunità che mi avete dato. Sono abbastanza curioso di mio: spazio molto, da un pensiero conservatore cattolico classico, figlio anche della formazione tradizionale datami in famiglia, all’approcciarmi per spirito ribellistico a pensieri controcorrente come quelli del tradizionalismo di stampo euroasiatico, fino alla passione per il pensiero economico libertario di luminari come Von Hayek o Hoppe, scoperti nel mio percorso di studi in Economia. Sono abbastanza poliedrico, cerco sempre di trovare una sintesi mia e di non fermarmi agli slogan.

Come si è svolto il tuo avvicinamento alla Lega Giovani, che ti ha portato poi ricoprire il pregevole ruolo di responsabile esteri?

Mi sono avvicinato alla Lega già nel lontano 2008, all’età di 16 anni, quando con un mio caro amico andai al primo comizio del Capo, Umberto Bossi. Lì qualcosa mi ha folgorato. Ho sentito nascere uno spirito di ribellione verso un sistema che stava cancellando la nostra storia ed identità, in favore di un mondo senza radici. Da quel momento il mio percorso personale e politico è cresciuto tanto. Partendo attivista, sono poi diventato responsabile MGP Varese, sedendo nel direttivo di una sezione che vedeva figure di riferimento come Roberto Maroni, passando per sconfitte cocenti ma formative, come le elezioni comunali di Varese del 2016, fino a ricoprire il ruolo di coordinatore provinciale del Varesotto, assistendo così a tanti successi di squadra, amici e giovani militanti. Sul fronte dei rapporti internazionali, insieme a un ottimo gruppo di amici, abbiamo ereditato il lavoro già svolto prima dall’ora Vice Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Paolo Formentini. Un lavoro cresciuto anche grazie alla visibilità che la Lega ha ottenuto con la segreteria di Matteo Salvini, vero riferimento internazionale per la galassia sovranista e conservatrice, dal Pacifico all’Atlantico.

Quanto è importante riconoscersi nei valori atlantisti e liberali delle grandi democrazie d’occidente? In che modo tali principi si possono trasmettere sempre più alle nuove generazioni?

È fondamentale per me riconoscersi nei valori cardine dell’uomo, della famiglia e delle comunità, per trasformarli in perno del proprio agire politico, soprattutto in questi tempi dove le vere libertà vengono erose tra gli applausi del mainstream. I valori che si trovano tra le due sponde dell’Atlantico sono quelli di una civiltà che ha forgiato il mondo, di cui dobbiamo essere fieri. Tuttavia, per rispetto di questa civiltà è anche doveroso non essere mai acritici, restando fermi rispetto ai fenomeni che ne minano le basi, come la Cancel Culture, le tensioni razziali immotivate e la cultura WOKE. Per dirla in breve mi riconosco molto nell’America che sventola la Bandiera di Gadsden, meno in quella di Hillary Clinton.

Da più di un anno avete instaurato una partnership con la giovanile del Grand Old Party. In che modo è nata questa collaborazione?

La collaborazione con gli Young Republican e con diverse federazioni dei College Republican United sono nate grazie a quel “America First” in cui è impossibile non ritrovarsi, lanciato da Donald Trump annunciando la sua candidatura alle Presidenziali nel 2015, scendendo le scale mobili della Trump Tower. Da lì, le interlocuzioni si sono intesificate molto grazie anche all’ampia comunità italiana che vive da tempo negli States e che rappresenta energia fortissima nella spinta propulsiva del GOP. 

Quali sono i futuri progetti in politica estera della Lega Giovani?

Il nostro sforzo principale ad oggi è quello di fare sintesi, federando le realtà giovanili patriottiche e conservatrici in Europa. Siamo stati a Helsinki, Lisbona, Varsavia e Budapest, come in ogni stato europeo che vede un movimento o un partito a noi affine. Lavoriamo per far crescere questa rete e preparare il risveglio dei popoli europei, al fine di riportare l’Europa centrale nel mondo, più vicina ai suoi cittadini. Parafrasando qualcuno: far tornare grande l’Europa!

Al di là dell’ambito partitico, che interessi e passioni curi nella tua vita?

Per tanti anni ho praticato Judo, da lì è scaturita una grande passione per le arti marziali e gli sport da combattimento. Inoltre, menziono i miei studi in economia ed il metal, da quello mainstream ai generi più hard, ma anche più profondi e particolari.

Come prospetti ed auguri il futuro della coalizione di centrodestra?

Semplicemente una coalizione a guida Salvini, che con la parola d’ordine “Prima l’Italia” continui ad essere protagonista su scala internazionale, senza però cedere alla sirena del mondialismo. Ancorati alle proprie radici ma proiettati nel domani, ripartendo dal tema del federalismo e da uno stato più giusto, sulle tasse come sui valori.

 

UNA NUOVA GUERRA FREDDA È NEL DESTINO DELL’OCCIDENTE?

– Andrea Mauro

Abbiamo spesso trattato delle attuali difficoltà dell’Occidente, ancora costretto a dover scontare le conseguenze della pandemia: il numero dei contagiati in rialzo, un possibile ritorno delle restrizioni, l’inflazione che grava sui cittadini e le imprese, i postumi della recessione del 2020. Tuttavia, anche l’ambito geopolitico presenta delle difficoltà. Infatti, le immagini del disastroso ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan sono ancora drammaticamente impresse nella nostra mente. Casa Bianca, Pentagono, NATO e cancellerie europee hanno provato a mascherare il fallimento con giustificazioni che non trovano appiglio dinanzi ai numeri. Il costo umano della spedizione è stato di 3846 vittime (di cui 53 nostri connazionali), mentre quello economico si aggira sui 5,4 mila miliardi di euro. Inoltre, è drammatico anche ciò che sta avvenendo al confine tra Polonia e Bielorussia. Migliaia di migranti sono ammassati alla frontiera di Kuzinika, nel tentativo di arrivare in Europa passando per la Polonia. Quest’ultima però ha dichiarato, tramite il proprio Ministro degli Interni Mariusz Kaminsky, di voler costruire un muro alla frontiera lungo 180 chilometri e alto 5,5 metri. Il rappresentante per la Politica Estera UE Josep Borrell ha denunciato Aleksandr Lukashenko e Vladimir Putin, accusandoli di aver agitato il clima e di essere burattinai del dramma che avviene nella zona. Una spiegazione di ciò potrebbe essere nei 6 miliardi di euro che l’Unione Europea ha sborsato alla Turchia di Erdogan per la gestione dei migranti siriani. Pertanto, quello di Minsk rappresenterebbe un attacco ibrido ai danni dell’Europa, al fine di porla ancor più sotto pressione. Tuttavia, a Bruxelles è già stato annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni contro Minsk, con molti che hanno però iniziato a puntare il dito anche contro Mosca, convinti della regia di Vladimir Putin dietro le tensioni. Complessa è anche la situazione oltreoceano per il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, reo di aver vietato l’ingresso negli States al Presidente della Repubblica del Guatemala Daniel Ortgea e ad altri funzionari del paese, accusati di aver attentato alla democrazia. È sopratutto la Cina di Xi Jinping quella che più complica le strategie del POTUS. Martedi 16 novembre si è tenuto un summit virtuale tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti con la tensione sfociata giunti a dibattere di Taiwan. Biden ha consigliato al suo omologo cinese di astenersi dal compimento di azioni che possano cambiare lo status quo dell’isola. Tuttavia, Xi Jinping ha ribadito la sacralità del principio di una sola Cina, affermando senza alcun giro di parole che cercare l’indipendenza di Taiwan significa “giocare con il fuoco” e che, dovessero presentarsi interferenze, la Cina si ritroverebbe costretta a dover adottare le misure necessarie. A complicare ulteriormente la realtà è l’invito trappola di Xi Jinping all’amministrazione Biden di presenziare ai giochi olimpici invernali di Pechino che inizieranno a febbraio 2022. Indiscrezioni parlano di un boicottaggio diplomatico all’invito, in segno di protesta verso le numerose violazioni dei diritti umani da parte della Cina nello Xinjiang, in Tibet e ad Hong Kong. Venisse confermata tale decisione i rapporti tra Pechino e Washington finiribbero ancor di più per deteriorarsi. Nel caso opposto, l’amministrazione DEM, dovesse presenziare, riceverebbe critiche dal mondo occidentale. Alla luce di tali considerazioni il quadro evidenzia un Occidente orfano di forte leadership, avallata da scarsa coesione in ambito geopolitico. La minaccia cinese è sempre più concreta anche perchè ormai imprescindibile per molti Paesi nell’ambito della cooperazione economica. Pertanto, Taiwan potrebbe fungere da casus belli. Inoltre, alla minaccia di Pechino si aggiungono i cattivi rapporti che le cancellerie europee hanno con il Cremlino. Auspichiamo dunque in una rivalsa dell’Occidente, volta a ritrovare compattezza, che salvaguardi la propria supremazia in futuro.