– Francesco Subiaco
La vita di Napoleone ha il fascino di un duello con l’Europa e la storia intera. Un duello con l’Ancient Regime, con il vecchio mondo, con le ambizioni reazionarie, che ha come esito la vittoria postuma di quel giovane nobile corso che divenne l’eroe dell’Ottocento. Un personaggio letterario, tra le invocazioni foscoliane e le iconografie di David, che, come disse Victor Hugo, sfidò Dio. Una figura unica e straordinaria, ricca di mille sfaccettature. Tiranno, liberatore, patriota, anticristo, rivoltoso, imperatore, conciliatore. Napoleone uno, nessuno e centomila che viene ricostruito nello splendido saggio “Napoleone. Duecento anni dopo”(TIPHERET), a cura di Marco Rocchi e Daniele Paci Fumelli. C’è poi il Napoleone massone, segreto, ignoto, sconosciuto. Per rivelarlo, conoscerlo e capirlo abbiamo intervistato il Prof. Marco Rocchi, uno dei massimi studiosi della massoneria in Italia.
Che rapporto c’è tra Napoleone e la Massoneria?
Indubbiamente dobbiamo riconoscere a Napoleone l’intento di fare della massoneria un instrumentum regni; però dobbiamo precisare che cosa intendere con questo termine. Alcuni autori sostengono che la massoneria fosse semplicemente uno strumento di controllo dei nuovi Stati. Tuttavia, c’è forse un disegno più raffinato nel rapporto tra Napoleone e la massoneria: l’idea, cioè, di usare le logge come serbatoio cui attingere per i quadri, per la classe dirigente civile e militare, dei nuovi Stati nascenti. Insomma, si possono immaginare le logge come il luogo in cui i membri di questa nuova classe dirigente potessero fraternizzare fra loro, risolvendo i conflitti che inevitabilmente si sarebbero creati nel mondo profano. Dentro le logge napoleoniche entrano immancabilmente i quadri dell’amministrazione, i quadri dell’esercito, nonché il milieu culturale dei vari Paesi. Ed è inoltre tra le colonne dei templi massonici che viaggiavano le idee illuministe, di cui il bonapartismo – al netto di tutte le storture dispotiche – è stato indubbiamente portatore.
Perché molte logge sono dedicate a San Napoleone? E che rapporto ci fu tra Napoleone e la chiesa?
Partirei dalla seconda questione. Nel rapporto con la Chiesa cattolica, così come in tutti gli altri campi in cui ha operato, è facile intravedere il Napoleone debitore della massoneria e dell’illuminismo.
Dopo il colpo di stato del 18 brumaio 1799, Napoleone seda, definitivamente, la rivolta della Vandea e, nel luglio dell’anno seguente, firma con Pio VII il nuovo Concordato, che raccoglie l’eredità della tradizione gallicana. Con questo atto il cattolicesimo è definito religione della maggioranza dei Francesi: non della Francia, o di tutti i Francesi; quindi, il cattolicesimo non è in alcun modo riconosciuto come religione di Stato. Inoltre, il Concordato prevede che il clero venga stipendiato dallo Stato, ma che ad esso, e precisamente nelle mani del primo console, dovrà giurare fedeltà; stabilisce inoltre che i vescovi siano nominati dal primo console – nelle cui mani anch’essi presteranno giuramento – e solo confermati dal papa.
Molti studiosi, anche cattolici, hanno osservato che il Concordato ricalca molte delle condizioni imposte dalla Costituzione civile del clero che tanta opposizione aveva scatenato nelle gerarchie ecclesiastiche.
Di fatto la Chiesa, per tornare al potere (o comunque per tornare a contare qualcosa) si abbassa ad accettare una serie di condizioni che solo pochi anni prima avevano determinato la condanna pontificia.
Nel 1802, Napoleone promulga, come addendum al Concordato, gli Articoli Organici che prevedono, tra l’altro: che nessun atto papale abbia efficacia in Francia senza la approvazione del primo console; che le scuole religiose e i seminari passino sotto il controllo dello Stato; e che venga adottato un solo catechismo e una sola liturgia per tutta la Francia .A completare l’opera di asservimento della Chiesa allo Stato, due anni più tardi Napoleone, asceso al trono imperiale, promulga l’entrata in vigore del Catechismo ad uso di tutte le chiese dell’Impero Francese, come previsto dagli Articoli Organici. Redatto da monsignor Bernier, viene spesso citato come Catechismo napoleonico; invito a leggerlo, per scoprire quali perle di servilismo vi si trovano. E tuttavia, asservita ai suoi scopi la Chiesa cattolica, Napoleone – col formidabile strumento rappresentato dal suo Codice emanato nel 1804 – introduce anche negli Stati satellite la tolleranza religiosa e la soppressione dei beni ecclesiastici.
Infine, nel 1809, papa Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti) viene imprigionato e privato del potere temporale. Lo scopo è di trasferire il papato a Parigi per meglio sottometterlo; solo l’imprevisto declino delle sorti di Napoleone fermerà questo progetto.
Quello sulla politica di Napoleone nelle relazioni con la Santa Sede è un giudizio in chiaroscuro: da un lato pare riammettere la Chiesa come interlocutrice privilegiata dello Stato, ma dall’altro ne contiene inesorabilmente il potere e ne condiziona le scelte, imponendole il controllo da parte di uno Stato divenuto laico: gli esiti positivi di questa politica sono visibili ancora oggi, due secoli dopo, in Francia e non solo.
Quanto alla figura di San Napoleone, essa si inquadra nella volontà della Chiesa di instaurare un rapporto il più possibile amichevole – ma meglio sarebbe dire servile – con Napoleone.
La premessa è che Napoleone era un nome adespoto, mancava cioè un santo protettore onomastico dell’imperatore. Ma, se manca un santo basta inventarlo: così, negli archivi viene scovato un riferimento a un certo Neopolo, la cui esistenza reale non era mai stata accertata e che la Chiesa si era quindi guardata bene dal beatificare. Ma qui la posta in gioco era più alta. Basta inventarsi un martirio, trasformare il nome di Neopolo in quello di Napoleone e collocarlo, nel Martirologio Romano, guarda caso, nel giorno del compleanno dell’imperatore, il 15 agosto.
Ma fare un santo è evidentemente più facile che disfarlo: così, caduto nella polvere Napoleone, il suo fasullo santo protettore è rimasto ben saldo all’onore degli altari (e nell’alto di una guglia del Duomo di Milano), dove saldamente resiste tuttora.
Molti mettono in dubbio l’iniziazione di Napoleone, nonostante dai parenti ai commilitoni, egli fosse circondato da liberimuratori. Secondo lei sono obiezioni legittime? E perché?
Circa l’appartenenza di Napoleone alla massoneria, occorre essere molto chiari: manca un elemento documentale diretto che attesti l’iniziazione massonica di Napoleone o la sua appartenenza al piedilista di una loggia. Tuttavia, come hanno evidenziato molti storici, questo è un elemento comune a molti personaggi, l’appartenenza massonica di alcuni dei quali non è mai stata messa in dubbio. Vi è tuttavia tutta una serie di prove indirette a favore della affiliazione massonica di Napoleone, la cui raccolta organica si deve soprattutto alla straordinaria opera di François Collaveri, e che sostanzialmente si fonda su tre ordini di argomenti.
Il primo si basa sul fatto che in numerosissimi documenti ufficiali dell’epoca nei quali Napoleone viene indicato come un “fratello”. Si potrebbe obiettare che si tratta di un indizio piuttosto labile, e tuttavia appare strano che documenti di questo genere venissero approvati, direttamente da Napoleone o indirettamente tramite i suoi più stretti collaboratori, senza un fondamento di verità; ricordiamo che l’imperatore era quasi maniacale nel controllo di tutto ciò che si scriveva su di lui. In questo tipo di prove indirette, rientra anche il copiosissimo numero di logge intitolate a Napoleone.
Il secondo ordine di argomenti a sostegno di una iniziazione massonica di Napoleone è quello relativo a ciò che potremmo definire una vox populi massonica. Chi si occupa dei problemi di presunte affiliazioni massoniche di vari personaggi sa bene che la vox populi massonica è spesso stata confermata anche quando una prevaricante cultura antimassonica la smentiva sprezzantemente. Ebbene, questa vox populi massonica ha sempre considerato Napoleone come un “fratello”, anche se – nello straordinario fiorire di leggende che lo riguardavano – furono prodotte molte differenti versioni dell’iniziazione: iniziato in Corsica dopo aver conosciuto Pasquale Paoli, o nella foresta di Fontainebleau, o durante la campagna d’Italia, iniziato a Marsiglia, o in una loggia castrense a Valence; o a Malta; o a Parigi dopo la cerimonia di incoronazione. Se da una parte questo fiorire di versioni non aiuta a fare chiarezza e, anzi, suscita notevoli dubbi, dall’altra potrebbe essere l’indizio che tutte queste leggende sono costruite attorno a un nucleo di verità storica. L’opinione del solito Collaveri è che Napoleone, già iniziato in una loggia francese, abbia fondato una loggia, intitolata a Iside, al Cairo nel 1798, assieme a ufficiali e a notabili egiziani.
Infine, un terzo ordine di argomenti è rappresentato dalla massiccia presenza di massoni tra i suoi familiari, tra cui suo padre Carlo, tutti i suoi fratelli, sua moglie Josephine, il figlio di primo letto di costei Eugenio Beauharnais, tutti i suoi cognati (Gioacchino Murat, Felice Baciocchi e Camillo Borghese): una presenza così massiccia che riesce difficile immaginare che solo Napoleone non sia stato iniziato, soprattutto se si pensa al ruolo che egli riconobbe alla massoneria non solo francese, ma anche di quella di tutti i Paesi che finirono sotto l’influenza francese, e a capo delle quali pose sempre i suoi parenti: il fratello Giuseppe fu Gran Maestro, nell’ordine, del Grande Oriente di Francia, di Napoli e di Spagna; il fratello Gerolamo fu Gran Maestro del Grande Oriente di Westfalia; il fratello Luigi fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Olanda; il figlio di primo letto di sua moglie Giuseppina, Eugenio Beauharnais, fu il primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e il cognato Gioacchino Murat fu Gran Maestro del Grande Oriente di Napoli.
Ma allora perché Napoleone non assunse per sé ruoli nell’istituzione massonica? È, a mio avviso, piuttosto verosimile che, non volendo egli assumere il ruolo di Gran Maestro – quelli che rivestiva politicamente e militarmente erano già assai gravosi -, lo abbia delegato ad altri, riconoscendo per se stesso un ruolo non istituzionale, ma che non faremo fatica a definire come quello di Gran Maestro dei Gran Maestri, una sorta di Gran Maestro di un Super Grande Oriente che comprendeva tutti i Grandi Orienti appena citati.
Nel percorso politico napoleonico, che ruolo affidò il protagonista del 18 brumaio alla massoneria?
Questo è un tema assi più difficile da trattare: nella fase del colpo di stato del brumaio la Massoneria era fuori legge ed è immaginabile che, pur avendo partecipato diversi massoni alla cospirazione (i suoi fratelli e Murat, ad esempio), essi abbiano agito per convinzioni politiche e non su mandato massonico.
Sta scrivendo altri testi sulla massoneria? Può parlarcene?
È in uscita un saggio, curato dal professor Giovanni Greco dell’Università di Bologna e da me, dal titolo “Segreti massonici italiani. Giardini e luoghi d’ispirazione esoterica” per i tipi di Mimesis; si tratta di una raccolta di saggi sulle tante tracce della presenza massonica nel nostro Paese. E, di recente, un mio saggio sui culti rivoluzionari francesi del periodo della scristianizzazione è stato pubblicato entro il libro di Antonio Cecere “I rituali dei teofilantropi”; un testo per immergersi nel modo pensare la religione e il rapporto col sacro in quegli anni turbolenti. Anche in questo caso, i massoni furono protagonisti.
Può consigliarci dei testi per approfondire e cercare di capire cosa è veramente la massoneria?
Io credo che non sia facile dare un consiglio di questo tipo: la saggistica sulla massoneria si divide tra testi apologetici e testi francamente antimassonici. Io penso che prima di tutto si debba conoscere la storia di questa istituzione, quindi consiglio il breve ma intrigante saggio di Antonio Trampus “La massoneria nell’età moderna” (Laterza) e la monumentale opera di Aldo Alessandro Mola “Storia della massoenria italiana” (Bompiani). Infine, per comprendere il fenomeno massonico, consiglio l’ormai classico saggio di Gian Mario Cazzaniga “La religione dei moderni” (ETS).