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Draghi, altro che “credibilità internazionale”: anche in questa crisi l’Italia non conta nulla


-Tommaso Alessandro De Filippo


Roma, 13 mar – Ricordate le chilometriche interviste e dichiarazioni di numerosi esponenti dell’agorà mediatica nei giorni dell’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi? Un fiume di entusiasmo teoricamente motivato dalla “credibilità istituzionale e geopolitica” che l’ex presidente della BCE avrebbe fornito all’Italia con il proprio arrivo.

Draghi e la credibilità dell’Italia

Pochi osservatori fecero notare che Draghi avrebbe avuto l’unico ruolo di essere garante della stabilità politica, per rasserenare la UE sull’appoggio incondizionato dell’Italia a misure come la ratifica del MES (il cappio al collo che Bruxelles sogna di imporci da anni) e la famigerata riconversione verde, tragicomicamente stravolta dalla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Chiunque esprimesse dubbi sulla presunta immagine positiva che l’Italia avrebbe ritrovato venne tacciato di complottismo e negatività, marginalizzato ed isolato nel dibattito mainstream. Eppure, alla prima vera grande crisi geopolitica l’inconsistenza italiana in politica estera e l’inutilità di Draghi frustrato a Palazzo Chigi sono evidenti. Nelle ore precedenti l’inizio della guerra Draghi ancora paventava un viaggio a Mosca volto ad incontrare Putin ed “intavolare la via diplomatica per risolvere la crisi”. I fatti hanno smentito il premier, tra l’imbarazzo nazionale.

Le solite esclusioni

Tuttavia, anche a conflitto in corso Draghi è stato escluso da tutti o quasi i vertici istituzionali e diplomatici: in UE sono ancora Francia e Germania quelle che, almeno comunicativamente, possono operare in ambito geopolitico con l’immagine di rappresentare una pur minima potenza geopolitica. Non a caso i vertici li tengono autonomamente e, quando ritengono di dover ampliare la compagine delle nazioni presenti ai tavoli diplomatici, scelgono nazioni maggiormente credibili della nostra come Spagna, Polonia o Regno Unito, che ha lasciato la UE tra gli attacchi e le ironie di larga parte degli osservatori. Anche sul piano extraeuropeo le attenzioni verso l’Italia a guida Draghi sono prossime allo zero, dato che Biden e tutta la presidenza USA non hanno mai preso in considerazione l’Italia sul piano diplomatico per provare a risolvere la crisi, affidandosi fino ad ora prevalentemente allo storico e radicato alleato britannico.

Come se non bastasse il presidente ucraino Zelensky dal suo bunker ha spesso rimarcato la vicinanza ideologica e politica alle singole nazioni europee ed occidentali, citando però raramente l’Italia, piuttosto polemizzando ironicamente con Draghi nelle scorse settimane, in occasione della nota telefonata mancata tra il premier ed il presidente ucraino. Un mix di inconcludenza ed impalpabilità in ambito internazionale che annulla ancor più il peso geopolitico dell’Italia, nonostante la presenza a capo del governo di una figura di “alto profilo” che all’estero però viene percepita con una considerazione alquanto limitata.

Wall Street Journal durissimo su Draghi e l’Italia: “Esita sulle sanzioni nel momento sbagliato”

– Tommaso Alessandro De Filippo

 

“Cracks in Western Resolve on Russia”. Titolo che tradotto significa crepe nella determinazione occidentale sulla Russia, con accanto la foto del premier Mario Draghi. La firma è quella dell’Editorial Board del Wall Street Journal, che aggiunge: “L’Italia esita sulle pesanti sanzioni esattamente nel momento sbagliato”. Gli alleati occidentali sono convinti che Putin attacchi il loro sistema, e quindi fermarlo necessiti di tutti gli strumenti a disposizione, o pensano che l’annessione del Donbass sia una vicenda locale e non valga il rischio di perdere le forniture di gas a buon prezzo? Dalla risposta può dipendere il futuro della democrazia in cui viviamo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il commento del Wall Street Journal inizia così: «Il presidente francese Emmanuel Macron si è affrettato domenica a cercare di fermare un’invasione russa dell’Ucraina, organizzando un possibile vertice tra il presidente Biden e Vladimir Putin. È difficile capire cosa accetterebbe la Russia, se non concessioni che comprometterebbero la sicurezza della NATO, e nel frattempo l’Italia sta già esitando sulle sanzioni». L’articolo cita le dichiarazioni di venerdì della guida di Palazzo Chigi: «Stiamo discutendo le sanzioni con la UE, e nel corso di queste discussioni abbiamo reso nota la nostra posizione, quella per cui dovrebbero concentrarsi su settori ristretti senza includere l’energia”. Tale resa preventiva è esattamente il motivo per cui Putin ritiene che il prezzo di un’invasione sarebbe inferiore a quanto pubblicizzato». Il WST aggiunge: «L’Italia importa circa il 90% del proprio gas ed è uno dei maggiori clienti di Mosca nel continente. Il leader italiano non vuole che la sua eredità di Primo Ministro di unità nazionale sia offuscata da una crisi energetica, ma favorire l’imperialismo russo sarebbe una macchia molto più grande. L’energia non è l’unica preoccupazione, e Roma non è l’unica capitale europea che potrebbe vacillare sulle sanzioni. La riluttanza della Germania è consolidata e l’Ungheria ha paura. Bandire la Russia dal sistema di compensazione finanziaria Swift è già stato escluso, in quanto potrebbe mettere in pericolo decine di miliardi di dollari in pagamenti a creditori russi in Austria, Francia e Paesi Bassi». In chiusura, un drammatico ammonimento: «Se il massacro si svolgerà, le elites americane ed europee dovrebbero riflettere su come si sono rese nuovamente ostaggi di un dittatore». Le preoccupazioni di Draghi per il gas italiano, così come quelle del cancelliere tedesco e degli altri leader europei e americani, sono tutte legittime e comprensibili, ma è indispensabile pesarle coraggiosamente sulla bilancia della posta in gioco. Se Putin attaccando l’Ucraina punta all’architettura di sicurezza creata dopo la caduta dell’Urss, vuole demolire la Nato ed il sistema democratico, è venuto il momento di compiere ogni sacrificio necessario per fermarlo.

PROF. MICHELE MARSONET: “GLI USA CONTRASTINO IN OGNI MODO LA RUSSIA. IL MONDO DELL’ISTRUZIONE ITALIANO È DA RIFONDARE”

– Tommaso Alessandro De Filippo


Il Prof. Michele Marsonet si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in Filosofia della scienza presso l’Università di Pittsburgh (USA). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Fellow” presso le Università di Oxford e Manchester (UK), City University of New York e Catholic University of America (USA). E’ Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova (2001-2002, e 2008-2011). Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (2002-2005, rieletto per il periodo 2005-2008). Dal 2008 al 2014 Pro-Rettore con delega all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova. Dal 17 ottobre 2012 è Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (USA). Visiting Scholar all’Università di Melbourne (Australia) nel 1999. E’ stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri: Fribourg (Svizzera, 1989 and 1996), Hertfordshire (UK, 1994), Siviglia (Spagna, 1995), Varsavia (Polonia, 1995), Malta (1996, 1999, 2003, 2005), Pittsburgh (USA, 1992 and 1997), Islanda (1998), Giessen (Germania, 1998), Melbourne (Australia, 1999), Bergen (Norvegia, 2000), Malaga (Spagna, 2001), Oxford (UK, 2001), Université Catholique de Louvain (Belgio, 2001), Stirling (UK, 2002), Cork (Irlanda, 2004), London King’s College (UK, 2005), Babes-Bolyai University (Cluj, Romania, 2007), St Andrews (UK, 2009), Hanoi (Vietnam, 2015). Fellow del Center of Philosophy of Science, University of Pittsburgh (USA). Coordinatore programmi scientifici nazionali, finanziati dal MIUR e dal CNR. Dal 2008 è External Examiner per tesi di Master e Ph.D. della University of Malta. E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima (Perù), e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dalla Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 28 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in riviste italiane e straniere. Inoltre, collabora con il magazine online Atlantico, diretto da Daniele Capezzone e Federico Punzi. Abbiamo avuto il piacere di dialogare con lui sul conflitto tra Russia, Ucraina ed USA, oltre che sulle attuali restrizioni pandemiche italiane proprogate nel tempo e le difficoltà del nostro mondo dell’istruzione.

Prof. Marsonet, può esprimerci le sue considerazioni in merito ai venti di guerra tra Russia ed Ucraina?

La Russia ha una responsabilità diretta delle tensioni in corso insieme all’Ucraina, dato il loro scontro frontale protattosi negli anni, dovuto anche a delle ragioni storiche. Credo che il comportamento americano in tale ambito sia dettato dalla necessità di Biden di tenere a bada l’opinione pubblica negli USA. Infatti, lo scenario politico futuro degli Stati Uniti è assolutamente incerto, con i DEM che non sono uniti intorno al presidente espressione del proprio partito ed un GOP alle prese con la necessità di ritrovare degli equilibri interni. Pertanto, ritengo che la pressione esercitata dagli USA su Russia ed Ucraina sia dettata soprattutto da motivazioni interne. Tuttavia, se ciò serve per impedire a Mosca di invadere Kiev ben venga.

Ritiene che l’attuale strategia di USA e NATO volta a difendere il territorio ucraino possa rivelarsi efficace a lungo termine?

Attualmente c’è una tale preponderanza armata di matrice russa che rende difficile ad una NATO così disarticolata immaginare di contrastarne la forza. Inoltre, è da menzionare l’ambiguità e l’incapacità costante della UE in materia di politica internazionale. Ieri come oggi gli unici a poter fare la differenza in situazioni come questa sono gli americani, che sono però stanchi di dover combattere guerre evitabili in difesa di altre nazioni, prive della capacità di difendersi autonomamente.

Quanto pesa l’ambiguità di Parigi e Berlino ed il loro interesse a condurre accordi economici con Russia e Cina sulla stabilità dell’alleanza atlantica?

Purtroppo i principali paesi europei dipendono ad oggi dalle forniture russe di gas ed energia, dati gli accordi presi sui gasdotti NordStream. Anche in ragione di ciò, non possono assumere delle posizioni dure nei confronti di Mosca e devono necessariamente trovare una mediazione. Anche l’Italia nella figura di Mario Draghi credo proverà a fare questo, data la nostra attuale assenza di autonomia energetica.

Dal suo punto di vista a cosa è dovuta la fascinazione di alcuni occidentali verso Vladimir Putin e le modalità di governo di stati come la Russia?

È dovuta al fatto che Putin rappresenti l’immagine di uomo e politico forte, dotato di un “pugno di ferro” che utilizza per governare la propria gente. Inoltre, in Italia ed in parte delle nazioni occidentali c’è un sentimento di sfiducia verso le classi politiche che vengono ritenute deboli. Ciò porta ad essere attratti da figure istituzionali differenti. Storicamente le grandi potenze hanno sempre praticato una politica di forza volta ad imporre i propri interessi in ambito internazionale.

In che modo valuta le attuali restrizioni delle libertà individuali prorogate dall’esecutivo italiano attraverso i recenti decreti?

Non condivido le polemiche verso le restrizioni avanzate da molti liberali. Ritengo che il momento sanitario sia complesso e meritevole di attenzione da parte della politica. Il governo italiano con la guida di Mario Draghi ha raggiunto dei risultati eccellenti in materia di campagna vaccinale ed io francamente giustifico alcune limitazioni delle libertà individuali condotte al fine di tutelare la salute.

Di che riforme in campo economico e sociale avrebbe urgente bisogno l’Italia?

Sul piano economico sarebbe necessaria una maggiore attenzione verso le industrie, le attività produttive ed il mondo dell’istruzione. Settori che non possono essere abbandonati perchè fondamentali per la formazione ed il mantenimento del tessuto sociale ed economico nazionale.

Come sarebbe possibile apportare dei miglioramenti al mondo dell’istruzione italiano?

In primis bisogna cercare di stoppare la politica della Didattica a distanza. Io stesso da professore universitario ho avuto modo di utilizzarla e la ritengo devastante per gli studenti di ogni grado scolastico. Spero realmente che si possa investire di più nel mondo dell’istruzione italiano e migliorarne le qualità, onde evitare un futuro disastroso per le nuove generazioni.

In chiusura, ritiene che i referendum sulla giustizia previsti in primavera possano dare la spinta necessaria per giungere ad una vera riforma della magistratura in Italia?

È molto difficile. Possono sicuramente avere una certa efficacia ma la magistratura ha raggiunto in Italia un potere quasi assoluto che sarà, al netto dei risultati delle votazioni, molto difficile da modificare.

Venti di crisi sul governo? La possibile via d’uscita di Mario Draghi

Ripreso da “Il Primato Nazionale”



La fatidica partita politica dell’elezione del Capo dello Stato si è finalmente conclusa. A seguito di mesi di dibattiti ed ipotesi l’Italia ha scelto nuovamente la strada dello status quo, lasciando lo scenario di Palazzo Chigi e del Quirinale sostanzialmente uguale al passato, con la riconferma del cosiddetto “ticket” Mattarella-Draghi.

Governo Draghi, distanze interne

Avevamo scritto della possibilità di assistere a tale scenario, nel caso in cui non fosse stato raggiunto un accordo tra i partiti in tempi ragionevoli dall’inizio delle votazioni parlamentari. Eppure, l’attuale stabilità dell’esecutivo appare già differente e stravolta dalla tempesta istituzionale appena conclusasi. Infatti, i partiti del centrodestra di governo come Lega e Forza Italia sono ora più distanti non solo in merite alle proposte politiche, ma pure nei riquadri dell’alleanza. Anche nel campo del centrosinistra gli equilibri giocano sul filo del rasoio: molti esponenti del PD hanno mal digerito la tattica e la gestione della leadership di Enrico Letta, pronti di fatto ad aspettare l’incidente politico perfetto per tentare di sfiduciarlo.

Nel M5s invece il dibattito interno ha assunto il volto di una rissa di strada, con Di Maio e Conte in piena guerra politica, che difficilmente potrà trovare pacifica risoluzione. Uno scenario complesso che allontana l’ipotesi esposta da alcuni, per cui le coalizioni presenti nel governo avrebbero di fatto garantito un minimo di stabilità fino alla fine della legislatura. Eventualità non più cosi certa e garantita, data la faida interna a quasi ogni gruppo presente in maggioranza ed alla figura di Mario Draghi che è chiaramente più debole, uscita distrutta dalla partita del Quirinale, dopo aver dimostrato all’opinione pubblica dei chiari limiti di strategia politica ed istituzionale.

L’ultimo anno di legislatura

Pertanto, ci domandiamo cosa possa accadere in quest’ultimo anno di legislatura, prima dell’arrivo delle elezioni politiche del 2023. In primis, è probabile che l’attuale maggioranza di governo subisca ulteriori fratture e lacerazioni: la Lega potrebbe essere (con cognizione di causa) tentata dal provare a ribaltare un crollo di consensi che appare inarrestabile con uno strappo decisivo in CDM o in Parlamento, che comporti una crisi di governo. Ipotesi non improbabile, che aprirebbe la strada a tre scenari.

La creazione immediata di una “maggioranza Ursula” con Forza Italia travolta dall’incomprensibile volontà del proprio leader di garantire stabilità istituzionale e pronta a fare da stampella al resto dei partiti fino al termine della legislatura (magari anche oltre). In secondo luogo, che resta il meno ipotizzabile, si potrebbe assistere ad uno scioglimento delle Camere anticipato, con Mattarella pronto a porre fine alla legislatura ora che il centrodestra è diviso ed il PD potrebbe concorrere per la vittoria delle elezioni nazionali.

Oppure, l’ipotesi meno accreditata dai media ma che se osservata con sguardo meramente politico sembrerebbe la più fattibile e conveniente per Mario Draghi. Infatti, con l’uscita della Lega dall’esecutivo il premier otterrebbe l’alibi perfetto per poter constatare l’impossibilità di proseguire il percorso di governo, dando così le proprie dimissioni. La miglior opzione disponibile per un uomo che ha bruciato parte della propria credibilità con la disfatta quirinalizia e che possiede abbastanza competenze tecniche ed economiche per sapere cosa si celi realmente dentro la riconversione verde, la ratifica del MES ed il PNRR: un girone vorticoso di debiti, tasse ed imposizioni austere da parte della UE che nessuna persona saggia vorrebbe ritrovarsi a dover gestire a Palazzo Chigi, soprattutto se circondato da una miriade di partiti in guerra interna ed in piena campagna elettorale. Un fronte tattico che complice il rapporto umano di Draghi con Giorgetti potrebbe vedere vita nel prossimo futuro, in modo da concedere al Carroccio di provare a rinascere ed a Mr. Bce di abbandonare saggiamente la nave prima che il fango politico italiano ne distrugga completamente la reputazione.

Tommaso Alessandro De Filippo

Rischio tecnocratico: guai a pensare che il tecnicismo sia sempre la soluzione

Ripreso da “Il Primato Nazionale”



Rischio tecnocratico, già. A partire dalla crisi governativa del 2011, in cui l’ultimo governo Berlusconi fu deposto a colpi di spread e presunta necessità di attuare delle riforme strutturali per la nostra nazione, abbiamo assistito al fortificarsi dell’ideologia tecnicista.

Il rischio tecnocratico: uno spettro sempre presente

Dunque il rischio tecnocratico si approfondisce nel corso degli anni. Certo, anche nel secolo scorso la politica italiana fece ricorso a delle figure tecniche più che squisitamente politiche per guidare apparati e ministeri di peso, Carlo Azeglio Ciampi su tutte, che cominciò la propria scalata istituzionale senza essere in principio un uomo di partito ma, appunto, un tecnico prestato alla politica.

Tuttavia, da poco più di un decennio quella che era un’opportunità remota e sempre distante dal rivelarsi consuetudine nei palazzi del potere sembrerebbe tramutarsi in una quasi irrinunciabile necessità. Infatti, il richiamo alle figure tecniche, ultima in ordine cronologico quella di Mario Draghi per guidare l’attuale governo, ha superato l’opportunità di sviluppare nuovi accordi politici che partorissero una figura di partito, o di preferire le elezioni anticipate al commissariamento della politica stessa.

Le vicende del Quirinale

Ulteriore esempio calzante è dimostrato anche nella partita del Quirinale, dove l’ipotesi di nominare una figura tecnica al Colle (sia Draghi o chiunque altro) ed indirizzare un ulteriore volto estraneo a partiti e politica per la guida di un nuovo esecutivo non ha sconvolto l’opinione pubblica. Pertanto, l’aver modificato la nostra prospettiva sociale in ambito nazionale come geopolitico, lasciando ampio spazio di manovra alla visione tecnocratica che si presenta come panacea di tutti i mali rischia di trasformare irreversibilmente aspetto e sostanza delle nostre democrazie e del mercato stesso delle nostre nazioni. Rischi ed aspetti di cui si è occupato magistralmente Lorenzo Castellani, autore de L’ingranaggio del potere e Sotto Scacco, appena pubblicato dalla casa editrice Liberilibri. Due volumi dedicati proprio all’esposizione del pericolo tecnocratico, su cui la Cina rischia di ottenere il primato mondiale, che con l’emergenza pandemica ha ottenuto la possibilità di espandersi a macchia d’olio senza che molti di noi se ne siano neanche resi conto.

La partita degli imprevedibili: chi viene eletto al Colle spesso appare all’ultimo miglio

Ripreso da “Il Primato Nazionale”



La partita politica dell’elezione del capo dello Stato sta ormai occupando quasi totalmente lo spazio mediatico nazionale, insieme all’onnipresente emergenza pandemica. Retroscena, anticipazioni ed ipotesi non potranno che incrementarsi fino alla votazione decisiva, dati gli equilibri istituzionali e partitici in bilico, con in palio un peso politico da conquistare ben superiore alla scelta della mera figura che sarà eletta al Colle.

La partita degli imprevedibili per il Colle

Tuttavia, quel che in questa occasione appare tenuto meno in considerazione rispetto alle elezioni del presidente della Repubblica passate sembrerebbe essere il ruolo che l’imprevedibilità gioca nella partita. Infatti, storicamente l’inquilino del Quirinale che viene poi eletto difficilmente è considerato come accreditabile dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Ultima dimostrazione cronologica di quanto affermato avvenne proprio con la salita al Colle di Sergio Mattarella: fino a pochi giorni prima del voto decisivo in pochi avevano previsto per lui la possibilità di spuntarla. Un’abitudine figlia della Prima Repubblica mantenutasi attuale nel nostro ambito istituzionale. Ragion per cui i tanto acclamati ed auspicati come futuri capi dello Stato finiscono quasi sempre per essere scaraventati in un vortice di incompatibilità con il “colpo di scena” richiesto.

Nomi bruciati, unica eccezione: Mario Draghi

Bluff, esposizioni pubbliche dettate dall’interesse dei “finti alleati” volti proprio a rendere non perseguibile la candidatura di una determinata figura sono quel che rischia di avvenire anche in questa occasione. Unica eccezione potrebbe rappresentarla Mario Draghi, volto di eccessivo peso istituzionale per essere bruciato da parlamentari che vedono nella tutela della sua credibilità la possibilità di allungare la propria permanenza alle Camere.

Il centrodestra ha il dovere di pesare nella scelta del capo dello Stato

Pertanto, appare doveroso osservare la tattica che il centrodestra sembrerebbe aver messo in campo. Puntare su Silvio Berlusconi, per preservare l’unità dell’alleanza, consapevole della quasi impossibilità di ottenerne l’elezione. Anche in ragione di ciò, dal quarto scrutinio potrebbe rivelarsi più chiaro il piano dei tre leader della coalizione, che hanno il dovere di esercitare un peso nella scelta del capo dello Stato, data la possibilità di giovarsi di numeri che sino ad oggi erano stati assenti in ogni elezione presidenziale. Difficile immaginare il nome dell’asso nella manica su cui il centrodestra potrebbe scommettere giunto alla resa dei conti.

Tremonti la figura più valida

Volendo provocare auspicheremmo la candidatura di Giulio Tremonti, probabilmente la figura maggiormente valida per ricoprire la più alta carica dello Stato. Personaggio di equilibrio e peso geopolitico individuale, con esperienza istituzionale e competenza innegabile. Anche se da ritenere quasi impossibile date le divergenze avute in passato con esponenti della coalizione e le apprensioni di Ue ed establishment europeista che proverebbero in ogni modo ad impedirne l’approdo al Quirinale.

Tommaso Alessandro De Filippo

Il governo del caos: regole e decisioni incomprensibili (e insostenibili)


Ripreso da “Il Primato Nazionale”


Chiamiamolo il governo del caos. Anche in occasione della fine del 2021 abbiamo assistito a un’ondata di restrizioni scatenata dall’esecutivo italiano. Nulla sembra essere cambiato con l’inizio del 2022. Un mix di disposizioni e regolamenti dannosi per l’economia e la libertà dei cittadini, da sommare a toni e modalità comunicative completamente errate. Infatti, il principio da rispettare per ogni legislatore o membro delle istituzioni incaricato a dare disposizioni pubbliche dovrebbe essere quello della chiarezza e semplicità delle norme. Un auspicio che appare ben distante dall’insieme confusionario partorito dal governo in particolare nel mese di dicembre.

Il governo del caos

Dal super green pass alle modifiche della quarantena per chi entra in contatto con un positivo, il filo conduttore delle decisioni sembra essere quello dell’incertezza. Conferenze stampa, interviste, dichiarazioni pubbliche e annunci roboanti di esponenti istituzionali si contraddicono a vicenda quotidianamente. Pertanto, la vita degli italiani è stata stravolta dalla confusione di chi è chiamato a scegliere per loro, oltre che dalla problematica sanitaria ormai tramutatasi in desolante normalità. Il risultato facilmente osservabile dall’incomprensione di vecchie e nuove norme, è ovviamente quello del non rispetto di esse. In primis, le estenuanti ricerca e attesa delle disposizioni ufficiali comporta irritazione e mancanza di fiducia. Inoltre, se in ballo c’è la libertà sociale e lavorativa di milioni di cittadini i toni di protesta e dissenso diventano auspicabili, oltre che comprensibili.

La necessità di un cambio di strategia

Anche in ragione di ciò, risulterebbe necessario un totale cambio di strategia politica e comunicativa, basato sull’esempio di modelli differenti dal nostro. In nazioni come Stati Uniti, Svezia e Regno Unito sin dal principio dell’emergenza pandemica si è scelto di ridurre al massimo ogni tipo di stravolgimento della vita dei cittadini. Pertanto, le occasioni in cui si è deciso di apportare modifiche alla vita sociale sono state poche, contrassegnate da ampia chiarezza. Il risultato si è palesato con crisi economiche inferiori alla nostra, statistiche pandemiche migliori e diritti inviolabili delle persone per lo più preservati e rispettati. Occasioni che in Italia si è scelto volutamente di perdere attraverso manie di protagonismo di membri delle istituzioni e scelte politiche dannose, all’insegna del caos.

Il governo Draghi tema l’opposizione più insidiosa: quella di un popolo stremato

Ripreso da “Il Primato Nazionale



Il governo Draghi, come ampiamente prevedibile, si trova a fronteggiare una complessa situazione sociale. Dopo più di un anno dall’inizio dell’emergenza il popolo italiano è giustamente stremato dalle limitazioni continue e dalla crisi economica. Promesse su riaperture, risarcimenti alle attività costrette alla serrata, oltre all’ormai poco credibile retorica dell’ultimo miglio da percorrere, hanno prodotto un effetto boomerang che è sfociato in protesta sociale.

Osservando le manifestazioni dei lavoratori degli scorsi giorni otteniamo amara testimonianza della situazione in cui versa una consistente parte del nostro tessuto sociale. Triste constatare come buona parte dell’opinione pubblica e della politica non operino con la dovuta comprensione di tali disagi. Non vi è infatti, ad oggi, ancora alcuna chiarezza sulle date e le modalità di ripartenza per il tessuto sociale e produttivo della nazione.

Le non-risposte del governo Draghi

In un’intervista al Foglio, ad esempio, il ministro Speranza ha lasciato anzi presagire che sarà difficile assistere ai tanto auspicati allentamenti delle restrizioni prima di giugno inoltrato. Questo, fra le altre cose, data anche la lentezza sulle vaccinazioni che il governo Draghi non ha per ora saputo velocizzare. Ci troviamo dunque dinanzi ad un prossimo futuro ancora colmo e irto di difficoltà. Ad una buona metà garantita economicamente dagli stipendi pubblici o da sussidi (destinati a diventare perpetui?) se ne aggiunge una controparte vittima di totale incertezza.

La disorganizzazione del piano vaccinale, l’inesistenza attuale di un piano di risposta economica europea e le divergenze interne al governo difficilmente produrranno degli interventi immediati. Pertanto, non possiamo che rivolgere l’ennesimo appello di ragionevolezza al governo Draghi: riaprire l’Italia, permettendo il lavoro in sicurezza è una prioritaria ed assoluta necessità. Dovesse persistere la retorica che ci ammorba da oltre un anno, non potranno che riverificarsi spiacevoli episodi. I quali rischiano di porre in serio pericolo anche la nostra sicurezza sociale.

Tommaso Alessandro De Filippo