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Politica e democrazia Sotto Scacco: Lorenzo Castellani ci racconta i rischi tecnocratici


Ripreso da “Il Primato Nazionale”


Lorenzo Castellani, giornalista, volto televisivo e docente di Storia delle istituzioni politiche, è uno dei principali osservatori ed analisti italiani delle sembianze e strutture assunte dal potere tecnocratico nel corso della storia, con i rischi per democrazia e rappresentatività popolare che ciò comporta. Per la casa editrice Liberilibri ha pubblicato nel 2020 L’ingranaggio del potere e recentemente Sotto Scacco, un sequel del primo testo che analizza il regime tecnocratico al tempo della pandemia da coronavirus.

Lorenzo Castellani in Sotto Scacco analizza il regime tecnocratico al tempo della pandemia

Strutture burocratiche e centraliste hanno assunto il predominio del dibattito politico e sociale, nel nome di una presunta stabilità da garantire che è di fatto il miglior alibi per narcotizzare il clima di dibattito popolare, roccaforte di ogni ambiente democratico. La predominanza mondiale nell’ambito tecnico rischia di finire totalmente nelle mani del regime comunista cinese, pronto ad espandere le proprie metodologie governative in un panorama geopolitico privo di un contropotere che possa fungere da alternativa credibile. Un rischio evidente fino ad oggi trascurato, che affonda le proprie radici già nei secoli scorsi e che potrebbe nel prossimo futuro porre in discussione le dinamiche sociali e democratiche che abbiamo ritenuto fino ad oggi assodate.

In che modo si forma il potere tecnocratico e come guadagna spazio all’interno dell’ambito sociale?

“La combinazione tra crescita della burocrazia, quindi delle funzioni statali; progresso scientifico, dunque importanza crescente delle competenza specialistica; e industrializzazioni, cioè tecnica applicata, fondano e hanno fondato le premesse per una tecnicizzazione della politica. Tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo non è apparsa soltanto la democrazia, ma anche la tecnocrazia. Sono molte le istituzioni pubbliche che si fondano sulla competenza più che sulla rappresentanza e che esercitano funzioni specifiche e non generali, pur restando nell’ambito politico”.

È possibile identificare un crocevia storico che permetterà al tecnicismo di mostrarsi come la panacea di tutti i mali nell’ambito politico europeo?

“Difficile a dirsi, ma la tecnica presuppone un uomo ad una sola dimensione, quella tecnica appunto. Può l’elemento tecnico abbracciare l’intero concetto di umanità? Mi sembra difficile. Lo stesso vale per la politica, che è la capacità di gestire la vita associata. Può forse essere ridotta a formula tecnico-scientifica? Pluralismo e conflitto fanno parte della natura umana, chi crede di poterli rimuovere pecca di utopismo e crea grandi pericoli”.

Quali sono i principali rischi per le democrazie d’occidente derivanti dall’avanzata di questo potere?

“Come diceva Tocqueville già quasi due secoli fa il rischio è che la democrazia si trasformi più che in un regime totalitario o dittatoriale in una sorta di dispotismo dolce, fondato sulla tecnocrazia. Non dunque la feroce dittatura novecentesca, ma un regime che unisca una società stordita dall’intrattenimento e dalla tecnologia ad una politica burocratizzata”.

Quanto è forte il legame tra strutture tecnocratiche e settore finanziario?

“La finanza ama la stabilità politica perché vuole ridurre al minimo i rischi. Già il settore finanziario deve fronteggiare continui cambiamenti economici e se ad essi si sommano anche quelli politici la gestione delle rendite diventa più rischiosa e complessa. Per questo spesso la finanza influenza e si ramifica nelle istituzioni pubbliche. I tecnocrati sono persone che per la loro formazione parlano la stessa lingua delle banche d’affari e che garantiscono continuità nelle politiche pubbliche. Sono dei semplificatori in società complesse. Meno conflitto politico esiste, più la società è domata, meglio è per i mercati finanziari. I tecnocrati addomesticano il conflitto politico e creano stabilità, per questo la finanza spinge sempre più per una tecnicizzazione della politica”.

Il tuo ultimo testo Sotto Scacco è concentrato sul momento pandemico. In che modo l’avvento del coronavirus ha innescato ed amplificato la crisi del sistema politico?

“C’erano già prima della pandemia alcune trasformazioni abbastanza evidenti: lo sviluppo tecnologico delle piattaforme, la crescente influenza di tecnici ed esperti, il depotenziamento della politica, il ritorno dello Stato nell’economia, l’esasperazione della sfera pubblica preda di minoranze rumorose e fanatiche, l’infatuazione per le politiche ambientali senza fare i calcoli con il loro impatto economico e sociale. La pandemia ha accelerato rapidamente questi cambiamenti, determinando in alcuni casi delle degenerazioni, e aprendo una lunga fase di emergenza con cui si cerca di tenere a bada rischi incontrollabili. Alla fine la domanda da rivolgere a noi stessi è: in questa presunta nuova normalità siamo più o meno uniti? Più o meno soli? Più o meno liberi? Più o meno fiduciosi?”

Sarà possibile offrire alternative volte a ridurre i rischi derivanti dal regime tecnocratico già nel prossimo futuro?

“Sarà possibile offrire una alternativa soltanto se la società ritroverà se stessa ed uscirà dalla dipendenza dal potere pubblico e dall’amministrazione della paura. C’è bisogno di una società auto-organizzata che protegga gli individui dai rischi del paternalismo e del centralismo tecnocratico. Senza una comunità si muore in solitudine, e per quanto tecnologica e ricca questa solitudine sia devasta la fiducia reciproca. L’individuo senza forti legami spontanei, solo e conformista, è destinato all’infelicità. È disunito. Solitudine, sospetto e infelicità diffusa generano le reazioni peggiori in politica, come le guerre civili e le dittature. In definitiva, serve una scelta morale a favore della responsabilità individuale e collettiva, che generi fiducia diffusa, senza sottomettersi volontariamente ad un potere-balia che ci sorveglia e indirizza. Quei rischi di degenerazione nel dispotismo sono evitabili soltanto se tra libertà e sicurezza si sceglierà la prima. E se le élite saranno capaci di riconoscere che il pluralismo di idee ed il conflitto bene ordinato sono più una ricchezza che un problema”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

“Ci sarà un podcast a breve, ma il contenuto è ancora top secret. E poi un altro libro, ho giusto stilato l’indice”.

Tommaso Alessandro De Filippo

Rischio tecnocratico: guai a pensare che il tecnicismo sia sempre la soluzione

Ripreso da “Il Primato Nazionale”



Rischio tecnocratico, già. A partire dalla crisi governativa del 2011, in cui l’ultimo governo Berlusconi fu deposto a colpi di spread e presunta necessità di attuare delle riforme strutturali per la nostra nazione, abbiamo assistito al fortificarsi dell’ideologia tecnicista.

Il rischio tecnocratico: uno spettro sempre presente

Dunque il rischio tecnocratico si approfondisce nel corso degli anni. Certo, anche nel secolo scorso la politica italiana fece ricorso a delle figure tecniche più che squisitamente politiche per guidare apparati e ministeri di peso, Carlo Azeglio Ciampi su tutte, che cominciò la propria scalata istituzionale senza essere in principio un uomo di partito ma, appunto, un tecnico prestato alla politica.

Tuttavia, da poco più di un decennio quella che era un’opportunità remota e sempre distante dal rivelarsi consuetudine nei palazzi del potere sembrerebbe tramutarsi in una quasi irrinunciabile necessità. Infatti, il richiamo alle figure tecniche, ultima in ordine cronologico quella di Mario Draghi per guidare l’attuale governo, ha superato l’opportunità di sviluppare nuovi accordi politici che partorissero una figura di partito, o di preferire le elezioni anticipate al commissariamento della politica stessa.

Le vicende del Quirinale

Ulteriore esempio calzante è dimostrato anche nella partita del Quirinale, dove l’ipotesi di nominare una figura tecnica al Colle (sia Draghi o chiunque altro) ed indirizzare un ulteriore volto estraneo a partiti e politica per la guida di un nuovo esecutivo non ha sconvolto l’opinione pubblica. Pertanto, l’aver modificato la nostra prospettiva sociale in ambito nazionale come geopolitico, lasciando ampio spazio di manovra alla visione tecnocratica che si presenta come panacea di tutti i mali rischia di trasformare irreversibilmente aspetto e sostanza delle nostre democrazie e del mercato stesso delle nostre nazioni. Rischi ed aspetti di cui si è occupato magistralmente Lorenzo Castellani, autore de L’ingranaggio del potere e Sotto Scacco, appena pubblicato dalla casa editrice Liberilibri. Due volumi dedicati proprio all’esposizione del pericolo tecnocratico, su cui la Cina rischia di ottenere il primato mondiale, che con l’emergenza pandemica ha ottenuto la possibilità di espandersi a macchia d’olio senza che molti di noi se ne siano neanche resi conto.