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Antonelli:”Con Fontana per difendere i valori europei e liberaldemocratici della Lombardia”

Antonelli:”Con Fontana per difendere i valori europei e liberaldemocratici della Lombardia”

Il 12 e il 13 Febbraio si svolgeranno le elezioni regionali in Lombardia per l’elezione del presidente di Regione e del Consiglio Regionale, una competizione elettorale che vede sfidarsi tra loro Attilio Fontana, già ex presidente della Regione, Letizia Moratti e Pierfrancesco Majorino. A sostegno della candidatura di Fontana i repubblicani lombardi hanno candidato Valerio Massimo Antonelli, segretario regionale della FGR e membro della segreteria nazionale del Pri. Antonelli, a 19 anni, è il candidato più giovane di tutta la competizione elettorale e con la sua candidatura vuole portare avanti una voce laica, repubblicana, europea e mazziniana all’interno della lista a sostegno dell’ex governatore.

Perché ha scelto di candidarsi per le elezioni regionali in Lombardia e quali sono le principali iniziative che propone con la sua candidatura?

Ho scelto di candidarmi, come ho scritto nel mio messaggio elettorale, perché credo nella forza della politica, che è la forza del fare. Gran parte delle cose che oggi diamo per scontate si devono non alla provvidenza, ma a uomini che si sono rimboccati le maniche e hanno afferrato le grandi opportunità per la coda. Avendo 19 anni, credo di poter rappresentare bene il mondo studentesco. La sola città metropolitana di Milano dispone di sette università e più di 2000 scuole di ogni ordine e grado. È un mondo, di residenti come di fuorisede, che esige una solida rappresentanza nelle istituzioni, perché saremo noi in primis a pagare le conseguenze delle scelte di oggi.

Quali saranno le iniziative che proporrete per rispondere alle esigenze del mondo giovanile?

È necessario un coordinamento sempre maggiore tra istituzioni regionali e scuola. Non di invasione dei reciproci campi, ma di reciproca collaborazione. Per questo sarebbe ottima cosa continuare a organizzare incontri come quelli promossi dal Consiglio Regionale della Lombardia l’inverno scorso, dal titolo “I giovani incontrano le istituzioni”, in giro per i licei, ma penso anche per le università.
Credo che iniziative del genere, facendo educazione civica, sarebbero un primo rimedio contro il forte sentimento di antipolitica che tra i giovani purtroppo spopola. Un coordinamento più capillare con l’apparato scolastico e le consulte studentesche provinciali, andrebbe poi a beneficio soprattutto della Regione e degli enti che sono chiamati a decidere sul futuro dei giovani.

Quanto sono attuali i valori repubblicani e mazziniani in questo scenario?

Tantissimo. Non solo in questo scenario. Da Mazzini e Cattaneo i Repubblicani vogliono solo un’Italia moderna. Che sia più giusta, ma anche più ricca e più libera. Sono orgoglioso di candidarmi nella circoscrizione di Milano perché qui è dove Giovanni Spadolini venne eletto consigliere comunale, con quasi 40 mila preferenze.
Il quale non a caso, all’apice della sua carriera politica, amava definirsi “Senatore a vita di Milano”. Perché Milano è una città europea, civile, competitiva, moderna, dove il lavoro, e solo il lavoro, come pensava Mazzini, ha realizzato il futuro che oggi viviamo.

-Perché come Repubblicani avete scelto di proseguire il sostegno alla candidatura di Fontana?

Ha spiegato bene le ragioni l’amico Franco De Angelis. La candidatura Moratti è priva di un reale intento di governo, e il terzo polo che la appoggia altrettanto. Inoltre, dalle elezioni comunali di Roma sono molti gli episodi che hanno fatto pensare al Partito Repubblicano non solo lombardo che possano esistere alleati ben più validi.
Quanto a Majorino, per sua stessa ammissione i valori liberali non lo riguardano.
Fontana, invece, si è rivelato, al netto di una campagna mediatica segnata da una opposizione molto marcata, un amministratore equilibrato, moderato, che in certe zone della Lombardia, vedi Varese, ha fatto cose che non si era mai riuscito a fare da quando le regioni esistono.

-Quali saranno le priorità dei candidati repubblicani in questa competizione elettorale?

Porre l’attenzione sullo sviluppo economico di Milano, e della Lombardia, perché essenziale per la vita della regione; aumentare ancora di più l’attrattività verso i mercati, come ha fatto benissimo Fontana in questi 5 anni; guardare alla scuola (soprattutto a quella pubblica, perché la formazione dell’uomo libero non può essere lasciata alle paritarie) non come un bene secondario ma come la fonte di tutto il resto.

L’Italia vista da un liberale. Intervista a Angelo Panebianco

L’Italia vista da un liberale. Intervista a Angelo Panebianco

Di Francesco Subiaco


È una controstoria dell’Italia vista da una prospettiva laica e radicale quella scritta dal professor Angelo Panebianco e da Massimo Teodori, che nel loro ultimo saggio, “La parabola della Repubblica. Ascesa e declino dell’Italia liberale”(Solferino). In questo testo Panebianco e Teodori raccontano controcorrente la storia del nostro paese vista dal un punto di vista repubblicano, libertario, liberale e radicale, oltre i pregiudizi e le calunnie di cui è vittima questa tradizione di minoranza. Una storia che parte dai delitti eccellenti del fascismo, da Gobetti e Amendola, fino alla ricostruzione, che passa per Einaudi, Pacciardi e Parri fino a Spadolini, Pannella e Malagodi, raccontando una altra Italia, Risorgimentale e eterodossa, liberale e libertina, che agognava la modernità e anelava una società libera dai dogmatismi delle due grandi chiese dell’Italia repubblicana, quella comunista e quella clericale. Una storia fatta di protagonisti che hanno segnato per sempre la storia nazionale nonostante il peso minoritario della loro tradizione, dalle prediche inutili di Einaudi alla Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa, fino alla contemporaneità, mostrando come costante la volontà di costruire un’Italia diversa, fondata sull’individuo e sulle sfide della modernità. Tramite le pagine di Panebianco si scoprono le dinamiche di una Italia che esita e traspare oltre le risse del cattocomunismo e che sogna un avvenire diverso ispirato ai principi della democrazia liberale, fatta di grandi occasioni perse e straordinari esempi di uomini che hanno fondato e cambiato per sempre le nostre istituzioni. Per parlare di questa controstoria italiana abbiamo intervistato il Professor Panebianco tra gli editorialisti più acuti e pungenti del Corriere della sera che attraverso il suo lavoro accademico ha diffuso e analizzato i grandi temi del pensiero liberale.

La cultura laica e liberale in Italia nonostante l’influenza e i successi ottenuti è un progetto minoritario e ancora incompiuto da cui si potrebbe trarre molto?
È stata soprattutto una tradizione di minoranza che ha contato di più nella storia del nostro paese di quanto fosse la sua consistenza elettorale reale. Ciò è dovuto a varie ragioni, soprattutto internazionali, poiché dopo l’ottocento la cultura liberale diventò una cultura politica minoritaria e divissima nel paese, che nonostante queste problematiche svolse un peso culturale nella storia italiana, dall’unità d’Italia al presente, fondamentale.

Che giudizio trae della figura sciamanica e libertariana di Marco Pannella? Il suo Partito Radicale nonostante le numerosi battaglie modernizzatrici ha rappresentato una rivoluzione incompiuta per il liberalismo?
Quella di Marco Pannella fu certamente una rivoluzione incompiuta, causata da due fattori che spiego ampiamente nel libro. Il primo fattore è dato dalle circostanze, poiché Pannella attraverso il Partito Radicale voleva “conquistare” il Partito Socialista per trasformarlo in un “Partito liberale di massa” a cui avrebbe attribuito una tendenza profondamente radicale che avrebbe sconvolto i quadri politici del paese. Un tentativo che purtroppo nel 1979 non gli riuscì, soprattutto perché in quegli anni si insediò nel Psi la leadership di Bettino Craxi che ne sconvolse il destino. L’altro fattore è dato dai limiti caratteriali di Pannella, che non è mai riuscito ad essere un aggregatore ed un mediatore e per questo è stato incapace di conciliare e mediare posizioni diverse che gli avrebbero permesso di realizzare il suo progetto. La sua era una operazione molto a la Mitterand che non poteva essere svolta da una personalità come Pannella, che aveva certamente portato delle notevoli innovazioni modernizzatrici nella politica italiana col suo Partito Radicale, ma che allo stesso tempo non riuscì a compiere un salto di qualità capace di compiere il suo progetto e soprattutto di realizzare una rivoluzione liberale nel paese.


-Durante la stagione del centrismo degasperiano che ruolo hanno giocato figure come Pacciardi, Einaudi, Croce, La Malfa, nonostante il peso elettorale minoritario, nella ricostruzione del paese?
Basta solo ricordare i nomi di questi statisti per vedere quanto le personalità abbiano un peso enorme in politica. Infatti nonostante essi appartengano a culture politiche con un peso elettorale minoritario, sono riusciti a rappresentare questa tradizione attraverso ruoli decisivi nella storia del nostro paese che superano la consistenza elettorale del Pri, del Pli e del Partito d’azione, riuscendo a essere alternativi tra un mondo massimalista e comunista da una parte e una tradizione cattolica democristiana dall’altra. Una componente minoritaria che permane nella storia politica italiana insieme alla spaccatura tra tradizione massimalista e gradualista all’interno della sinistra politica.

Il mito patriottico costituzionale ha impedito una modernizzazione del paese, chiudendo aprioristicamente a qualsiasi revisione?
Secondo me si, poiché la costituzione, figlia di un determinato momento storico, garantisce certamente ampi e diffusi poteri di veto rispetto gli esecutivi che non aiutano i governi durante la loro azione, ma rendono più complessa la gestione dei governanti. Queste criticità sono emerse sempre di più durante la fine della prima Repubblica, ai tempi della prima commissione bicamerale, presieduta dall’on. Bozzi, ma non vennero affrontate dalla classe politica, dimostrando che la proposta della modifica della costituzione resta ancora oggi un tabù che non abbiamo minimamente superato. Nel nostro paese per ragioni culturali da una parte, per interessi personali dall’altra, permane la volontà di non permettere all’esecutivo di avere gli stessi poteri che hanno, per esempio, i primi ministri in Gran Bretagna ed in altri paesi occidentali.

Oggi molti cronisti parlano di restaurazione liberale, che ne pensa?
Io quando sento parlare di Restaurazione Liberale non riesco a rimanere serio, sono solo parole in libertà. Non vedo restaurazione di nessun tipo.

Da tangentopoli ai 5 stelle lo spirito giustizialista non solo non si è mai sopito ma sta facendo nuovi anticorpi contro i tentativi di riforma garantisti, come quelli della Cartabia?
Certamente ci sono forti interessi che vogliono impedire una riforma dell’ordinamento giudiziario e che non si sono mai sopiti. Il problema è che con la fine del vecchio sistema dei partiti si è creato un vuoto di potere in Italia che è stato riempito non dalla politica ma da altri, ovvero dalla burocrazia e dal potere giudiziario.

Berlusconi, padre della rivoluzione liberale nostrana a distanza di anni è stato più un Crono o uno Zeus nella storia del nostro paese?
Certamente c’erano in Berlusconi, o almeno nel primo ingresso di Berlusconi in politica, elementi liberali, che hanno attirato intellettuali vicini al pensiero liberale, come Marcello Pera e Lucio Colletti, ma successivamente questa componente si è rapidamente esaurita. Per questo motivo non riesco a mettere Berlusconi sullo stesso piano di Pannella.

Chi sono i suoi riferimenti culturali?
Da un lato i grandi autori del pensiero sociologico e politico e dall’altro gli autori esponenti del pensiero laico e liberale Italiano. Certamente Einaudi è uno dei miei punti di riferimento.

Come è diventato un liberale?
Credo che questa adesione sia nata in reazione al sessantotto, cercando riferimenti alternativi a quelli della stagione sessantottina, quando ero una matricola universitaria. Sicuramente mi formarono molto la lettura dei testi dell’illuminismo e la vicinanza al mio maestro, Nicola Matteucci. Matteucci, fortemente liberale, è stato il mio punto di riferimento per la mia formazione personale e a lui devo moltissimo.

Dalle restrizioni al collasso economico, tra patrimoniali occulte e pandemie legislative, per molti in Italia la proprietà è ancora un furto. Dialogo con Giorgio Spaziani Testa

– Francesco Subiaco

 

Troppo ricchi, troppo poco tassati, troppo egoisti. I proprietari per la stampa sono una creatura ibrida tra il conte Dracula e i nobili usurpatori dell’Ancient Regime. Individui che vivono in suntuosi castelli impermeabili ad ogni redistribuzione della ricchezza, privilegiati nella loro condizione di possesso di beni immobili che per il furore pauperista andrebbero espropriati come i terreni della chiesa ai tempi del Terrore. Ma è davvero così? La realtà è ben diversa, in questa epoca di woke capitalism il settore immobiliare è particolarmente vessato e ostaggio delle espansioni del governo, che preferisce concentrare la propria attenzione sui piccoli proprietari e locatori, piuttosto che spostare le proprie mire sul mondo finanziario, sulle grandi speculazioni, sui feudatari della pubblica amministrazione. Un esempio di tale impostazione è la proposta dell’introduzione della revisione degli estimi  nella legge delega, che introdurrebbe di fatto una patrimoniale occulta che affossa ulteriormente il settore immobiliare, dando una eccessiva discrezionalità all’attività del governo. Per parlare di questi temi abbiamo deciso di sentire la voce dei padroni, anzi dei proprietari, il presidente di Confedilizia: Giorgio Spaziani Testa. Spaziani Testa non ha il profilo alla Mr. Burns che si assocerebbe al suo ruolo. Alto, colto, acuto, discorre con disinvoltura, concedendo momenti di tagliente ironia che si alternano ad una lucidità fredda, profonda, che non ama ornarsi di inutili fronzoli, dei bonari ed ipocriti giochi di perifrasi e non detti tipici degli uomini dell’establishment. È un liberale e non ha intenzione di nasconderlo poichè per lui la libertà non può separarsi dalla proprietà, dalla connessione con quell’Atlante, fatto di produttori e imprenditori, che randianamente reggono il cielo della società dei consumi. In opposizione con quei personaggi che si rivelano solo come dei borghesi con sensi di colpa, che consolano le masse affamandole con un sottofondo umanitario e civile, non ha mai risparmiato critiche, rettifiche, stroncature verso quei provvedimenti in antitesi con il culto della libertà, prima fra tutte la riforma del catasto 

Perché Confedilizia ha manifestato perplessità sulla riforma del catasto?

Per due motivi sostanzialmente. Il primo, apparentemente formale, è poiché la maggioranza aveva deciso di non inserire la revisione del catasto all’interno della legge fiscale. Il secondo motivo, per entrare nel merito, è perché, come si può dedurre dal testo, essa introduce a lungo termine un aumento della patrimoniale sugli immobili, ovvero l’IMU, come del resto emerge da una relazione del Ministero dell’economia. Tale revisione è prevista per dare seguito alle richieste della Commissione Europea, che per diminuire la tassazione del mercato del lavoro vuole aumentare le tasse sugli immobili, attraverso l’aggiornamento del catasto. A queste motivazioni va aggiunto il fatto che nel testo di proposta di revisione del catasto, inserita nel disegno di legge delega, lascia troppi spazi di libertà e discrezionalità ai governi che successivamente dovrebbero applicarla. Mostrando una connotazione fortemente patrimoniale in contrasto con una idea di catasto reddituale come a nostro avviso dovrebbe essere.

Secondo lei che effetti potrà avere tale riforma sulla classe media?

A mio avviso ci sarà un aumento generalizzato del prelievo fiscale che potrà, forse, creare una redistribuzione della ricchezza, che però non giustifica un danno così ingente al settore immobiliare, ricordiamoci che dal 2012 in poi, data successiva all’introduzione dell’IMU, il prezzo degli immobili è caduto vertiginosamente. In questo momento sia all’interno dell’attuale ex centrodestra, sia nella maggioranza (Lega e Forza Italia) sia nell’opposizione (Fdi) si sono mobilitate per evitare tale stravolgimento, che di fatto calpesta le decisioni prese in passato dal Parlamento, cercando di soprassedere su di essa. Non so se accadrà…

“Non è il momento di cedere a questa voglia di libertà”. Può commentarci questo intervento, proveniente da un senatore della repubblica, su cui si è espresso nei giorni passati?

Questa è una dichiarazione, di un senatore in Parlamento detta per rispondere ad alcune affermazioni contro i provvedimenti degli ultimi giorni sulla sicurezza e le limitazioni della libertà. Una dichiarazione che sintomatica di un clima assurdo di limitazione eccessiva delle libertà dei cittadini, che non sono solo economicamente dannose, ma anche preoccupanti dal punto di vista etico valoriale. Preoccupazioni che vengono accompagnate da un clima di minimizzazione di ogni allarme che sottolinea ancor di più una deriva da non sottovalutare della nostra società.

Alla luce di queste considerazioni come giudica la gestione del sistema paese, da parte degli ultimi governi, sia dal punto di vista generale, sia da quello relativo all’immobiliare?

In generale c’è stato e c’è tuttora una eccessiva espansione dei perimetri dell’intervento statale nella vita dei cittadini, di cui francamente non si sentiva il bisogno, un pericolo che già alla vigilia del 2020, abbiamo sottolineato con un appello contro la “pandemia statalista”, ideato da persone come Carlo Lottieri e Corrado Sforza Fogliani. Un appello con cui si voleva rimarcare il pericolo con la motivazione (o scusa se vogliamo) della pandemia per attuare una ingerenza pervasiva per espandersi mentre si abbassavano le difese dei cittadini, colpiti dall’emergenza. Attenzione come Confedilizia non abbiamo negato a priori interventi o contromisure, che in alcuni campi abbiamo apprezzato ed anche richiesto, ma allo stesso tempo tali misure devono essere l’antidoto per l’eccezione temporanea non l’occasione per una regola permanente. Soprattutto molti dei successi di questi anni sarebbero stati mantenuti, se non migliorati, con una maggiore apertura verso lo snellimento della burocrazia e dell’economia. Mentre abbiamo notato un meccanismo marcatamente basato sui sussidi che nascondendosi dietro al Totem del PNRR, ad una vera e propria ricostruzione hanno preferito una poco efficace manutenzione.

La strada dell’inferno, come direbbe Marx, è lastricata di buone intenzioni?

Purtroppo, si. Soprattutto nel settore immobiliare.

Da sempre lei si batte per i valori liberali riformisti, in un paese da controriforma permanente. Quali cambiamenti e provvedimenti auspica per il nostro paese?

È necessario cambiare approccio sia dal punto fiscale sia sul piano normativo. Da una parte attraverso un intervento netto e coraggioso sulla tassazione e non micro-interventi irrilevanti. Dall’altra attraverso una vera deregolamentazione dei vincoli legislativi, in particolare nel settore immobiliare tramite misure forti come la flat tax degli affitti, o cedolare secca, da estendere ai locali non abitativi come i piccoli locali commerciali, attualmente in grave difficoltà. Soprattutto tramite una liberalizzazione dei legami contrattuali, che ancora si basa su leggi del 1978, incapaci di fronteggiare i cambiamenti del mercato, introducendo maggiore parità tra le parti per stimolare l’economia.

In questo c’è forse un substrato ideologico che ritiene responsabile?

Assolutamente sì. Molti considerano i proprietari il bersaglio prediletto per interventi come l’aumento della patrimoniale, nonostante tali slanci non avvengano per i detentori di grandi portafogli di titoli ad esempio. Attacchi di invidia sociale che provengono sia da chi ne possiede le motivazioni, sia da parte chi sfrutta questa situazione per i propri interessi. Per qualcuno la proprietà è ancora un furto. Basti pensare alla situazione drammatica del blocco degli sfratti, che sta trasformando in carta straccia molte sentenze.

Quali sono i riferimenti culturali di Giorgio Spaziani Testa?

Sicuramente gli autori del pensiero liberale, Von Mises e Von Hayek, ad esempio, che stiamo promuovendo con Carlo Lottieri e Sandro Scoppa attraverso la nascita di una collana dedicata alla proprietà per l’editore Rubettino. Se dovessi citare due titoli direi “La ribellione delle masse” di Ortega y Gasset e “Burocrazia”.

 

 

 

 

GIUSEPPE BENEDETTO TRA LIBERALISMO E DEMOCRAZIA

-Francesco Subiaco

Luigi Einaudi è stato uno dei più importanti protagonisti del dibattito politico ed economico italiano. Un pensatore capace di coniugare libertà e responsabilità, iniziativa privata ed armonia della gestione pubblica. Una concezione della politica e della società che fanno di Einaudi un alfiere della libertà, un paladino di una visione politica oggi dimenticata che alla demagogia dell’antipolitica, improvvisata e pauperistica, ha opposto l’idea di una militanza che non può essere avulsa dalla competenza, dalla conoscenza, riassunta nello splendido motto: “conoscere per deliberare”. Fustigando i peccati della nostra malapolitica attraverso le sue “Prediche inutili”, sognando l’Europa unita e libera in un momento in cui essa era divisa e oppressa dall’egida sovietica. Einaudi, presidente della Repubblica tra i più lungimiranti e competenti, prestò come sottolineò Giovanni Leone, la sua estrema competenza e conoscenza alla Repubblica Italiana, lasciando con il suo mandato un esempio e una professionalità che ne fanno uno dei maggiori capi di stato italiani. Ma il pensiero einaudiano non è un cimelio bello e perduto nella storia delle idee, ma è una concezione della vita che si fonda sulla libertà, sul senso delle istituzioni, sulla difesa dell’individuo contro le prevaricazioni del potere. Istanze garantiste e liberali che sono state raccolte dalla Fondazione Luigi Einaudi che si sta impegnando per diffonderne il pensiero e le idee. Per parlare dell’attività svolta dalla FE abbiamo intervistato il presidente Giuseppe Benedetto, che attraverso il suo percorso politico-culturale e le sue attività in ambito intellettuale, si prodiga per la diffusione dei valori liberali, garantisti ed europeisti. Abbiamo incontrato il presidente Benedetto, che si rispecchia in quella tradizione che va da Einaudi a Malagodi, da Bozzi a Mill, per parlare di temi etici e politici e per capire l’attualità di quelle fondamentali prediche inutili di cui abbiamo ancora bisogno.

Quanto è attuale il pensiero Einaudi, europeista e liberale, in questo periodo di disgregazione e conformismo? E perché?

Il pensiero di Luigi Einaudi è straordinariamente attuale. Le sue riflessioni di acuto economista e intransigente difensore delle Istituzioni illuminano il panorama politico italiano ed europeo e sono la guida dell’attività della Fondazione che prende il suo nome. Tra i molteplici profili di attualità credo che due siano cruciali: la sua radicata fiducia nel processo di integrazione europea e l’attenzione ad una prudente gestione delle risorse pubbliche. Abbiamo vissuto negli ultimi anni e continuiamo ad assistere a movimenti sovranisti, dichiaratamente antieuropei e contrari ai valori dell’integrazione. La pandemia ha però mostrato tutti i limiti dell’isolazionismo e l’Unione Europea ha saputo essere presente davanti alla storia. Mi auguro che il sovranismo prima imperante sia oggi sempre più declinante, anche grazie alla presenza di Mario Draghi. Con riferimento al secondo grande insegnamento di Einaudi, avverto oggi un pericolo: la noncuranza del debito pubblico. Il PNRR rappresenta un momento storico e tutti gli Stati occidentali hanno aumentato la spesa pubblica. Tuttavia, prima o poi si presenterà il conto e solo se gli investimenti saranno stati fruttiferi l’Italia avrà una situazione economico-finanziaria stabile.

Che opinione ha delle campagne referendarie sulla giustizia e sull’eutanasia?

Condivido i quesiti referendari sulla giustizia e li voterò, però non gli si attribuisca eccessiva rilevanza. Molti dei temi affrontati, quali separazione delle carriere, riforma del CSM e valutazione dei magistrati andrebbero affrontati con riforme costituzionali. Abbiamo assistito negli anni ad una pluralità di interventi che non hanno fatto altro che moltiplicare il numero delle leggi ed anche la loro oscurità. Vi sono squilibri significativi nella relazione tra poteri dello Stato che devono essere affrontati a livello costituzionale, con coerenza e sistematicità. La Fondazione Einaudi ha proposto l’istituzione di una Assemblea Costituente, eletta direttamente dai cittadini, che riformi la II parte della Costituzione, così da modificare in modo organico il nostro sistema costituzionale.

Il referendum sull’eutanasia dimostra l’incapacità del Legislatore di affrontare importanti temi etici. L’introduzione del suicidio assistito è avvenuta grazie alla Corte costituzionale e ora intervengono i cittadini. Sono aperto a discutere di eutanasia, perché il corpo dell’individuo non è al servizio di nessuno. Però si presti attenzione, perché l’abolizione dell’omicidio del consenziente apre una voragine. A quali condizioni si potrà richiedere l’eutanasia? Una persona che soffre di depressione ha diritto a che un medico la aiuti a morire? Come viene disciplinata l’obiezione di coscienza? Un’eutanasia accessibile sempre sarebbe in contrasto con i moniti della Corte costituzionale dati nel caso Cappato. La Consulta ha ricordato che non sussiste un obbligo generalizzato nell’aiutare qualcuno a morire. Io sono in linea con quella posizione.

Di fronte alla crisi dei movimenti di protesta, e la crisi delle principali coalizioni, vede possibile la nascita di un movimento capace di diventare la grande casa dei liberali italiani?

La nascita di un partito politico autenticamente liberale è quanto auspico fin dalla dissoluzione del Partito Liberale Italiano. In una fase storica in cui i popolari decidono di accodarsi ai sovranisti e i socialisti ai populisti sicuramente si apre un importante spazio politico al centro. Però il vero tema è: quale centro? Un centro con tutti dentro, pseudo liberali, democristiani, ex popolari ed ex socialisti non è quello di cui il Paese ha bisogno. È necessaria una casa autenticamente liberale, che si rifaccia ai valori di ALDE e del gruppo al parlamento europeo Renew Europe. Poste queste condizioni, si intraprenda la strada dell’inclusione. I partiti costruiti sulla persona sono destinati al fallimento, se non sono sorretti da una radicata ideologia. È giunto il momento che nasca un partito fondato sui principi liberali, quelli di Einaudi, Croce e Malagodi.

 

Dal RDC alla prescrizione, questa legislatura, complice il caos pandemico, ha segnato una terribile regressione delle libertà nel nostro paese a vantaggio di una ingerenza statale sempre più pressante. Quali riforme potrebbero segnare il passaggio verso una “rivoluzione liberale” nel nostro paese?

Molteplici riforme sono necessarie per ripristinare la libertà, in campo economico e sociale. Non vi è però alcun dubbio che la più grave crisi che il Paese stia affrontando riguardi l’ordine giudiziario. Il CSM da organo di governo autonomo della magistratura è divenuto organo politico ed autoreferenziale. Il vulnus che ne deriva è all’indipendenza del giudice, che la Costituzione definisce terzo ed imparziale, soggiogato dalla cultura d’accusa della Procure. È per questo che la prima riforma sulla giustizia, prioritaria a tutte le altre, deve essere la separazione delle carriere. Come ho già accennato, il referendum promosso dai Radicali e dalla Lega tenta di disciplinare la materia, ma non è sufficiente. Il vero problema non è il passaggio dalla carriera requirente a quella giudicante, ma la presenza di un unico CSM col potere di decidere sui progressi di carriera e sulle sanzioni disciplinari. A nulla varrebbe impedire i passaggi da un lato all’altro se la cultura d’accusa continuasse a governare l’ordine giudiziario. Il danno che ne deriva non è agli avvocati, ma ai cittadini, imputati di fronte ad un giudice non pienamente terzo ed imparziale rispetto a colui che esercita le funzioni di Pubblico Ministero. Ad essere in pericolo è l’habeas corpus, la madre di tutte le libertà.

Come giudica la gestione securitaria della pandemia in questo periodo da parte del governo, vedendo i provvedimenti e le metodologie utilizzate da paesi come Israele, UK e Spagna?

Il Governo Draghi rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto al Governo Conte. L’incertezza e la stravaganza delle primule di Arcuri è stata sostituita dall’autorevolezza e l’efficienza della campagna vaccinale di Figliulo. Oggi grazie ai vaccini i cittadini possono esercitare le proprie libertà, che lo Stato deve limitarsi a riconoscere. Non le concede, né le attribuisce, come disse l’attuale leader del Movimento 5 Stelle.

Il dibattito sul green pass non mi appassiona. Il Governo deve agire al fine di ridurre al minimo le limitazioni delle libertà fondamentali, che si giustificano nella stretta misura in cui la pandemia rappresenta un’emergenza. Posto questo principio, è evidente che il green pass non possa durare in eterno. In ogni democrazia liberale si deve accettare che una frazione dei cittadini, seppur minima, non aderisca alle decisioni delle Istituzioni. È dunque opportuno che il Governo programmi una data di scadenza del green pass che coincida col terminare dello stato di emergenza relativo alla pandemia. Susciterebbe perplessità la proroga dello stato di emergenza oltre il 31 marzo 2022, se la situazione pandemica dovesse rimanere quella attuale.

 La fondazione Einaudi promuove da anni studi, approfondimenti per la diffusione del pensiero liberale. Può consigliarci tre testi per uscire dalla cappa del presente?

Le “Prediche inutili” di Luigi Einaudi, come qualunque altro testo da lui scritto. Quelli non possono mai mancare. “Sulla libertà” di John Stuart Mill, caposaldo del pensiero liberale. Infine, un romanzo: “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.

Quali sono i riferimenti culturali del presidente Giuseppe Benedetto?

Il mio riferimento culturale non può che essere il Partito Liberale Italiano, unico partito autenticamente liberale nella storia italiana. Come dico a mia moglie, sono vedovo del partito. Uomini straordinari, ancor prima che grandi politici, come Giovanni Malagodi e Aldo Bozzi, hanno ispirato la mia attività politica. Attività politica, fatta non nel palazzo, ma tra i cittadini per diffondere il pensiero liberale.

Così il super green pass decapita la ripresa


Tommaso Alessandro De Filippo – Il Primato Nazionale – 27/11/2021

Roma, 27 nov – Era prevedibile una nuova ed ulteriore ondata restrittiva derivante dalle scelte del nostro esecutivo. Da settimane le allusioni al “modello austriaco” e gli inviti alla responsabilità lasciavano presagire un imminente stretta sulle libertà. Tuttavia, l’aver varato il “super green pass” in occasione del periodo natalizio ci obbliga a denunciare l’ennesima scelta che si rivelerà lesiva per le attività economiche nazionali.


In primis, è da ricordare come le festività natalizie rappresentino principale occasione di spese e spostamenti per i cittadini, che si tramuterebbero in speranza di ripresa per le attività lavorative. Ad esempio, interi settori quali ristorazione, aziende sciistiche e catene d’alberghi incassano buona parte del proprio fatturato proprio durante le festività del Natale. Pertanto, la scelta di limitare spostamenti per chiunque non sia vaccinato dal 6 dicembre al 15 gennaio comporterà una perdita economica che potrebbe rivelarsi fatale per migliaia di aziende.

Il super green pass non è lo strumento che il resto del mondo ci invidia

Federalberghi ha stimato il picco di disdette sui 2,5 milioni, numero elevato che testimonia la contrarietà di turisti stranieri ed italiani all’introduzione del nuovo certificato. Oltre all’imposizione surrettizia della vaccinazione è infatti da osservare l’avversione degli stranieri a dover mostrare un lasciapassare durante la permanenza in Italia. Ulteriore dimostrazione di come il super green pass non sia strumento che il resto del mondo ci invidia. Piuttosto il motivo per disdire prenotazioni nelle nostre città: interi settori imprenditoriali subiranno perdite di fatturato non riassorbibili in futuro.

Inoltre, c’è da attendersi una ulteriore proroga delle restrizioni giunti al 15 gennaio: difficile immaginare che alla scadenza temporanea ufficiale si ritorni alle limitazioni attuali. Anche in ragione di ciò, aumentano le possibilità di dover attraversare l’intero inverno con nuovi lockdown ed imposizioni dirette o surrettizie, estranee alle logiche delle nazioni estere. Eventualità che tramuterebbero lo stato d’emergenza in stato d’eccezione, strada imboccata con inquietante spensieratezza che renderebbe complesso un pieno ritorno alla vera ed unica normalità.

L’ECO DELLA LIBERTÀ: ADALBERTO RAVAZZANI ED UN INDIVIDUALISMO ANCORA POSSIBILE

Abbiamo intervistato Adalberto Ravazzani, giornalista, scrittore ed autore di libri, oltre che divulgatore di argomenti e visioni liberali. Infatti, nel complesso momento attraversato dalla nostra nazione, con una prevaricazione dello Stato sull’individuo sempre più evidente, ascoltare analisi di matrice liberale ed individualista è preziosa fonte d’ossigeno.

In che modo valuti l’attuale scenario politico italiano?

Lo scenario politico italiano è l’immagine tangibile della decadenza culturale dell’Italia. Il popolo italiano ha scelto una classe politica miserrima, inefficiente e rinchiusa nella torre d’avorio dei propri privilegi, perché ha perso completamente il proprio baricentro morale. Per anni si è parlato solo e solamente di diritti, inebriati dalla retorica sessantottina dei diritti separati dai doveri. Non dobbiamo stupirci se poi vengono eletti politici privi di scrupoli o responsabilità. Quello che bisogna tenere a mente è che la rinascita politica può avvenire solamente attraverso una rivoluzione culturale, dominata da sani principi, obblighi, doveri e responsabilità. Max Weber, insuperabile sociologo del ‘900, ne “La politica come professione” distingueva il vivere “di” politica (von die Politik), dal vivere “per la” politica (für die Politik), esercitandola cioè per passione o per responsabilità verso la comunità. Dobbiamo recuperare questo secondo aspetto per sperare contro ogni speranza in una nuova alba istituzionale e politica, contro le rendite parassitarie del parlamentarismo come “professione”.

Di che misure economiche avrebbe bisogno la nostra nazione in tale momento storico?

L’Italia è una delle roccaforti dello statalismo più sfrenato. L’intero impianto accademico, culturale, burocratico e politico è avverso alla libera impresa privata. È passata l’idea che il “fare impresa” sia sinonimo di sfruttamento e schiavitù. Ma non è così. In Italia c’è uno stato che soffoca e opprime gli agenti economici e le imprese private. La pressione fiscale ha toccato punte impressionanti. Se poi aggiungiamo le imposte indirette, il cuneo fiscale o banalmente le imposte sugli immobili, troviamo un terreno arido ove creare ricchezza. Lo sviluppo economico, date queste condizioni, è quasi impossibile. Questa situazione inoltre danneggia i lavoratori dipendenti privati, i quali si ritrovano con meno liquidità in busta paga per far fronte ai consumi e agli imprevisti. Ogni risorsa che viene sottratta ai cittadini tramite “la spoliazione legale” (per citare Bastiat) serve per finanziare servizi pubblici scadenti e obsoleti, per non parlare di un esercito di dipendenti pubblici alle spese del libro paga della burocrazia centrale, quindi a carico dei contribuenti. L’Italia ha bisogno, a mio avviso, di un’unica manovra economica: quella del laissez faire; del lasciare fare al mercato e alle imprese private. Solo in questo modo si può raggiungere un optimum, un tale livello di ricchezza da far prosperare l’intera nazione. Come diceva Adam Smith, padre del liberismo economico, nel cercare il proprio interesse personale, l’individuo aumenta la ricchezza ed il benessere generale.

Ritieni che la classe giornalistica italiana abbia svolto un buon lavoro informativo durante l’emergenza pandemica?

I giornalisti sono complici di un sistema di informazione che si è contraddistinto per l’utilizzo di un linguaggio del terrore o apocalittico. A causa dei giornalisti o, banalmente, dei virologi televisivi, molte persone hanno perso completamente fiducia nella scienza. Tutto questo è imperdonabile. Io credo che un giornalista debba essere il più obiettivo possibile. Tutta la sfera dell’irrazionale, come le emozioni negative, il panico, la paura, il terrorismo psicologico, devono essere espulsi dal vocabolario giornalistico. Le armi concettuali devono essere la chiarezza e l’amore per la verità. Il giornalista deve essere come un ragioniere e deve utilizzare il metodo del raziocinio e della compostezza. Tutto il resto è demagogia giornalistica che alimenta odio e disinformazione.

In che modo è possibile cambiare la nostra cultura sociale, che vede quasi sempre inserirsi lo Stato in economia ed in ogni ambito individuale?

Bisogna intervenire nel mondo dell’istruzione. Javier Milei, economista libertario argentino, rifacendosi alla grande tradizione liberale, ha affermato che la nostra società è malata di collettivismo proprio a causa dell’ideologia distorta che viene inculcata nei giovani dagli apparati dell’istruzione pubblica, come scuole e università. Non è un caso che giovani studenti delle scuole o delle università siano accecati dall’ideologia progressista. Io sono un antiaccademico per definizione come Schopenhauer e non tollero nessun tipo di educazione basata sulla sottomissione, sullo statalismo e sui residui del marxismo. Non è un caso che gli interi programmi scolastici e accademici siano basati sull’astio e su una montagna di falsità per esempio sul periodo storico della Rivoluzione Industriale. Come se ciò non bastasse, nelle aule passa quasi sempre il messaggio che la libera impresa sia un male da affossare dialetticamente e moralmente. Se fossimo capaci di privatizzare totalmente l’istruzione saremmo in grado di limitare anche la sfera di intervento dello stato nella vita degli individui. Dobbiamo tutelare i diritti inalienabili della persona: la proprietà privata, la libertà e la sicurezza. Il resto sono chiacchiere. Per questo va limitato il monopolio pubblico dell’istruzione.

Parlaci delle tue ultime pubblicazioni letterarie e giornalistiche.
A cosa ti stai dedicando principalmente?

Il primo articolo l’ho pubblicato a quindici anni, sulla Provincia Pavese. Ora ho 26 anni e collaboro con “Il Settimanale Pavese della mia città”. Ho collaborato (come articolista)con Istituto Liberale e con il centro studi della Libreria Del Ponte di Bologna, edificio del sapere fondato da uno dei miei maestri liberali: Guglielmo Piombini. Ho appena pubblicato due libri: Il primo volume dal titolo: Cavalieri d’Italia a Pavia dal 2010, Per solidarietà e cultura, contiene una disanima di quali sono le benemerenze ed i titoli onorifici civili, del sistema premiale che sta alla base del loro conferimento, nonché una rassegna stampa a testimoniare i numerosi riconoscimenti che la stampa del territorio ha voluto significativamente elargire all’Unione Nazionale Cavalieri d’Italia della provincia di Pavia. Il libro contiene numerosi articoli di cultura che ho pubblicato nel corso della mia consolidata carriera. Il secondo volume dal titolo: Cavalieri d’Italia a Pavia dal 2010, Un patrimonio di valore e di valori, contiene un breve ma significativo profilo dei soci che hanno inteso partecipare al progetto, offendo una significativa descrizione delle persone. Tra poco pubblicherò un terzo libro che è la raccolta divulgativa dei miei articoli pubblicati nel corso del tempo, con una particolare attenzione alle dinamiche liberali, libertarie e conservatrici.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?


Continuare l’impegno nella divulgazione, nel giornalismo e nella scrittura. Sono la mia motivazione di vita. Nella mia vita privata sono un instancabile lavoratore nell’impresa di famiglia. Con dedizione e impegno porto avanti con passione una mission, incominciata tanti anni fa, da quei grandi uomini che hanno reso insuperabile il nostro paese. Nella mia esistenza non c’è spazio per le cose esteriori e banali: disciplina, scrittura e lavoro sono la mia linfa vitale. Per questo devo ringraziare la mia famiglia che mi ha insegnato la responsabilità, la laboriosità e la tenacia. Ed è la famiglia il nucleo centrale, oggi, da salvaguardare con tutte le nostre forze.