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De Masi: “La questione sociale sarà il vero tema della transizione digitale”

De Masi: “La questione sociale sarà il vero tema della transizione digitale”

Di Francesco Subiaco

La transizione digitale e l’innovazione tecnica pongono il cittadino del mondo post industriale di fronte ad una sfida critica: la gestione del cambiamento e la pianificazione del futuro del lavoro. Nel mondo post-industriale, infatti, all’interno dei processi produttivi prendono sempre più spazio la sostituzione del capitale rispetto alla forza lavoro, la disintermediazione e la conseguente crisi della classe media e l’accentramento della ricchezza, del potere, del sapere nelle mani di ristrette oligarchie finanziarie. Eventi la cui conseguenza sono l’obsolescenza professionale della classe media, l’emergenza della ricollocazione delle forze produttive e l’aumento delle disuguaglianze che pongono un tema prioritario: la necessità di una nuova questione sociale e il ruolo dello stato nella transizione digitale. Per approfondire questi temi abbiamo intervistato il sociologo Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università «La Sapienza» di Roma dove è stato preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Svolge attività di consulenza per organizzazioni pubbliche e private. Conferenziere internazionale e saggista, è autore di numerose pubblicazioni riguardanti soprattutto la società postindustriale, la sociologia del lavoro e la creatività. Che recentemente ha pubblicato “Il lavoro nel XXI secolo” (2018) e “La felicità negata” (2022), entrambi per Einaudi.


Professor De Masi, come la transizione digitale sta ristrutturando e mutando la conformazione del mercato del lavoro?

Negli ultimi secoli abbiamo assistito a quattro ondate tecnologiche: il telaio meccanico ad inizio Ottocento; le macchine elettromeccaniche, nel Novecento; la nascita dei computer e l’avvento del digitale, nella seconda metà del Novecento; lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, negli ultimi anni. L’affermazione di queste ondate tecnologiche ha modificato il mercato del lavoro, prima sostituendo gli operai comuni con i mezzi meccanici, poi gli operai specializzati con le macchine elettromeccaniche, successivamente i quadri ed i dirigenti con lo sviluppo del digitale e infine una parte dei lavori creativi con l’arrivo dell’Intelligenza Artificiale. Ognuna di queste ondate tecnologiche ha modificato il mercato del lavoro in due sensi: ha ridotto il fabbisogno di fattore umano e di forza lavoro; ha spostato percentuali crescenti di lavoratori nel settore del lavoro creativo (laboratori scientifici, atelier artistici, ecc.) o in quello dei lavori di tipo affettivo (badanti, ecc.). Una mutazione che ha ridefinito la piramide del lavoro al cui apice ora sono presenti i lavori creativi e alla base quelli affettivi. 


Che impatto sociale avrà a suo dire il passaggio della centralità nei processi produttivi dalla forza lavoro e dai quadri dirigenti al capitale, come fonte di finanziamento della AI e della robotica?

Renderà sempre meno necessaria la componente umana a vantaggio della componente meccanica e informatica. Producendo un accentramento del potere (concentrato nelle mani di chi detiene la proprietà dei mezzi tecnici) e della ricchezza (concentrato nelle mani di chi detiene i capitali). In questo contesto assume un peso fondamentale, rispetto al fattore e al tempo di lavoro, la dimensione del tempo libero e di come si impiega la propria esistenza al di fuori del mercato del lavoro.


Lo sviluppo della globalizzazione e delle nuove tecnologie sta ridefinendo la piramide sociale cannibalizzando la classe media, ampliando il divario tra “servitori personali” e oligarchia creativa-tecnica?

La classe media sarà sempre più prosciugata dal processo di disintermediazione. Il crescente divario tra una élite creativa in cima alla piramide sociale e, alla base, i lavoratori non professionalizzati e con bassi stipendi, utilizzati nel settore affettivo, porterà a una evaporazione della classe media. Di fronte poi alla destrutturazione del luogo di lavoro prodotto da fenomeni come lo smart working, anche figure come capi dipartimento, capi ufficio e sovrintendenti organizzativi vedranno scomparire via via il loro impiego e il loro peso. Scompaiono quindi tutte quelle figure che hanno rappresentato l’essenza della classe media e che fondavano la loro azione sull’intermediazione e sull’organizzazione del lavoro. In sintesi, la disintermediazione ha prosciugato la classe media, creando un problema di ricollocamento di numerosi lavoratori che non trovano più impiego nel loro tradizionale settore di appartenenza e la cui condizione provoca un problema sociale difficilmente risolubile.


Oggi le motivazioni sociali e quelle del sistema industriale e digitale sono tra loro in idiosincrasia, è necessario secondo lei rilanciare il tema della questione sociale?

È un tema fondamentale. La questione sociale e il tema del welfare diventeranno delle cruciali di fronte ai cambiamenti della transizione digitale. Perché la vera sfida della questione sociale è quella redistributiva. Bisogna ridistribuire la ricchezza, il sapere, il potere, le opportunità e le tutele, mentre la tendenza è accentratrice e renderà necessario un enorme lavoro politico. La nostra società capitalistica ha la capacità straordinaria di produrre valore e ricchezza (concentrata nelle mani di poche persone), ma non ha la capacità di redistribuirli. Su tale questione è necessario concentrare le sfide del futuro.

 
L’avanzamento della disintermediazione e della precarizzazione rende necessarie misure come il reddito universale? 

Sono strumenti innovativi e fondamentali per affrontare la transizione digitale. Nel contesto che ho delineato, passeremo da un reddito di cittadinanza a un reddito universale. Saremo costretti (finalmente costretti) a un impiego intensivo e invasivo del welfare, attraverso tassazioni sempre più progressive ed un ruolo più attivo dello Stato al fine di destinare gli investimenti verso la soddisfazione dei bisogni collettivi. Una necessità che diventerà urgente di fronte a un numero decrescente di persone che disporrà di un reddito lavorativo, poiché – come ho detto – la produzione richiederà un impiego decrescente di energia umana. Una condizione che farà venire meno la leva distributiva del lavoro come è stato finora (“tanto più lavori, tanto più guadagni”) facendo corrispondere il guadagno e il reddito non più a questo criterio ma ai criteri redistributivi del welfare, legati non all’impiego ma alla cittadinanza. Soprattutto perché è venuta meno la centralità del lavoro nella vita dell’uomo, facendo diventare il tempo libero un problema centrale e fondamentale. L’identità dell’individuo non è più definita solo in base al lavoro ma anche in base alla quantità e alla qualità del tempo libero a disposizione.


Quale è la sfida più sottovalutata della transizione tecnologica?

Quella di cui abbiamo parlato finora: la redistribuzione e la questione sociale. Perché oggi la maggior parte del valore prodotto è creato da macchine la cui proprietà e le cui risorse sono nelle mani di un numero esiguo di persone: oggi gli otto personaggi più ricchi del mondo detengono una ricchezza pari a quella detenuta dai 4 miliardi di persone più povere. Da qui la necessità della redistribuzione in tutti i suoi ambiti per affrontare il presente e le sfide del futuro. Purtroppo, però, il capitalismo è capace di produrre ma non è capace di distribuire.