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Venti di crisi sul governo? La possibile via d’uscita di Mario Draghi

Ripreso da “Il Primato Nazionale”



La fatidica partita politica dell’elezione del Capo dello Stato si è finalmente conclusa. A seguito di mesi di dibattiti ed ipotesi l’Italia ha scelto nuovamente la strada dello status quo, lasciando lo scenario di Palazzo Chigi e del Quirinale sostanzialmente uguale al passato, con la riconferma del cosiddetto “ticket” Mattarella-Draghi.

Governo Draghi, distanze interne

Avevamo scritto della possibilità di assistere a tale scenario, nel caso in cui non fosse stato raggiunto un accordo tra i partiti in tempi ragionevoli dall’inizio delle votazioni parlamentari. Eppure, l’attuale stabilità dell’esecutivo appare già differente e stravolta dalla tempesta istituzionale appena conclusasi. Infatti, i partiti del centrodestra di governo come Lega e Forza Italia sono ora più distanti non solo in merite alle proposte politiche, ma pure nei riquadri dell’alleanza. Anche nel campo del centrosinistra gli equilibri giocano sul filo del rasoio: molti esponenti del PD hanno mal digerito la tattica e la gestione della leadership di Enrico Letta, pronti di fatto ad aspettare l’incidente politico perfetto per tentare di sfiduciarlo.

Nel M5s invece il dibattito interno ha assunto il volto di una rissa di strada, con Di Maio e Conte in piena guerra politica, che difficilmente potrà trovare pacifica risoluzione. Uno scenario complesso che allontana l’ipotesi esposta da alcuni, per cui le coalizioni presenti nel governo avrebbero di fatto garantito un minimo di stabilità fino alla fine della legislatura. Eventualità non più cosi certa e garantita, data la faida interna a quasi ogni gruppo presente in maggioranza ed alla figura di Mario Draghi che è chiaramente più debole, uscita distrutta dalla partita del Quirinale, dopo aver dimostrato all’opinione pubblica dei chiari limiti di strategia politica ed istituzionale.

L’ultimo anno di legislatura

Pertanto, ci domandiamo cosa possa accadere in quest’ultimo anno di legislatura, prima dell’arrivo delle elezioni politiche del 2023. In primis, è probabile che l’attuale maggioranza di governo subisca ulteriori fratture e lacerazioni: la Lega potrebbe essere (con cognizione di causa) tentata dal provare a ribaltare un crollo di consensi che appare inarrestabile con uno strappo decisivo in CDM o in Parlamento, che comporti una crisi di governo. Ipotesi non improbabile, che aprirebbe la strada a tre scenari.

La creazione immediata di una “maggioranza Ursula” con Forza Italia travolta dall’incomprensibile volontà del proprio leader di garantire stabilità istituzionale e pronta a fare da stampella al resto dei partiti fino al termine della legislatura (magari anche oltre). In secondo luogo, che resta il meno ipotizzabile, si potrebbe assistere ad uno scioglimento delle Camere anticipato, con Mattarella pronto a porre fine alla legislatura ora che il centrodestra è diviso ed il PD potrebbe concorrere per la vittoria delle elezioni nazionali.

Oppure, l’ipotesi meno accreditata dai media ma che se osservata con sguardo meramente politico sembrerebbe la più fattibile e conveniente per Mario Draghi. Infatti, con l’uscita della Lega dall’esecutivo il premier otterrebbe l’alibi perfetto per poter constatare l’impossibilità di proseguire il percorso di governo, dando così le proprie dimissioni. La miglior opzione disponibile per un uomo che ha bruciato parte della propria credibilità con la disfatta quirinalizia e che possiede abbastanza competenze tecniche ed economiche per sapere cosa si celi realmente dentro la riconversione verde, la ratifica del MES ed il PNRR: un girone vorticoso di debiti, tasse ed imposizioni austere da parte della UE che nessuna persona saggia vorrebbe ritrovarsi a dover gestire a Palazzo Chigi, soprattutto se circondato da una miriade di partiti in guerra interna ed in piena campagna elettorale. Un fronte tattico che complice il rapporto umano di Draghi con Giorgetti potrebbe vedere vita nel prossimo futuro, in modo da concedere al Carroccio di provare a rinascere ed a Mr. Bce di abbandonare saggiamente la nave prima che il fango politico italiano ne distrugga completamente la reputazione.

Tommaso Alessandro De Filippo

Il governo Draghi tema l’opposizione più insidiosa: quella di un popolo stremato

Ripreso da “Il Primato Nazionale



Il governo Draghi, come ampiamente prevedibile, si trova a fronteggiare una complessa situazione sociale. Dopo più di un anno dall’inizio dell’emergenza il popolo italiano è giustamente stremato dalle limitazioni continue e dalla crisi economica. Promesse su riaperture, risarcimenti alle attività costrette alla serrata, oltre all’ormai poco credibile retorica dell’ultimo miglio da percorrere, hanno prodotto un effetto boomerang che è sfociato in protesta sociale.

Osservando le manifestazioni dei lavoratori degli scorsi giorni otteniamo amara testimonianza della situazione in cui versa una consistente parte del nostro tessuto sociale. Triste constatare come buona parte dell’opinione pubblica e della politica non operino con la dovuta comprensione di tali disagi. Non vi è infatti, ad oggi, ancora alcuna chiarezza sulle date e le modalità di ripartenza per il tessuto sociale e produttivo della nazione.

Le non-risposte del governo Draghi

In un’intervista al Foglio, ad esempio, il ministro Speranza ha lasciato anzi presagire che sarà difficile assistere ai tanto auspicati allentamenti delle restrizioni prima di giugno inoltrato. Questo, fra le altre cose, data anche la lentezza sulle vaccinazioni che il governo Draghi non ha per ora saputo velocizzare. Ci troviamo dunque dinanzi ad un prossimo futuro ancora colmo e irto di difficoltà. Ad una buona metà garantita economicamente dagli stipendi pubblici o da sussidi (destinati a diventare perpetui?) se ne aggiunge una controparte vittima di totale incertezza.

La disorganizzazione del piano vaccinale, l’inesistenza attuale di un piano di risposta economica europea e le divergenze interne al governo difficilmente produrranno degli interventi immediati. Pertanto, non possiamo che rivolgere l’ennesimo appello di ragionevolezza al governo Draghi: riaprire l’Italia, permettendo il lavoro in sicurezza è una prioritaria ed assoluta necessità. Dovesse persistere la retorica che ci ammorba da oltre un anno, non potranno che riverificarsi spiacevoli episodi. I quali rischiano di porre in serio pericolo anche la nostra sicurezza sociale.

Tommaso Alessandro De Filippo

TRA QUIRINALE E RIPARTENZA: DIALOGO CON ANDREA PANCANI

Giornalista, conduttore, fine testimone della nostra contemporaneità. È Andre Pancani, tra i giornalisti di punta del panorama italiano, che attraverso programmi come Omnibus, Coffee Break, commenta, illumina, approfondisce uno scenario caotico e complesso come quello attuale. Attraverso uno stile di conduzione imparziale, ma non per questo freddo o impersonale, mostrando una realtà contraddittoria e complessa attraverso i suoi protagonisti, non scadendo in tribune o tribunali di parte, oppure nel caos e nella volgarità in cui inciampano molti format cerchiobottisti. Pancani, soprattutto tramite la sua attività di vicedirettore del TG LA7, è il testimone di un giornalismo, sanguigno e oggettivo, appassionante, ma non patetico, libero e lucido, capace di accompagnare lo spettatore nel mare magnum dell’informazione.

Draghi è un presidente del consiglio anomalo anche per gli esperimenti di governo tecnico. Il suo modello di comunicazione, non social, istituzionale ha creato una rottura con il modo di fare comunicazione politica, riportandolo ad una dimensione quasi da prima repubblica?

Trovo che Draghi, aldilà del suo arrivo a Palazzo Chigi causato dalla crisi dei partiti e dall’emergenza sanitaria, proponga un modello di comunicazione in linea con le aspettative rispetto alla sua esperienza come presidente della BCE. Una comunicazione fatta di concretezza, con risposte asciutte, che a volte è stata centrata altre meno. Un dialogo tra istituzioni e cittadini basato sulla comunicazione dei risultati raggiunti, delle cose fatte, è quello che ritengo più trasparente ed efficace. Certo, ci sono poi passaggi nei quali è opportuno che il Governo faccia conoscere gli obiettivi da raggiungere, come ad esempio la Legge di Bilancio, che poi – diciamo così – si dispiega in Parlamento. Insomma, la nuova sobrietà delle conferenze stampa di Draghi e del governo è cruciale in questa fase e non fa rimpiangere un recente passato segnato da roboanti e spesso propagandistici annunci dell’esecutivo.

Come valuta la gestione del governo Draghi?

Sta facendo quello che si può fare in una situazione data. Nonostante ci fossero molte aspettative su scelte cruciali, penso alla riforma fiscale, a quella sul catasto, al provvedimento sulla concorrenza, l’azione non è stata così incisiva. Il motivo è nella composizione della sua maggioranza, così ampia ma anche segnata da profonde divergenze e anche diffidenze personali tra i leader. La gestione e il successo della campagna vaccinale e l’avvio dell’imponente e ambizioso Piano nazionale di ripresa e resilienza sono però sotto gli occhi di tutti, dovessi dare un voto al governo Draghi sarebbe un sette pieno.

A breve le camere si riuniranno per le elezioni del presidente della Repubblica. Sallusti ha profetizzato Casini, il centrodestra mette la pulce nell’orecchio su Berlusconi e Draghi già viene invocato come presidente in Pectore. Quali sviluppi seguiranno gli scrutini per le elezioni del capo dello stato? Chi pensa potrebbe avere buone possibilità e perché?

Consideriamo due aspetti di questa elezione: intanto siamo ancora lontani dal momento clou della scelta del presidente della Repubblica e sappiamo che fino all’ultimo i candidati veri restano coperti. Poi bisogna considerare che mai come ora tutti i gruppi parlamentari sono frammentati al loro interno e la cosiddetta “disciplina di partito” potrebbe essere messa a dura prova dal voto segreto. Diversi nomi che si fanno sono già stati ritenuti “quirinabili” nelle precedenti elezioni, penso ad Amato e a Casini. Credo si tratterà di un’elezione molto complicata e l’eventuale convergenza su Draghi potrebbe essere la soluzione meno conflittuale. Anche perché mai come in questa fase abbiamo bisogno al Quirinale di una figura che abbia costanti rapporti internazionali e la fiducia delle istituzioni europee e di quelle finanziarie. Per questo la candidatura di un outsider che fosse sprovvisto di queste caratteristiche la vedo improbabile e comunque rischiosa. I giochi si faranno come sempre nelle ore finali tenendo conto che il Centrodestra rivendica, legittimamente, di vedere al Colle un presidente di area, “amico” anche se l’ipotesi di Berlusconi appare una candidatura troppo divisiva, forse i nomi veri saranno altri, magari spunterà quello di Gianni Letta. Nel Centrosinistra i papabili sono diversi e con molte ambizioni, ma anche per questo fronte non sarà facile individuare un nome che metta d’accordo la maggior parte delle forze politiche. Dal cilindro potrebbe spuntare una donna, come la Cartabia o la Severino, ma sarebbe imperdonabile se la scelta della prima presidente fosse dettata sull’onda del “genere”, del politicamente corretto. Comunque non dimentichiamoci che la funzione, il ruolo, cambiano le persone e questo è già accaduto per alcuni inquilini del Quirinale che si sono rivelati Capi dello Stato di grande personalità e buon senso.

Parlando di esteri, i successi e i sondaggi prevedono un rovesciamento degli equilibri americani con il midterm,  che conseguenze potrebbe portare un probabile cambio di inquilino alla casa Bianca?

Il mondo sembra una maionese impazzita, viviamo sfide di una complessità enorme, dal clima alla pandemia. Si dice sempre che mancano gli statisti, ma ho il sospetto che anche quelli che abbiamo considerato tali in passato di fronte a sfide così grandi avrebbero tentennamenti. Forse servirebbero leader più visionari e con una maggiore capacità di vedere le cose nel loro insieme, ma queste sono solo ipotesi di scuola che vanno poi calate nel contesto. Fatta questa premessa non c’è dubbio che è in atto un confronto muscolare tra Cina e Stati Uniti e tra questi due colossi l’Europa appare irrilevante con l’Italia ancora più marginale nonostante gli sforzi e lo standing di Draghi. L’Europa è debole per vari motivi, soprattutto perché non ha una politica estera condivisa, non trova uno straccio di strategia comune sui migranti, non condivide la politica ambientale se non di facciata visto che ogni Paese ha i suoi interessi energetici, per non parlare dei paradisi fiscali interni alla stessa Unione e quindi si rivela divisa ed afona. E questo mi intristisce soprattutto per il grande patrimonio storico, culturale e sociale che le appartiene. Il fatto che un continente così grande non riesca a confrontarsi con i due giganti è molto triste. Oggi con Biden gli Usa si sono riavvicinati all’Europa dopo la parentesi Trump, ma la rinnovata alleanza tra le due sponde dell’Atlantico deve fare i conti con le questioni interne della superpotenza statunitense visto che Biden è in calo nei consensi e dovrà assecondare politiche che richiamano l’American first.      

Vedi probabile la nascita di un polo di centro o uno scenario post Draghi nella politica italiana?

Non so se mai nascerà questo polo tanto evocato e al quale si lavora alacremente per accasare politicamente Mario Draghi, magari chiedendogli di candidarsi alle prossime elezioni. La spinta nasce dalla consapevolezza che il compito dell’attuale premier non debba esaurirsi con la fine della legislatura ma che prosegua negli anni a venire, almeno fino al 2026 data della messa a terra del Recovery Plan italiano, insomma, per dirla prosaicamente, il nostro Paese non può rinunciare ad una risorsa come Draghi. Certo, questo grande rassemblement centrista al momento è caratterizzato da una sovrabbondanza di leader, ciascuno ne rivendica la guida, magari ne spunterà fuori uno nuovo, ma poi bisogna fare i conti con le urne e non so quanti italiani sarebbero disposti a votarlo. Il nostro paese ha bisogno di riforme e di grande pragmatismo, deve modernizzarsi e creare le condizioni per una crescita strutturale ma temo che, superata questa fase di “commissariamento della politica”, dopo l’uscita di scena di Draghi, si tornerà al passato, con partiti rissosi e in permanente campagna elettorale, senza la comune volontà di affrontare le priorità e dire parole di verità. Viviamo peraltro una profonda crisi culturale, di valori e di competenze, non ci sono più scuole di partito, sindacali, di impresa. E mi tremano le vene dei polsi pensando a quello che dobbiamo affrontare, come i nuovi equilibri geopolitici, la transizione ecologica ed energetica, le diseguaglianze crescenti, le pandemie.

Personaggio di punta del giornalismo italiano con Coffe break mostri gli umori della nostra società . Che ruolo hanno avuto i talk nella modernizzazione politica del paese? Dal confronto su temi cladi al dialogo su argomenti divisivi e spinosi, dai vaccini, alla pandemia, alle questioni più importanti dello scenario attuale?

Io credo che la precondizione di chi fa il giornalista sia una grande curiosità per capire le cose e farle capire e l’onestà intellettuale. Premesso questo, credo che durante la pandemia, soprattutto nella fase più drammatica, l’informazione abbia svolto onestamente e generosamente il proprio ruolo, dando conto di quello che ci stava succedendo a causa di un virus sconosciuto che ha travolto le nostre vite sprofondandoci in territori sconosciuti e in una dimensione inedita, mai vissuta prima. Disorientamento che ha investito di petto anche la scienza, la medicina, la ricerca con le ben note contraddizioni e le tante voci dissonanti dei virologi nei talk show. Per arrivare alla contrapposizione tra vaccinisti e no vax o alla protesta dei non green pass che si è riverberata sui giornali, sulle tv, sui social dando vita a prese di posizione faziose o parziali che non sempre hanno reso onore all’informazione. Andando in onda ogni giorno anch’io ho commesso degli errori, avrei potuto dare più spazio ad alcune notizie o approfondirle meglio, avrei potuto evitare di invitare certi ospiti, ma credo di aver avuto un piccolo vantaggio su altri colleghi visto che da molti anni mi occupo di salute e sanità, quindi ho maggior dimestichezza con l’informazione medico-scientifica e ho adoperato ogni prudenza e rigore nel linguaggio e nel racconto. Molti di questi esperti e clinici che ora sono diventati delle star li conoscevo e avevo avuto modo di apprezzarne la competenza ma anche di scoprirne le vanità.

 

Quali sono i tuoi riferimenti culturali sia dal punto di vista giornalistico sia letterario filosofico e politico?

Nonostante non trascuri i grandi fatti internazionali, mi occupo da sempre dell’attualità politica ed economica italiana. Mi piace raccontare il nostro Paese e credo che se ne scopra un pezzettino ogni giorno, ricco com’è di contraddizioni, eccellenze, miserie e occasioni perdute. Sono stato un gran divoratore della letteratura italiana, dagli autori storici agli scrittori contemporanei. Sono innamorato della provincia italiana, da Nord a Sud, mi piace scoprire chi sa raccontare questo paese, mi piace scoprirne le radici, informarmi sul passato. Così come mi appassiona l’arte contemporanea italiana. Nelle mie letture quotidiane cerco anche che è fuori dal coro, non amo l’omologazione e il politicamente corretto, sono pro vax ma voglio capire le ragioni di chi non lo è. Ho imparato che la politica è fatta anche di sentimenti, di rapporti personali, segnata a volte più dalla rivalità che dalla coerenza. Non mi piacciono i moralisti di ogni risma. Mi ritrovo nei libri di Piovene, Goffredo Parise, Alberto Arbasino, Curzio Malaparte, Flaiano, nella contemporaneità di Nesi, Sandro Veronesi, Marco Lodoli, solo per fare qualche nome.

Il giovane Andrea Pancani quando iniziò il suo percorso giornalistico a chi guardava, chi aveva come autori di riferimento?

La mia grande fortuna è che ho sempre voluto fare questo mestiere, fin da piccolo. Come molti giornalisti della mia generazione sono cresciuto nelle radio locali, ne ho fondato addirittura due: una in Puglia agli albori dell’emittenza privata, e una a Roma molti anni dopo. Amo moltissimo la radio e mi piacerebbe tornarci a lavorare. Maestri, ispiratori? Non saprei dire un nome, non avevo modelli di riferimento precisi, so solo che da ragazzo sognavo di approdare alla Rai, di fare il giornalista televisivo. Mi piace però la televisione calda, che coinvolge, il talk, non amo il modello anglosassone, soprattutto nei tg, più asettico. Continuo a pensare che quello del giornalista sia il più bel mestiere del mondo, ti permette di approfondire qualsiasi cosa, di assecondare ogni curiosità, di entrare in contatto praticamente con chiunque e di aprirti la mente.