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Il sonno della ragione genera mostri riflessioni a posteriori sulle politiche vaccinali

Articolo di Andrea La Veglia

I dati che leggiamo in questi giorni ci rassicurano sempre di più circa l’efficacia delle vaccinazioni. Aumentano di conseguenza le strette del governo per arginare l’incombente minaccia dei nostri nemici n. 1: i no-vax.
Premettendo che considero il vaccino l’unica strada percorribile e considero da condannare tutte le proteste non autorizzate e violente, che portano solo disordine pubblico, vorrei proporre alcune riflessioni.
I grafici che circolano circa il rapporto tra vaccinati e non vaccinati in terapia intensiva non ci specificano cosa si intenda per “non vaccinati”. Nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità ci viene spiegato che “non vaccinati” sono considerati anche coloro che “abbiano contratto l’infezione prima del tempo necessario per sviluppare una risposta immunitaria almeno parziale al vaccino “.
Perché ciò non viene divulgato? Forse che ognuno reclamerebbe il suo diritto a verificare la risposta anticorpale al vaccino? Forse che il governo dovrebbe imporre un calmiere anche sui sierologici?
Dunque, i “non vaccinati” non sono i “no-vax”.
Ci conferma questo dato il primario del reparto malattie infettive del Covid Hospital Scafati che davanti alle telecamere spiega che in terapia intensiva non ci sono solo i no-vax convinti, ma che, anzi la maggior parte non si è vaccinata per “pigrizia” ed ha annoverato tra essi anche gli anziani e i fragili, non specificando (volutamente?) se a questi ultimi fosse stato somministrato o meno il vaccino e se avesse generato una risposta anticorpale. Non l’ha specificato, ma l’esperienza mi suggerisce che molti anziani pur non avendo nulla contro il vaccino non l’hanno fatto per l’impossibilità a recarsi a un ASL o centro vaccinale.
Mi chiedo dunque: perché invece di prendercela con i “no-vax” agiamo sulle criticità di una campagna vaccinale che ha permesso che alcuni anziani non siano stati ancora vaccinati perché per “pigrizia” (leggasi: “disabilità”) non si sono potuti recare agli Hubs? Perché non ci assicura che i vaccinati “convinti” abbiano sviluppato una risposta anticorpale, prima di gettare odio su chi ancora non si è convinto? E perché, per rendere più sicure le nostre strade e non tagliare nessuno fuori dalla vita sociale, non si incentivano le iniziative che somministrano il vaccino anche ai senza fissa dimora? Forse loro sono immuni al virus?
A questa operazione chiaramente va aggiunta una campagna di seria divulgazione scientifica, a mio parere mai iniziata, a meno che non vogliamo definire “divulgazione scientifica” le canzoncine, criptici spots pubblicitari e le chiacchiere da salotto di prima serata alla quale prendono parte anche grandi luminari, senza però mai illuminarci. Questa campagna di divulgazione dovrebbe spiegare con chiarezza e senza coinvolgimenti politico-economici i pro e i contro del vaccino dal punto di vista medico e le responsabilità giuridiche che ne derivano, perché poi è questo che firmiamo nel modulo di consenso (dis)informato.
In ultima analisi, vorrei portare alla luce un altro dato: se sono stati così tanti i dissidenti e l’Italia (secondo quanto a tutta forza vogliono far intendere i media) avrebbe potuto contare molti più vaccinati, se non fosse stato per i no-vax, dove sono finite tutte queste dosi inutilizzate? Come mai i dati riportano una media del 99 percentile di dosi utilizzate? Sono dati falsi? Se ci fosse stata più affluenza si sarebbero ordinate più dosi? (ironia della sorte: nella Val d’Aosta si è addirittura superato il 100% delle dosi somministrate…)
Se (forse) il Green-pass è servito a spingere coloro che non si vaccinavano per insolenza e non per convinzione, ora che abbiamo raggiunto i numeri, a cosa serve lasciarlo? Prima teoricamente e poi, purtroppo, empiricamente ci è stato spiegato che anche i vaccinati possono veicolare il virus, ragion per cui il sapere che in una stanza in cui sono presente ci sono solo vaccinati mi dovrebbe essere indifferente, poiché il rischio, purtroppo, è il medesimo. Dunque, attenzione alla (dis)informazione. E ancora una volta i fatti ci insegnano che l’arroganza non è la medicina per l’ignoranza.

Intervista a DAVIDE CAPEZZERA

Ventuno anni appena ma con un curriculum già grande. Sei stato rappresentate di istituto alle scuole
superiori, Coordinatore Cittadino di Sassuolo per il settore giovanile di FI, oggi ricopri il ruolo di Vice
Coordinatore Provinciale di Modena, sempre per Forza Italia Giovani, fermiamoci qua per ora. Quanto
questi ruoli la impegnano?

Ogni volta che ho deciso di assumere un incarico sia a livello di rappresentanza scolastica , sia a livello politico ho valutato i pro e i contro. Gli elementi da considerare sono non solo il tempo da dedicare alle varie attività , ma la qualità con cui si svolge un impegno. Ora mi sono concentrato sull’impegno come consigliere comunale , mantenendo anche un ruolo all’interno del partito giovanile e da qualche mese anche a livello regionale come responsabile per le politiche sociali; tutto questo va di pari passo con gli studi universitari , che svolgo a Milano. È importante acquisire delle competenze nell’ambito che più ci interessa , solo cosi abbiamo qualcosa da donare nelle nostre attività politica e non solo ricevere.

Prima di proseguire nel suo curriculum, quando e com’è nata la passione per la politica?

Fin da piccolo sono sempre stato interessato ad approfondire le tematiche di attualità sia nazionali , che internazionali. Mano a mano che sono cresciuto ho deciso che questo interesse dovesse concretizzarsi in attività al servizio della mia comunità ,prima come rappresentante d’istituto dove per la prima volta ho dovuto affrontare la quotidianità dei problemi di una comunità quella scolastica. Di quell’esperienza porto con me le tante assemblee tematiche organizzate ,come quella sulle foibe ,l’infiltrazione mafiosa sul nostro territorio, contro il cyber-bullismo e molte altre. I contemporanea portavo avanti il percorso politico iniziato a 16 anni e che nel giro di 2 anni mi ha portare ad assumere un poste di rilievo nell’amministrazione di Sassuolo.

Ritorniamo all’inizio, elezioni amministrative 2019 nel suo comune, Sassuolo, si candida avendo 18 anni appena, lista di Forza Italia, Il CDX esce vincente e lei si ritrova in maggioranza con un bottino di 174 preferenze e viene scelto come Capogruppo di FI, ci racconta questa avventura?

Le elezioni amministrative del 2019 , avendo 18 anni , sono state le prime in cui mi sono candidato per il consiglio comunale. Sassuolo si trova in provincia di Modena ,un territorio dove l’egemonia della sinistra sembra imbattibile e dove fare politica per uno schieramento diverso richiede coraggio ed intraprendenza. La campagna elettorale è stata molto avvincente ed impegnativa , perché in contemporanea si votava anche per le europee. Il mio obbiettivo era quello di avvicinare i ragazzi alla politica territoriale ed allo stesso tempo far capire agli adulti , che anche i giovani hanno idee valide da portare avanti. Alla fine l’impegno è stato premiato con una vittoria al primo turno , che ha permesso alla coalizione di raggiungere un risultato straordinario. Forza Italia è riuscita ad ottenere uno dei risultati più alti a livello regionale ed io con 174 preferenze sono stato il candidato uomo più votato in provincia per Forza Italia. Ormai abbiamo scavallato la metà del mandato , molto del programma elettorale è stato completato , ma rimane una parte consistente di investimenti che dovremo completare in tempo , per arrivare pronti alla prossima campagna elettorale.

Quasi dimenticavo, in tutto questo lei è studente all’università Bocconi di Milano. Obiettivi nella vita
professionale?

Dal 2019 frequento la facoltà di giurisprudenza presso l’università Bocconi a Milano, ho scelto questa
università perché ha un approccio internazionale ed economico verso il diritto , inoltre una buona
percentuale di studenti è straniera e questo mi permette di avere un continuo scambio culturale. Lo sbocco professionale che seguirò riguarderà l’ambito legale , probabilmente nell’ambito del diritto
societario e d’impresa

Intervista ad ALBERTO ROSSI

Alberto Rossi, piacentino, Coordinatore Provinciale del settore giovanile di Forza Italia e neo eletto nel suo comune, Gropparello. Ci racconta com’è nata la volontà di candidarsi e l’esperienza di questa tornata elettorale?

La volontà di candidarmi nel mio comune è nata per senso di appartenenza verso il posto in cui sono nato,cresciuto, rilanciando questo comune sfruttando tutte le sue potenzialità e peculiarità troppo spesso dimenticate. E’ stata davvero un’esperienza fantastica, ho avuto modo di conoscere tanti miei giovaniconcittadini che fino ad allora la vecchia amministrazione si era dimenticata dando loro lo spazio necessario per poter sviluppare idee.

Consigliere comunale di maggioranza, ma con diverse deleghe, cosa insolita, quali sono? e la sfida l’haspaventa oppure no?

Gropparello essendo un comune con popolazione inferiore ai 3000 abitanti dispone al massimo di 2
assessori, il lavoro da fare però è veramente tanto ed è per questo che il sindaco assegna deleghe anche ai consiglieri per poter dare maggior supporto sia a lui che agli assessori. In particolare le mie deleghe sono: Attività produttive, Commercio, Artigianato, Sviluppo economico, Politiche giovanili, Rapporti con le frazioni. Sarà davvero una grande sfida, non nascondo naturalmente un po’ di paura ma, sono certo che le cose volgeranno per il meglio.

Studente di Scienze politiche e relazioni internazionali a Parma, questo percorso di studi l’aiuta nella sua attività politica?

E’ un percorso di studi che mi aiuta davvero tanto nell’ attività politica perché studiando materie
economiche, giuridiche e politologiche la mia attività amministrativa riesce davvero a stare aggiornata in modo costante
.

Non solo studente e politicamente impegnato, ma svolge un ruolo attivo dentro l’azienda di famiglia, che ruolo ricopre?

Si certo, tra i miei innumerevoli impegni universitari e politici riesco a dare una mano nell’azienda di
famiglia che è impegnata nel settore edile. Attualmente collaboro con l’ufficio amministrativo.

Abbiamo detto tanto della sua vita, ma credo sia importante ricordare la sua giovane età, solo 21 anni. Come riesce a conciliare tutti gli impegni?

Nonostante la mia giovane età riesco a conciliare tutti i miei impegni perché al mio fianco ho una famiglia e una fidanzata che mi seguono in tutti i miei impegni sia amministrativi che lavorativi, riuscendo quindi a incastrare tutto nel pochissimo tempo che ho a disposizione.

Ha scelto Forza Italia, come mai questa scelta in un momento in cui il partito non brilla di consensi?

Ho scelto Forza Italia, di cui come si è detto sopra sono coordinatore provinciale del settore giovanile, perché reputo Silvio Berlusconi un leader mondiale indiscusso con ideali liberali, cristiani ed europeisti in cui io mi rispecchio totalmente. Anche se il partito non brilla di consensi è comunque una grande casa per tutte quelle persone che non vogliono abbandonarsi all’idea che l’Italia sia uno stato di serie b, non è la quantità che conta ma la qualità.


Qualche ringraziamento a qualcuno per il suo percorso politico?

In questo mio percorso polito non posso non ringraziare la mia famiglia per essermi sempre stata accanto anche nei momenti più difficili di questo mio percorso, alla mia fidanzata che riesce sempre a sopportare il peso di avere accanto un uomo politico e soprattutto a mio zio, venuto a mancare poco tempo fa, colui che mi fece appassionare veramente alla politica attiva, alla cura della cosa pubblica, essendo egli stesso stato un amministratore pubblico: sindaco dal 1995 al 2004, vicepresidente e assessore all’ambiente della Provincia di Piacenza nel quinquennio 2004-2009. Un ringraziamento particolare al mio sindaco di Gropparello Armando Piazza e al commissario provinciale di Forza Italia Gabriele Girometta per il grande spazio che mi stanno lasciando sia in comune che nel partito per poter imparare meglio il “mestiere” di politico. Ultimo ma non per importanza un ringraziamento anche all’avvocato Corrado Sforza Fogliani mio mentore politico, leader indiscusso di noi liberali piacentini e punto di riferimento nella mia azione amministrativa.

Dove si vede fra cinque anni?
Bella domanda… tra 5 anni mi vedo sicuramente ancora nel mio comune a servire i miei concittadini e poi chi lo sa il futuro è imprevedibile…

Un saluto a Generazione Liberale?
Assolutamente si auspicando che la mia generazione riesca a riportare in Italia gli autentici valori liberali che si stanno piano piano perdendo.

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL ‘700 MUSICALE NAPOLETANO

Quindici appuntamenti imperdibili con un solo filo conduttore: la valorizzazione della Settecentesca Scuola Musicale Napoletana.

Quest’anno la XXI edizione del Festival Internazionale del ‘700 Musicale Napoletano si presenta con molte novità: il riconoscimento del Ministero alla Cultura tra i Festival di interessa Nazionale e l’ammissione all’ European Festivals Association dopo essere stato valutato da esperti internazionali nel mondo dei festival ed omaggerà due grandi musicisti epigoni della Scuola musicale Napoletana, Saverio Mercadante e Ferdinando Carulli che non é stato possibile celebrare l’anno scorso a causa del lockdown e i Settecento anni della morte del Sommo Poeta Dante Alighieri.

Il Festival Internazionale del ‘700 Musicale Napoletano, si articolerà in 15 appuntamenti che si svolgeranno nella seconda metà di dicembre 2021 e presenta un programma variegato in grado di interessare larghe fasce di pubblico. Chi segue il Festival conosce il carattere divulgativo dello stesso che pur proponendo esecuzioni storicamente informate, non trascura altri generi musicali senza perdere l’unicità del filo conduttore: la valorizzazione della Settecentesca Scuola Musicale Napoletana.

Il Cartellone ricco di eventi  proporrà Opera Comica con La Finta Tedesca di Hasse per la regia di Riccardo Canessa e Raffaella Ambrosino nel ruolo di Carlotta  e Carmine Monaco D’Ambrosia nel ruolo di PantaleoneMusica Sacra con il Requiem di Niccolò Jommelli, Musica da Camera con le Sonate Trio interpretate da Nunzia e Raffaele Sorrentino e al clavicembalo Angelo Trancone, Solisti con Enza Caiazzo che al clavicembalo eseguirà musiche di autori di Scuola  napoletana, Francesco Pareti in SHB 1685, concerto dedicato a Domenico Scarlatti, Haendel e Bach e ancora, Danza con Le Ombre Segrete per la coreografie e regia di Antonello Tudisco con  musiche e testi di Max Fuschetto, Cosimo Morleo e Pasquale Capobianco ed Enzo Oliva al Pianoforte, Teatro musicale con la Cantata dei Pastori del Perrucci elaborata e diretta da Carlo Faiello con il mitico Giovanni Mauriello e un inedito lavoro di Antonio Mocciola Voce dal sen fuggita. Dai castrati ai soprani, la rivoluzione di un’epoca, con Il mezzosoprano Gabriella Colecchia nel ruolo di Giuditta Pasta e l’attore Antonio D’Avino nel ruolo di Giovan Battista VellutiGianni Gambardella al pianoforte, la partecipazione di Andrea Cancelliere e Diego Sommaripa alla regiaStraordinario evento dove sarà eseguito un inedito di Saverio Mercadante, quello dedicato a Dante con il Concerto Italica Famosa tra Dante e Mercadante che vede protagonista il mezzosoprano Manuela Custer accompagnata dal pianista Raffaele Cortesi e il quartetto Dafne, evento promosso dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni Dantesche. Musica Barocca con strumenti d’epoca con I Solisti dell’Orchestra Barocca di Cremona diretti da Giovan Battista Columbro e La Burrasca ensemble di strumenti storici diretto da Pierfrancesco Borrelli con il sopranoCarmela Osato.Jazz con Daniele Sepe che con il pianista Bruno Persico improvviserà su temi di Saverio Mercadante, e a favorire il ricambio generazionale due eccezionali giovani interpreti, Francesco Bakiu che eseguirà delle Sonate di Domenico Cimarosa e Cristina Galietto con il Concerto in Mi minore di Ferdinando Carulli per Chitarra e Orchestra. Protagonista in ben quattro dei concerti l’Orchestra da Camera di Napoli diretta da Enzo Amato che è l’ideatore del Festival e ne cura la direzione artistica.Tutti gli eventi si svolgeranno in luoghi storici e suggestivi come il Centro di Cultura Domus Ars, La Sala Comencini della Fondazione Circolo Artistico Politecnico, la Basilica di San Giovanni Maggiore, la Sala del Capitolo di San Domenico Maggiore e la Chiesa di Santa aria dell’Aiuto.

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(Per vivere in sicurezza questa meravigliosa esperienza è obbligatorio prenotarsi acquistando i biglietti o l’abbonamento on line con Azzurro Service o al punto informazione Domus Ars Centro di Cultura in Via Santa Chiara 10 Napoli tel. 081.34.25.603 – infoeventi@domusars.it, ed essere in possesso di green pass)

Antonio Mocciola e la sindrome di “Stoccolma” come analisi dell’uomo


Antonio Mocciola è un autore teatrale-cinematografico in continua ricerca verso una libertà espressiva che possa far emergere punti di domanda agli spettatori delle sue opere. In veste di scrittore ha  pubblicato sette libri e ha scritto ben venticinque commedie. Inoltre lavora per il cinema e per la televisione. Ha curato le edizioni di alcuni lavori dedicati alla cantante Giuni Russo e ha collaborato con Franco Battiato.  Nel 2016 va in scena “La Cella Zero” scritto con Pietro Ioia, tratto dal libro di quest’ultimo sull’esperienza della violenza del sistema carcerario. Nel 2020 ecco andare in scena “Santo Stefano” sulla vita dell’anarchico Gaetano Bresci. Il suo ultimo spettacolo “Stoccolma”, finalista al Premio Annoni 2021, è un forte che prende come pretesto la Sindrome di Stoccolma per affrontare gli abissi legati alle relazioni familiari e all’identità.  Il suo debutto, in anteprima per la stampa, si è tenuto domenica 10 ottobre al Teatro Avamposto di Napoli.

Adesso è in scena il tuo spettacolo dal titolo “Stoccolma”. Di cosa si tratta?

La sindrome di Stoccolma, a cui si riferisce il titolo, è l’innamoramento che può scattare da parte della vittima nei confronti del proprio carnefice. Mi intrigava ambientare lo spettacolo in una cantina, dove uno studente (Michele Capone) rapisce il proprio professore-aguzzino (Antonio De Rosa), con esiti inimmaginabili. La regia di Maria Verde e le musiche di Antonio Gillo hanno completato il quadro, e speriamo di portare in giro questo testo, finalista peraltro al Premio Annoni 2021 per la drammaturgia. A novembre tengo molto al debutto di Adolf prima di Hitler, con Vincenzo Coppola, Francesco Barra e la partecipazione di Gabriella Cerino, per la regia di Diego Sommaripa, in un teatro da noi napoletani assai amato, l’Elicantropo.

La tua è una visione artistica che cerca di scuotere gli animi, raccontando storie anche controverse e di forte impatto. Quanto hanno inciso gli enfant terrible su di te?

Amo tutti gli autori controversi, scomodi, spesso non capiti. Diffido della “popolarità”, o comunque mi sento meno partecipe quando c’è un prodotto amato da tanti. Da Gide a Sade, da Lautréamont a Gadda, mi affeziono a tutti coloro che osano, che rischiano. Mai essere innocui, mi diceva Battiato, la cui presenza manca tanto a tutti noi, nell’anno in cui, peraltro, abbiamo perso anche Piera Degli Esposti, per la quale scrissi il mio primo testo, nel 2007. Un anno davvero infausto.

Il teatro italiano è ancora vivo?

Il teatro si, gli autori anche, gli attori più che mai. Il pubblico non lo so. Il covid ha spaventato molti, e già il piatto “piangeva” prima. Spero che si capisca che le sale teatrali, e cinematografiche, sono i posti più sicuri del mondo, sia perché sono sanificati, sia perché non sono mai frequentatissimi. Manca però il coraggio delle produzioni, affezionate al guadagno immediato. Cosa davvero ironica, per il teatro…

Il tuo libro “Le belle addormentate” è legato ai sacri luoghi ormai in totale abbandono, quelli dell’Italia profonda. Quanto credi siano importanti le radici in un momento in cui la rimembranza verso gli avi pare essersi persa?Torneremo fatalmente alla terra, alle radici. Le città hanno raggiunto la saturazione, stravolte da un’urbanizzazione selvaggia e da un peggioramento deciso della vita nelle periferie. E’ anche vero che città come Milano, ad esempio, stanno vivendo una vera e propria golden age, a differenza di Napoli, Roma, e ahimè anche Torino. Abbiamo abbandonato l’Appennino a sé stesso, ad esempio. Eppure veniamo tutti da lì. Mi sembra un suicidio tattico: la montagna è una risorsa. Le belle addormentate, che pubblicai sei anni fa, è più che mai attuale. E infatti tuttora me lo chiedono.

Oltre la letteratura e il teatro, hai scritto anche per il cinema. Quali sono le principali differenze, in termini di scrittura, tra i due mondi?La sintesi che ti chiede il cinema, il peso dei silenzi, il valore delle immagini, la possibilità di lavorare sui volti, le sfumature, è eccitante per uno sceneggiatore. Devo ammettere di essere più nei miei panni quando vedo il respiro dell’attore in sala, ma se penso al successo di alcuni film che ho scritto, tipo Papà uccidi il mostro per Fabio Vasco, Ubbidire per Giuseppe Bucci o a La controra di Paolo Sideri, con i miei amati Lucianna De Falco e Giovanni Allocca, in rampa di lancio, non posso che amare anche la scrittura cinematografica. In fondo sono lo stesso ragazzo che scriveva bei temi al liceo classico. Cambia solo il vestito, e l’habitat. Nessuno può sfuggire alla propria natura.
 

TRA SATIRA ED IRRIVERENZA: GIORGIO MAGRI CI RACCONTA L’INSULT COMEDY

Graffiante, cinico, spietato, ma anche divertentissimo è Giorgio Magri il santo patrono dell’insult comedy italiana, che nei suoi spettacoli porta avanti una idea di satira irriverente ed anticonvenzionale. In scena il 24 novembre al gattaglios pub di Reggio Emilia e il 3 febbraio al cinema Martinitt di Milano

Che cos’è l’insult comedy?

È un genere che esiste da sempre nella cultura anglosassone e che rappresenta un sottogenere dalla stand up comedy. Che deriva dall’uso del roast, dove i colleghi si sfottono a vicenda prima delle vacanze. Fondando il proprio umorismo sul prendersi in giro a vicende

Come ti sei avvicinato alla comicità?

Beh da quando esiste internet, ho sempre tenuto d’occhio tutti i progetti di satira e comicità, soprattutto quelli provenienti dal mondo anglosassone. Partecipando ai primi laboratori di satira e alle serate di cabaret a Milano, con cui ho iniziato e si è sviluppata così.

Come nasce in te il processo creativo?

Io non improvviso mai niente. Sono molto ligio al mio lavoro, i pezzi che faccio sono scritti in ogni dettaglio, dalla punteggiatura ad una divisione per argomenti. Invento una struttura ed inserisco le battute per comporre un discorso organico, ben ritmato, limandolo finchè non lo trovo soddisfacente

Cosa ne pensi del politically correct nell’arte?

Sembra un discorso che a molto a che fare col narcisismo. Quando io prendo di mira l’omosessuale, il migrante, il fan di un cantante, non mi interessa schernire lui anzi. Il mio vero bersaglio è il moralista che si indigna, lo sceriffo di turno che bacchetta la mia comicità. È lui il mio bersaglio. Quindi quando mi attaccano e mi critiche, mi fanno un favore e vuol dire che ho fatto colpo con il mio pezzo.

Sul DDL Zan?

 Per quello che ho avuto modo di leggere, non sono un giurista, sono d’accordo con la sostanza, ma in realtà mi sembra un disegno di legge nato morto, perché fin dalla sua formulazione, non c’erano i numeri. Mi è sembrato un ciurlare nel manico, poiché era chiaro che nonostante tutte le tarantelle contro  o pro, i numeri non potevano cambiare così drasticamente. Come non era vincente ad inizio campagna non si è dimostrato alla fine. Nonostante io sia d’accordo col ddl zan. In un clima come questo di crisi mi sembra un po’ provarci nonostante si sappia che i numeri non ci sono

 

SINTOMI DI UN CONTESTO: CESARE CAVALLERI ED IL LEGAME CON LA POESIA

Cesare Cavalleri, intellettuale, giornalista, editore. Stroncatore ferocissimo e raffinato cultore della poesia, tra le ombre della neoavanguardia e la grazia della cultura cattolica. Editore di ARES e direttore della rivista Studi Cattolici, che ormai ha da molto superato i 700 numeri, è uno sciamano della parola, che con i suoi progetti editoriali ha cercato di conservare, di far rinascere. Restituendo al lettore autori unici e capolavori segreti. Pubblicando interamente l’opera di Eugenio Corti, tra i massimi autori del nostro novecento, che ha costruito col suo “Il cavallo rosso”(che con la Ares ha superato da molto la trentesima edizione) una delle cattedrali letterarie della letteratura italiana. Cavalleri, tra gli intellettuali più raffinati del panorama italiano è “il Cesare” del nostro giornalismo, una penna elegante e corrosiva, spietata, ma anche delicatissima.

Dall’amicizia con Quasimodo alle polemiche con Montale, passando per “Sintomi di un contesto”. Che rapporto ha con la poesia, cosa ne pensa della condizione di questo genere nella contemporaneità?

L’incontro con questi grandi è relativo ad un periodo ormai passato della mia vita ed il discrimine è rappresentato dalla neoavanguardia. Perché prima di allora c’è stato un tardo ermetismo che tramite la neoavanguardia ha provocato uno svecchiamento della letteratura, di cui questi vecchi maestri hanno beneficiato. Lo stesso Montale in “Al mare o quasi” non la avrebbe scritta se non ci fosse stata la neoavanguardia. La poesia è inseparabile dalla condizione umana, perché dove non arriva la filosofia incomincia la poesia. Che è una operazione sul linguaggio ma che poi da definitivamente l’importanza al contenuto. Soprattutto ribaltando il luogo comune per cui la poesia è intraducibile. Questa è una lezione che ho imparato da Quasimodo, e da quella operazione originalissima che fece Montale, facendo tradurre una delle sue poesie più difficile delle occasioni, facendola passare per oltre tredici traduzioni, dal bulgaro all’arabo, fino a farla ritradurre in ultimo in italiano. Un esperimento molto istruttivo perché a parte fare uno scarto di genere, trasformando il tu montaliano femminile di Clizia in maschile, ha mantenuto intatto la sua grazia

Pochi mesi fa ha vinto il premio Montale fuori di casa, che rapporto aveva con Montale e con la sua visione della poesia?

Avevo naturalmente un rapporto a distanza, lo ho visto solo una volta. Da Montale abbiamo imparato tutti. La polemichetta in questione nasce da una affermazione di Montale che ad un noto collega disse “dopo di noi più niente”. Certamente nasce un Montale e un Quasimodo per secolo, ma non si può svalutare la poesia così.

Lei una volta disse “i grandi poeti è meglio leggerli che conoscerli”, cosa intende?

L’autore deve essere inferiore alla sua opera. Perché se in un incontro e confronto un autore è maggiore della sua opera, egli delude il lettore. Il poeta deve essere inferiore alla sua opera, non a caso Montale era inferiore agli Ossi o alle Occasioni

Come mai la cultura cattolica non riesce più a farsi ecumenica, a rappresentare una visione comune della vita e della letteratura? Secondo lei come mai non abbiamo autori viventi come Bernanos o Mauriac che possano incarnare nei loro romanzi il turbamento religioso?

Per fortuna che non ci sono altri Bernanos o Mauriac perchè sono autori che non mi piacciono. In quanto l’aggettivo appesantisce il sostantivo. La letteratura è una ricerca della verità oltre le etichettature. Che si compie attraverso il dolore , le emozioni e gli sbagli. Crea una opera, genera una opera cattolica senza etichettarsi come tale. È sicuramente più cattolico Ennio Flaiano che David Maria Turoldo. O il maledetto Rimabud rispetto al cattolicissimo Graham Greene. Greene è senz’altro un autore interessante, nonostante la sua mania per l’intrigo e il giallo non mi appartiene, in quanto non leggo gialli poichè sono libri che non si possono rileggere e per questo non hanno il mio interesse

È stato il primo a pubblicare il cavallo rosso di Eugenio corti. Che cosa significa per lei quell’opera e cosa lo rende uno dei capolavori della letteratura italiana?

Le figaro quando è morto Eugenio ha affermato che se ne era andato uno dei più grandi autori del novecento forse il più grande. Il cavallo rosso è un grande romanzo. Noi siamo soliti confonder il romanzo con il raccontare. In Italia ci sono pochi romanzi come quelli di Tolstoj o Dostoevskij. Ci sono dei racconti che cumulano esperienze biografiche, ricordi, cronache e osservazioni, ma manca una struttura romanzesca. C’è forse Il mulino del Po di Bachelli, ma è assai circoscritto e giustamente dimenticato. Il cavallo rosso è l’epopea di una generazione allo scoppio della seconda guerra mondiale fino al referendum sul divorzio. Prima della qualità della scrittura di Corti che è ingannevolmente semplice ed essenziale, c’è la testimonianza di una congiuntura storica che viene ritratta e riprodotta in maniera assolutamente straordinaria. Un romanzo storico che insegna la storia dei libri di storia, come guerra e pace racconta molto meglio la campagna di Russia, di tanti annali storici. Come diceva l’amato Karl Kraus del resto chi leggerebbe i libri di storia se non gli storici mentre correggono le proprie bozze

Che ricordo ha di Corti e che rapporto aveva con lui?

È nata una amicizia in occasione del referendum sul divorzio. Incontrandoci e diventando fraternamente amici. In quel periodo lui cercava un editore per il cavallo rosso. Un romanzo di 1280 pagine che un “grande” editore, le virgolette sono d’obbligo, non se la sentiva di pubblicare

Quali sono i suoi autori di riferimento, quali sono gli autori che la hanno avvicinata alla letteratura?

Alessandro Spina, Ennio Flaiano con cui ho avuto un simpatico carteggio e poi Dino Buzzati. Un autore che mi ha allevato fin dalla tenera età. Ero solito da ragazzo ritagliare e conservare su un album con tutti i suoi articoli col corriere. Che un giorno gli mostrai lasciandolo stupefatto da una tale fedeltà. Però io sono stato influenzato soprattutto dalla poesia e quindi non posso non citare Montale, Raffaele Callieri, un autore non troppo antologizzato purtroppo, Antonio porta.

La Ares ha pubblicato autori unici della cultura cattolica. Quali sono i testi a cui è più legato e quali consiglierebbe per scoprire il catalogo Ares?

Il cavallo rosso e le opere di Sant Jose Maria Escriban e abbiamo un folto numero di scrittori che fanno bene sperare

E il romanzo su Rimbaud?

Non lo pubblicherò perché non lo ho scritto e non lo scriverò mai. La trama ruota attorno ad un antenato di mia nonna che a vent’anni studente medicina aveva la passione letteraria ispirato da Carducci. Avrei voluto retrodatare tale vicenda per far incontrare a Milano, Mario Pirotta, che aveva fondato un circolo anarchico con Mario Borsa, per farlo incontrare con Rimbaud nel suo periodo milanese. Mettendo a confronto la vicenda di Rimbaud e Pirotta

 

TRA QUIRINALE E RIPARTENZA: DIALOGO CON ANDREA PANCANI

Giornalista, conduttore, fine testimone della nostra contemporaneità. È Andre Pancani, tra i giornalisti di punta del panorama italiano, che attraverso programmi come Omnibus, Coffee Break, commenta, illumina, approfondisce uno scenario caotico e complesso come quello attuale. Attraverso uno stile di conduzione imparziale, ma non per questo freddo o impersonale, mostrando una realtà contraddittoria e complessa attraverso i suoi protagonisti, non scadendo in tribune o tribunali di parte, oppure nel caos e nella volgarità in cui inciampano molti format cerchiobottisti. Pancani, soprattutto tramite la sua attività di vicedirettore del TG LA7, è il testimone di un giornalismo, sanguigno e oggettivo, appassionante, ma non patetico, libero e lucido, capace di accompagnare lo spettatore nel mare magnum dell’informazione.

Draghi è un presidente del consiglio anomalo anche per gli esperimenti di governo tecnico. Il suo modello di comunicazione, non social, istituzionale ha creato una rottura con il modo di fare comunicazione politica, riportandolo ad una dimensione quasi da prima repubblica?

Trovo che Draghi, aldilà del suo arrivo a Palazzo Chigi causato dalla crisi dei partiti e dall’emergenza sanitaria, proponga un modello di comunicazione in linea con le aspettative rispetto alla sua esperienza come presidente della BCE. Una comunicazione fatta di concretezza, con risposte asciutte, che a volte è stata centrata altre meno. Un dialogo tra istituzioni e cittadini basato sulla comunicazione dei risultati raggiunti, delle cose fatte, è quello che ritengo più trasparente ed efficace. Certo, ci sono poi passaggi nei quali è opportuno che il Governo faccia conoscere gli obiettivi da raggiungere, come ad esempio la Legge di Bilancio, che poi – diciamo così – si dispiega in Parlamento. Insomma, la nuova sobrietà delle conferenze stampa di Draghi e del governo è cruciale in questa fase e non fa rimpiangere un recente passato segnato da roboanti e spesso propagandistici annunci dell’esecutivo.

Come valuta la gestione del governo Draghi?

Sta facendo quello che si può fare in una situazione data. Nonostante ci fossero molte aspettative su scelte cruciali, penso alla riforma fiscale, a quella sul catasto, al provvedimento sulla concorrenza, l’azione non è stata così incisiva. Il motivo è nella composizione della sua maggioranza, così ampia ma anche segnata da profonde divergenze e anche diffidenze personali tra i leader. La gestione e il successo della campagna vaccinale e l’avvio dell’imponente e ambizioso Piano nazionale di ripresa e resilienza sono però sotto gli occhi di tutti, dovessi dare un voto al governo Draghi sarebbe un sette pieno.

A breve le camere si riuniranno per le elezioni del presidente della Repubblica. Sallusti ha profetizzato Casini, il centrodestra mette la pulce nell’orecchio su Berlusconi e Draghi già viene invocato come presidente in Pectore. Quali sviluppi seguiranno gli scrutini per le elezioni del capo dello stato? Chi pensa potrebbe avere buone possibilità e perché?

Consideriamo due aspetti di questa elezione: intanto siamo ancora lontani dal momento clou della scelta del presidente della Repubblica e sappiamo che fino all’ultimo i candidati veri restano coperti. Poi bisogna considerare che mai come ora tutti i gruppi parlamentari sono frammentati al loro interno e la cosiddetta “disciplina di partito” potrebbe essere messa a dura prova dal voto segreto. Diversi nomi che si fanno sono già stati ritenuti “quirinabili” nelle precedenti elezioni, penso ad Amato e a Casini. Credo si tratterà di un’elezione molto complicata e l’eventuale convergenza su Draghi potrebbe essere la soluzione meno conflittuale. Anche perché mai come in questa fase abbiamo bisogno al Quirinale di una figura che abbia costanti rapporti internazionali e la fiducia delle istituzioni europee e di quelle finanziarie. Per questo la candidatura di un outsider che fosse sprovvisto di queste caratteristiche la vedo improbabile e comunque rischiosa. I giochi si faranno come sempre nelle ore finali tenendo conto che il Centrodestra rivendica, legittimamente, di vedere al Colle un presidente di area, “amico” anche se l’ipotesi di Berlusconi appare una candidatura troppo divisiva, forse i nomi veri saranno altri, magari spunterà quello di Gianni Letta. Nel Centrosinistra i papabili sono diversi e con molte ambizioni, ma anche per questo fronte non sarà facile individuare un nome che metta d’accordo la maggior parte delle forze politiche. Dal cilindro potrebbe spuntare una donna, come la Cartabia o la Severino, ma sarebbe imperdonabile se la scelta della prima presidente fosse dettata sull’onda del “genere”, del politicamente corretto. Comunque non dimentichiamoci che la funzione, il ruolo, cambiano le persone e questo è già accaduto per alcuni inquilini del Quirinale che si sono rivelati Capi dello Stato di grande personalità e buon senso.

Parlando di esteri, i successi e i sondaggi prevedono un rovesciamento degli equilibri americani con il midterm,  che conseguenze potrebbe portare un probabile cambio di inquilino alla casa Bianca?

Il mondo sembra una maionese impazzita, viviamo sfide di una complessità enorme, dal clima alla pandemia. Si dice sempre che mancano gli statisti, ma ho il sospetto che anche quelli che abbiamo considerato tali in passato di fronte a sfide così grandi avrebbero tentennamenti. Forse servirebbero leader più visionari e con una maggiore capacità di vedere le cose nel loro insieme, ma queste sono solo ipotesi di scuola che vanno poi calate nel contesto. Fatta questa premessa non c’è dubbio che è in atto un confronto muscolare tra Cina e Stati Uniti e tra questi due colossi l’Europa appare irrilevante con l’Italia ancora più marginale nonostante gli sforzi e lo standing di Draghi. L’Europa è debole per vari motivi, soprattutto perché non ha una politica estera condivisa, non trova uno straccio di strategia comune sui migranti, non condivide la politica ambientale se non di facciata visto che ogni Paese ha i suoi interessi energetici, per non parlare dei paradisi fiscali interni alla stessa Unione e quindi si rivela divisa ed afona. E questo mi intristisce soprattutto per il grande patrimonio storico, culturale e sociale che le appartiene. Il fatto che un continente così grande non riesca a confrontarsi con i due giganti è molto triste. Oggi con Biden gli Usa si sono riavvicinati all’Europa dopo la parentesi Trump, ma la rinnovata alleanza tra le due sponde dell’Atlantico deve fare i conti con le questioni interne della superpotenza statunitense visto che Biden è in calo nei consensi e dovrà assecondare politiche che richiamano l’American first.      

Vedi probabile la nascita di un polo di centro o uno scenario post Draghi nella politica italiana?

Non so se mai nascerà questo polo tanto evocato e al quale si lavora alacremente per accasare politicamente Mario Draghi, magari chiedendogli di candidarsi alle prossime elezioni. La spinta nasce dalla consapevolezza che il compito dell’attuale premier non debba esaurirsi con la fine della legislatura ma che prosegua negli anni a venire, almeno fino al 2026 data della messa a terra del Recovery Plan italiano, insomma, per dirla prosaicamente, il nostro Paese non può rinunciare ad una risorsa come Draghi. Certo, questo grande rassemblement centrista al momento è caratterizzato da una sovrabbondanza di leader, ciascuno ne rivendica la guida, magari ne spunterà fuori uno nuovo, ma poi bisogna fare i conti con le urne e non so quanti italiani sarebbero disposti a votarlo. Il nostro paese ha bisogno di riforme e di grande pragmatismo, deve modernizzarsi e creare le condizioni per una crescita strutturale ma temo che, superata questa fase di “commissariamento della politica”, dopo l’uscita di scena di Draghi, si tornerà al passato, con partiti rissosi e in permanente campagna elettorale, senza la comune volontà di affrontare le priorità e dire parole di verità. Viviamo peraltro una profonda crisi culturale, di valori e di competenze, non ci sono più scuole di partito, sindacali, di impresa. E mi tremano le vene dei polsi pensando a quello che dobbiamo affrontare, come i nuovi equilibri geopolitici, la transizione ecologica ed energetica, le diseguaglianze crescenti, le pandemie.

Personaggio di punta del giornalismo italiano con Coffe break mostri gli umori della nostra società . Che ruolo hanno avuto i talk nella modernizzazione politica del paese? Dal confronto su temi cladi al dialogo su argomenti divisivi e spinosi, dai vaccini, alla pandemia, alle questioni più importanti dello scenario attuale?

Io credo che la precondizione di chi fa il giornalista sia una grande curiosità per capire le cose e farle capire e l’onestà intellettuale. Premesso questo, credo che durante la pandemia, soprattutto nella fase più drammatica, l’informazione abbia svolto onestamente e generosamente il proprio ruolo, dando conto di quello che ci stava succedendo a causa di un virus sconosciuto che ha travolto le nostre vite sprofondandoci in territori sconosciuti e in una dimensione inedita, mai vissuta prima. Disorientamento che ha investito di petto anche la scienza, la medicina, la ricerca con le ben note contraddizioni e le tante voci dissonanti dei virologi nei talk show. Per arrivare alla contrapposizione tra vaccinisti e no vax o alla protesta dei non green pass che si è riverberata sui giornali, sulle tv, sui social dando vita a prese di posizione faziose o parziali che non sempre hanno reso onore all’informazione. Andando in onda ogni giorno anch’io ho commesso degli errori, avrei potuto dare più spazio ad alcune notizie o approfondirle meglio, avrei potuto evitare di invitare certi ospiti, ma credo di aver avuto un piccolo vantaggio su altri colleghi visto che da molti anni mi occupo di salute e sanità, quindi ho maggior dimestichezza con l’informazione medico-scientifica e ho adoperato ogni prudenza e rigore nel linguaggio e nel racconto. Molti di questi esperti e clinici che ora sono diventati delle star li conoscevo e avevo avuto modo di apprezzarne la competenza ma anche di scoprirne le vanità.

 

Quali sono i tuoi riferimenti culturali sia dal punto di vista giornalistico sia letterario filosofico e politico?

Nonostante non trascuri i grandi fatti internazionali, mi occupo da sempre dell’attualità politica ed economica italiana. Mi piace raccontare il nostro Paese e credo che se ne scopra un pezzettino ogni giorno, ricco com’è di contraddizioni, eccellenze, miserie e occasioni perdute. Sono stato un gran divoratore della letteratura italiana, dagli autori storici agli scrittori contemporanei. Sono innamorato della provincia italiana, da Nord a Sud, mi piace scoprire chi sa raccontare questo paese, mi piace scoprirne le radici, informarmi sul passato. Così come mi appassiona l’arte contemporanea italiana. Nelle mie letture quotidiane cerco anche che è fuori dal coro, non amo l’omologazione e il politicamente corretto, sono pro vax ma voglio capire le ragioni di chi non lo è. Ho imparato che la politica è fatta anche di sentimenti, di rapporti personali, segnata a volte più dalla rivalità che dalla coerenza. Non mi piacciono i moralisti di ogni risma. Mi ritrovo nei libri di Piovene, Goffredo Parise, Alberto Arbasino, Curzio Malaparte, Flaiano, nella contemporaneità di Nesi, Sandro Veronesi, Marco Lodoli, solo per fare qualche nome.

Il giovane Andrea Pancani quando iniziò il suo percorso giornalistico a chi guardava, chi aveva come autori di riferimento?

La mia grande fortuna è che ho sempre voluto fare questo mestiere, fin da piccolo. Come molti giornalisti della mia generazione sono cresciuto nelle radio locali, ne ho fondato addirittura due: una in Puglia agli albori dell’emittenza privata, e una a Roma molti anni dopo. Amo moltissimo la radio e mi piacerebbe tornarci a lavorare. Maestri, ispiratori? Non saprei dire un nome, non avevo modelli di riferimento precisi, so solo che da ragazzo sognavo di approdare alla Rai, di fare il giornalista televisivo. Mi piace però la televisione calda, che coinvolge, il talk, non amo il modello anglosassone, soprattutto nei tg, più asettico. Continuo a pensare che quello del giornalista sia il più bel mestiere del mondo, ti permette di approfondire qualsiasi cosa, di assecondare ogni curiosità, di entrare in contatto praticamente con chiunque e di aprirti la mente.