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Perché l’interventismo Usa, anche se imperfetto, è preferibile al disimpegno

Il precipitoso ritiro dall’Afghanistan e l’invasione dell’Ucraina ci mostrano cosa può significare per il mondo un totale disimpegno Usa

– Tommaso Alessandro De Filippo, ripreso da “Atlantico Quotidiano”

Ayn Rand definì gli Stati Uniti d’America la prima società morale della storia, un posto dove l’individuo potesse giovarsi di libertà personale ed economica, mezzo necessario per essere realmente indipendente e capace di perseguire il raggiungimento dei propri obiettivi di vita, ricercando il benessere e la felicità terrena.

Il rispetto della libertà è ciò che gli Usa hanno il merito di aver provato ad esportare ed espandere. La tutela dei diritti umani ha rappresentato a tratti uno degli obiettivi della politica estera americana, capace a volte di liberare altri popoli da dittature e regimi totalitari.

Le critiche di ingerenza

Una politica estera però alla quale non sono state risparmiate critiche feroci e accuse di “ingerenza” negli affari interni di altri stati. Critiche e accuse sempre più frequenti nelle opinioni pubbliche occidentali, pronte a scaricare la colpa di qualsiasi guerra, ultima quella in Ucraina, su Washington, colpevole di un presunto eccesso di interventismo.

Meglio il disimpegno?

Tuttavia, occorrerebbe chiedersi cosa significherebbe un definitivo disimpegno americano dai teatri strategici globali. Prima di tutto, un notevole rafforzamento della minaccia terroristica e degli appetiti imperialistici di potenze come Cina e Russia, che mirano a scardinare la leadership Usa non per beneficenza, ma per rimpiazzarla con la loro.

L’esempio afghano

L’esempio più recente (e doloroso) di disimpegno Usa è il ritiro da Kabul dell’agosto 2021, seguito agli Accordi di Doha del febbraio 2020, che resterà nella memoria come una immagine di fallimento e impotenza paragonabile al ritiro dal Vietnam.

La scelta di abbandonare l’Afghanistan totalmente, e le modalità del ritiro, la frettolosa fuga del presidente della Repubblica afghana Ashraf Ghani e la pessima gestione delle ultime settimane, hanno rivitalizzato il fronte delle autocrazie, giocando probabilmente un ruolo sia nella scelta di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina, sia nel portare Pechino a credere di poter facilmente prendere Taiwan nel prossimo futuro.

L’abbandono degli afghani, illusi dopo vent’anni di miglioramenti socio-economici e maggiore libertà, ha inferto una ferita difficilmente rimarginabile alla credibilità Usa.

Il sostegno all’Ucraina

Questo dovrebbe aiutare a comprendere la necessità di poter contare sugli Stati Uniti, per quanto imperfetti e criticabili, e su un Occidente compatto per difendere i nostri interessi e i nostri valori.

Il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa è quindi importante per un duplice motivo: perché conferma l’impegno Usa per la sicurezza europea (e non solo), lanciando un chiaro messaggio alle autocrazie che pensano di poter facilmente mettere in atto i loro piani.

E perché ci ricorda che la difesa della democrazia e della libertà non è solo un’opzione morale, ma anche lo strumento attraverso il quale garantire stabilità e pace.

PROF. MICHELE MARSONET: “GLI USA CONTRASTINO IN OGNI MODO LA RUSSIA. IL MONDO DELL’ISTRUZIONE ITALIANO È DA RIFONDARE”

– Tommaso Alessandro De Filippo


Il Prof. Michele Marsonet si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in Filosofia della scienza presso l’Università di Pittsburgh (USA). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Fellow” presso le Università di Oxford e Manchester (UK), City University of New York e Catholic University of America (USA). E’ Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova (2001-2002, e 2008-2011). Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (2002-2005, rieletto per il periodo 2005-2008). Dal 2008 al 2014 Pro-Rettore con delega all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova. Dal 17 ottobre 2012 è Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (USA). Visiting Scholar all’Università di Melbourne (Australia) nel 1999. E’ stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri: Fribourg (Svizzera, 1989 and 1996), Hertfordshire (UK, 1994), Siviglia (Spagna, 1995), Varsavia (Polonia, 1995), Malta (1996, 1999, 2003, 2005), Pittsburgh (USA, 1992 and 1997), Islanda (1998), Giessen (Germania, 1998), Melbourne (Australia, 1999), Bergen (Norvegia, 2000), Malaga (Spagna, 2001), Oxford (UK, 2001), Université Catholique de Louvain (Belgio, 2001), Stirling (UK, 2002), Cork (Irlanda, 2004), London King’s College (UK, 2005), Babes-Bolyai University (Cluj, Romania, 2007), St Andrews (UK, 2009), Hanoi (Vietnam, 2015). Fellow del Center of Philosophy of Science, University of Pittsburgh (USA). Coordinatore programmi scientifici nazionali, finanziati dal MIUR e dal CNR. Dal 2008 è External Examiner per tesi di Master e Ph.D. della University of Malta. E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima (Perù), e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dalla Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 28 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in riviste italiane e straniere. Inoltre, collabora con il magazine online Atlantico, diretto da Daniele Capezzone e Federico Punzi. Abbiamo avuto il piacere di dialogare con lui sul conflitto tra Russia, Ucraina ed USA, oltre che sulle attuali restrizioni pandemiche italiane proprogate nel tempo e le difficoltà del nostro mondo dell’istruzione.

Prof. Marsonet, può esprimerci le sue considerazioni in merito ai venti di guerra tra Russia ed Ucraina?

La Russia ha una responsabilità diretta delle tensioni in corso insieme all’Ucraina, dato il loro scontro frontale protattosi negli anni, dovuto anche a delle ragioni storiche. Credo che il comportamento americano in tale ambito sia dettato dalla necessità di Biden di tenere a bada l’opinione pubblica negli USA. Infatti, lo scenario politico futuro degli Stati Uniti è assolutamente incerto, con i DEM che non sono uniti intorno al presidente espressione del proprio partito ed un GOP alle prese con la necessità di ritrovare degli equilibri interni. Pertanto, ritengo che la pressione esercitata dagli USA su Russia ed Ucraina sia dettata soprattutto da motivazioni interne. Tuttavia, se ciò serve per impedire a Mosca di invadere Kiev ben venga.

Ritiene che l’attuale strategia di USA e NATO volta a difendere il territorio ucraino possa rivelarsi efficace a lungo termine?

Attualmente c’è una tale preponderanza armata di matrice russa che rende difficile ad una NATO così disarticolata immaginare di contrastarne la forza. Inoltre, è da menzionare l’ambiguità e l’incapacità costante della UE in materia di politica internazionale. Ieri come oggi gli unici a poter fare la differenza in situazioni come questa sono gli americani, che sono però stanchi di dover combattere guerre evitabili in difesa di altre nazioni, prive della capacità di difendersi autonomamente.

Quanto pesa l’ambiguità di Parigi e Berlino ed il loro interesse a condurre accordi economici con Russia e Cina sulla stabilità dell’alleanza atlantica?

Purtroppo i principali paesi europei dipendono ad oggi dalle forniture russe di gas ed energia, dati gli accordi presi sui gasdotti NordStream. Anche in ragione di ciò, non possono assumere delle posizioni dure nei confronti di Mosca e devono necessariamente trovare una mediazione. Anche l’Italia nella figura di Mario Draghi credo proverà a fare questo, data la nostra attuale assenza di autonomia energetica.

Dal suo punto di vista a cosa è dovuta la fascinazione di alcuni occidentali verso Vladimir Putin e le modalità di governo di stati come la Russia?

È dovuta al fatto che Putin rappresenti l’immagine di uomo e politico forte, dotato di un “pugno di ferro” che utilizza per governare la propria gente. Inoltre, in Italia ed in parte delle nazioni occidentali c’è un sentimento di sfiducia verso le classi politiche che vengono ritenute deboli. Ciò porta ad essere attratti da figure istituzionali differenti. Storicamente le grandi potenze hanno sempre praticato una politica di forza volta ad imporre i propri interessi in ambito internazionale.

In che modo valuta le attuali restrizioni delle libertà individuali prorogate dall’esecutivo italiano attraverso i recenti decreti?

Non condivido le polemiche verso le restrizioni avanzate da molti liberali. Ritengo che il momento sanitario sia complesso e meritevole di attenzione da parte della politica. Il governo italiano con la guida di Mario Draghi ha raggiunto dei risultati eccellenti in materia di campagna vaccinale ed io francamente giustifico alcune limitazioni delle libertà individuali condotte al fine di tutelare la salute.

Di che riforme in campo economico e sociale avrebbe urgente bisogno l’Italia?

Sul piano economico sarebbe necessaria una maggiore attenzione verso le industrie, le attività produttive ed il mondo dell’istruzione. Settori che non possono essere abbandonati perchè fondamentali per la formazione ed il mantenimento del tessuto sociale ed economico nazionale.

Come sarebbe possibile apportare dei miglioramenti al mondo dell’istruzione italiano?

In primis bisogna cercare di stoppare la politica della Didattica a distanza. Io stesso da professore universitario ho avuto modo di utilizzarla e la ritengo devastante per gli studenti di ogni grado scolastico. Spero realmente che si possa investire di più nel mondo dell’istruzione italiano e migliorarne le qualità, onde evitare un futuro disastroso per le nuove generazioni.

In chiusura, ritiene che i referendum sulla giustizia previsti in primavera possano dare la spinta necessaria per giungere ad una vera riforma della magistratura in Italia?

È molto difficile. Possono sicuramente avere una certa efficacia ma la magistratura ha raggiunto in Italia un potere quasi assoluto che sarà, al netto dei risultati delle votazioni, molto difficile da modificare.

STEFANO PIAZZA RACCONTA PERICOLI E SEGRETI DEL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

– Tommaso Alessandro De Filippo

Abbiamo intervistato Stefano Piazza, esperto di terrorismo islamico, a cui ha dedicato svariati testi e saggi, volti a sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sui rischi derivanti dalla sottovalutazione del fondamentalismo. Pertanto, siamo certi che l’ascolto delle sue analisi sia per noi una fonte di conoscenza e formazione sugli approcci che potrebbero riverlarsi utili e necessari verso tale emergenza. Attualmente, Piazza collabora con Panorama e La Verità e sarà in futuro ancora impegnato nell’affronto di questo tema, su cui la UE ha intrapreso una strada di approccio totalmente errata, figlia dell’ideologismo buonista.

Da esperto osservatore del fanatismo islamico pensa che l’Europa possa subire dei nuovi ed imminenti attacchi terroristici?

Ogni giorno leggiamo di operazioni antiterrorismo in tutta l’UE e la lista degli attentati sventati è lunghissima. Impossibile prevedere cosa puo’ succedere in Paesi esposti come la Francia, il Belgio, l’Inghilterra, la Germania o la Spagna, solo per citarne alcuni. Oggi è piu’ complicato per i terroristi organizzare operazioni nelle quale vengono utilizzati molti uomini perché l’attenzione delle forze dell’ordine e dell’intelligence è diversa rispetto al passato. Tuttavia, piccole cellule restano un pericolo latente senza dimenticare i cosidetti “lupi solitari” (che solitari non sono mai) che possono colpire e lo fanno ovunque.

 Per l’Occidente in che modo sarebbe possibile svilluppare una strategia difensiva efficace, che funga da deterrente per i terroristi?

 Nel contesto attuale mi pare impossibile. L’Occidente ha scelto da tempo di suicidarsi. Si faccia un giro nelle principali capitali europee e guardi cosa siamo diventati.  

Ritiene che l’immagine degli USA deboli, derivante dal disastroso ritiro afgano e da un possibile accordo al ribasso stretto ora con Putin possa incentivare e favorire nuovi attacchi terroristici?

 Non credo che gli Stati Uniti siano deboli. Hanno l’esercito piu’ potente al mondo, mezzi di ogni tipo, le armi piu’ efficaci e dispongono di tecnologie avanzatissime, inoltre controllano tutti i mari e gli ismi del pianeta. Tutti. Semplicemente gli americani hanno deciso di uscire dalla logica imperialistica per darsi a quella imperiale che prevede che si interviene solo se si deve (pensandoci bene) e non solo perchè si puo’. Fare i gendarmi del mondo è costato miliardi di dollari e migliaia di vite umane, tutte cose che l’America di oggi non si puo’ piu’ permettere. Oggi chi minaccia gli interessi della piu’ grande potenza del pianeta è la Cina quindi il focus è quello. Per quanto riguarda Putin lui ha scatenato questa crisi e sempre lui ha fatto marcia indietro una volta che il suo ministro degli Esteri è riuscito a fargli capire in che guaio si era cacciato. Persino Joe Biden che non brilla come Presidente ha capito che bastava stare fermi per mettere con le spalle al muro Putin. Per il resto è noto che qualsiasi tipo di vittoria, sia politica che militare o anche entrambe, è una fonte di ispirazione per l’ideologia dell’islamismo radicale. Il fatto che i Talebani abbiano ripreso il controllo dell’Afghanistan grazie al disimpegno degli USA, è ovviamente una vittoria degli islamisti radicali. La vicenda dell’Ucraina non credo possa cambiare le cose in un senso o nell’altro.

 In che modo valuta l’assetto attuale della UE, che sulla lotta al fondamentalismo non è mai riuscita a sviluppare un approccio comune?

 E’ un tema che ho toccato nei miei libri e in centinaia di articoli che ho scritto e lo riassumo con una sola parola: Fallimentare. Come si puo’ pensare di combattere il fondamentalismo islamico quando si finanziano progetti legati alla Fratellanza musulmana che è l’anticamera del terrorismo? Impossibile.

Cosa si cela dietro certa propaganda e quanto il Corano è realmente collegabile all’ideologia delle milizie islamiche?

 Queste persone uccidono gridando “Allah Akbar” (Allah è grande) e si rifanno all’islam dei primordi, quello di predicatori e giuristi come il siriano Ibn Taymiyya Taqī al-Dīn Abū al-ʿAbbās Ahmad (1263 +1328) oppure il saudita Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb al-Tamīmī al-Najdī (1703 +1792) o piu’ recentemente a ideologi come gli egiziani Hasan al-Banna, fondatore della Fratellanza musulmana  ( 1906 + 1949) e il suo discepolo Sayyid Qutb (1906 +1966). Cosa è collegabile ? Il Corano.

In che modo ritiene si sarebbe dovuto approcciare diplomaticamente alla vicenda afgana? 

 Gli americani hanno fatto bene ad andarsene, il come ormai è storia. Gli afghani che non sono un popolo ma un insieme di etnie che si odiano e si combattono da sempre, meritavano e meritano finalmente di essere lasciati pace. In verità loro odiano la modernità e vogliono continuare a vivere come hanno sempre fatto e dobbiamo solo prenderne atto. Ad esempio, non vogliono che nessuno gli tocchi il loro diritto di picchiare le loro mogli oppure di impiccare una persona che per fame ruba una mela. Quindi andare li, invadere, aiutare, criticare, mettere in piedi governi fantoccio e spendere miliardi di dollari non è mai servito a nulla. I soldi che gli dai finiscono nei conti bancari a Dubai o in Qatar mentre le armi che gli regali le usano per spararti addosso quando ti giri. Gli ospedali? Rubano tutto e rivendono tutto quello che possono. Poi i medici europei li curano, cosi’ quando escono possono di nuovo spararti. Semplicemente in Afghanistan che è oggi un “narco terror state”, non bisogna fare nulla. L’Afghanistan deve diventare un problema solo dei loro vicini ad esempio del Pakistan che si merita ogni guaio visto che i servizi segreti pakistani hanno inventato a tavolino i Talebani, dell’Iran che è un altro “terror state”, oppure della Cina che oggi ha bisogno di qualche problema così da non crearli in giro per il mondo. Per quanto riguarda la Russia di Vladimir Putin sa molto bene come trattarli.

Quale leader mondiale del passato ritiene abbia raggiunto i migliori risultati nella lotta al terrorismo islamico?

 A livello politico l’ex primo ministro francese Manuel Carlos Valls ( in carica tra il 2014-2016) fu il primo ad agire con vigore anche a  livello europeo facendo comprendere la pericolosità della situazione. Per questo venne avversato anche nel suo partito (socialista) poi pero’ la sua carriera si è interrotta anche a causa di una serie di scelte sbagliate. Per quanto riguarda il contrasto puro del fenomeno Vladimir Putin non ha rivali. Li uccide tutti.

Il seme di tale ideologia può radicarsi anche nella cultura sociale di nazioni democratiche come l’Italia?

Radicarsi direi di no perché mancano le condizioni che vivono paesi come il Belgio o la Francia ma se si guarda ad alcune periferie italiane direi che la situazione non è buona. La politica farebbe bene a chinarsi sul problema.

 

 

GIUSEPPE BENEDETTO TRA LIBERALISMO E DEMOCRAZIA

-Francesco Subiaco

Luigi Einaudi è stato uno dei più importanti protagonisti del dibattito politico ed economico italiano. Un pensatore capace di coniugare libertà e responsabilità, iniziativa privata ed armonia della gestione pubblica. Una concezione della politica e della società che fanno di Einaudi un alfiere della libertà, un paladino di una visione politica oggi dimenticata che alla demagogia dell’antipolitica, improvvisata e pauperistica, ha opposto l’idea di una militanza che non può essere avulsa dalla competenza, dalla conoscenza, riassunta nello splendido motto: “conoscere per deliberare”. Fustigando i peccati della nostra malapolitica attraverso le sue “Prediche inutili”, sognando l’Europa unita e libera in un momento in cui essa era divisa e oppressa dall’egida sovietica. Einaudi, presidente della Repubblica tra i più lungimiranti e competenti, prestò come sottolineò Giovanni Leone, la sua estrema competenza e conoscenza alla Repubblica Italiana, lasciando con il suo mandato un esempio e una professionalità che ne fanno uno dei maggiori capi di stato italiani. Ma il pensiero einaudiano non è un cimelio bello e perduto nella storia delle idee, ma è una concezione della vita che si fonda sulla libertà, sul senso delle istituzioni, sulla difesa dell’individuo contro le prevaricazioni del potere. Istanze garantiste e liberali che sono state raccolte dalla Fondazione Luigi Einaudi che si sta impegnando per diffonderne il pensiero e le idee. Per parlare dell’attività svolta dalla FE abbiamo intervistato il presidente Giuseppe Benedetto, che attraverso il suo percorso politico-culturale e le sue attività in ambito intellettuale, si prodiga per la diffusione dei valori liberali, garantisti ed europeisti. Abbiamo incontrato il presidente Benedetto, che si rispecchia in quella tradizione che va da Einaudi a Malagodi, da Bozzi a Mill, per parlare di temi etici e politici e per capire l’attualità di quelle fondamentali prediche inutili di cui abbiamo ancora bisogno.

Quanto è attuale il pensiero Einaudi, europeista e liberale, in questo periodo di disgregazione e conformismo? E perché?

Il pensiero di Luigi Einaudi è straordinariamente attuale. Le sue riflessioni di acuto economista e intransigente difensore delle Istituzioni illuminano il panorama politico italiano ed europeo e sono la guida dell’attività della Fondazione che prende il suo nome. Tra i molteplici profili di attualità credo che due siano cruciali: la sua radicata fiducia nel processo di integrazione europea e l’attenzione ad una prudente gestione delle risorse pubbliche. Abbiamo vissuto negli ultimi anni e continuiamo ad assistere a movimenti sovranisti, dichiaratamente antieuropei e contrari ai valori dell’integrazione. La pandemia ha però mostrato tutti i limiti dell’isolazionismo e l’Unione Europea ha saputo essere presente davanti alla storia. Mi auguro che il sovranismo prima imperante sia oggi sempre più declinante, anche grazie alla presenza di Mario Draghi. Con riferimento al secondo grande insegnamento di Einaudi, avverto oggi un pericolo: la noncuranza del debito pubblico. Il PNRR rappresenta un momento storico e tutti gli Stati occidentali hanno aumentato la spesa pubblica. Tuttavia, prima o poi si presenterà il conto e solo se gli investimenti saranno stati fruttiferi l’Italia avrà una situazione economico-finanziaria stabile.

Che opinione ha delle campagne referendarie sulla giustizia e sull’eutanasia?

Condivido i quesiti referendari sulla giustizia e li voterò, però non gli si attribuisca eccessiva rilevanza. Molti dei temi affrontati, quali separazione delle carriere, riforma del CSM e valutazione dei magistrati andrebbero affrontati con riforme costituzionali. Abbiamo assistito negli anni ad una pluralità di interventi che non hanno fatto altro che moltiplicare il numero delle leggi ed anche la loro oscurità. Vi sono squilibri significativi nella relazione tra poteri dello Stato che devono essere affrontati a livello costituzionale, con coerenza e sistematicità. La Fondazione Einaudi ha proposto l’istituzione di una Assemblea Costituente, eletta direttamente dai cittadini, che riformi la II parte della Costituzione, così da modificare in modo organico il nostro sistema costituzionale.

Il referendum sull’eutanasia dimostra l’incapacità del Legislatore di affrontare importanti temi etici. L’introduzione del suicidio assistito è avvenuta grazie alla Corte costituzionale e ora intervengono i cittadini. Sono aperto a discutere di eutanasia, perché il corpo dell’individuo non è al servizio di nessuno. Però si presti attenzione, perché l’abolizione dell’omicidio del consenziente apre una voragine. A quali condizioni si potrà richiedere l’eutanasia? Una persona che soffre di depressione ha diritto a che un medico la aiuti a morire? Come viene disciplinata l’obiezione di coscienza? Un’eutanasia accessibile sempre sarebbe in contrasto con i moniti della Corte costituzionale dati nel caso Cappato. La Consulta ha ricordato che non sussiste un obbligo generalizzato nell’aiutare qualcuno a morire. Io sono in linea con quella posizione.

Di fronte alla crisi dei movimenti di protesta, e la crisi delle principali coalizioni, vede possibile la nascita di un movimento capace di diventare la grande casa dei liberali italiani?

La nascita di un partito politico autenticamente liberale è quanto auspico fin dalla dissoluzione del Partito Liberale Italiano. In una fase storica in cui i popolari decidono di accodarsi ai sovranisti e i socialisti ai populisti sicuramente si apre un importante spazio politico al centro. Però il vero tema è: quale centro? Un centro con tutti dentro, pseudo liberali, democristiani, ex popolari ed ex socialisti non è quello di cui il Paese ha bisogno. È necessaria una casa autenticamente liberale, che si rifaccia ai valori di ALDE e del gruppo al parlamento europeo Renew Europe. Poste queste condizioni, si intraprenda la strada dell’inclusione. I partiti costruiti sulla persona sono destinati al fallimento, se non sono sorretti da una radicata ideologia. È giunto il momento che nasca un partito fondato sui principi liberali, quelli di Einaudi, Croce e Malagodi.

 

Dal RDC alla prescrizione, questa legislatura, complice il caos pandemico, ha segnato una terribile regressione delle libertà nel nostro paese a vantaggio di una ingerenza statale sempre più pressante. Quali riforme potrebbero segnare il passaggio verso una “rivoluzione liberale” nel nostro paese?

Molteplici riforme sono necessarie per ripristinare la libertà, in campo economico e sociale. Non vi è però alcun dubbio che la più grave crisi che il Paese stia affrontando riguardi l’ordine giudiziario. Il CSM da organo di governo autonomo della magistratura è divenuto organo politico ed autoreferenziale. Il vulnus che ne deriva è all’indipendenza del giudice, che la Costituzione definisce terzo ed imparziale, soggiogato dalla cultura d’accusa della Procure. È per questo che la prima riforma sulla giustizia, prioritaria a tutte le altre, deve essere la separazione delle carriere. Come ho già accennato, il referendum promosso dai Radicali e dalla Lega tenta di disciplinare la materia, ma non è sufficiente. Il vero problema non è il passaggio dalla carriera requirente a quella giudicante, ma la presenza di un unico CSM col potere di decidere sui progressi di carriera e sulle sanzioni disciplinari. A nulla varrebbe impedire i passaggi da un lato all’altro se la cultura d’accusa continuasse a governare l’ordine giudiziario. Il danno che ne deriva non è agli avvocati, ma ai cittadini, imputati di fronte ad un giudice non pienamente terzo ed imparziale rispetto a colui che esercita le funzioni di Pubblico Ministero. Ad essere in pericolo è l’habeas corpus, la madre di tutte le libertà.

Come giudica la gestione securitaria della pandemia in questo periodo da parte del governo, vedendo i provvedimenti e le metodologie utilizzate da paesi come Israele, UK e Spagna?

Il Governo Draghi rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto al Governo Conte. L’incertezza e la stravaganza delle primule di Arcuri è stata sostituita dall’autorevolezza e l’efficienza della campagna vaccinale di Figliulo. Oggi grazie ai vaccini i cittadini possono esercitare le proprie libertà, che lo Stato deve limitarsi a riconoscere. Non le concede, né le attribuisce, come disse l’attuale leader del Movimento 5 Stelle.

Il dibattito sul green pass non mi appassiona. Il Governo deve agire al fine di ridurre al minimo le limitazioni delle libertà fondamentali, che si giustificano nella stretta misura in cui la pandemia rappresenta un’emergenza. Posto questo principio, è evidente che il green pass non possa durare in eterno. In ogni democrazia liberale si deve accettare che una frazione dei cittadini, seppur minima, non aderisca alle decisioni delle Istituzioni. È dunque opportuno che il Governo programmi una data di scadenza del green pass che coincida col terminare dello stato di emergenza relativo alla pandemia. Susciterebbe perplessità la proroga dello stato di emergenza oltre il 31 marzo 2022, se la situazione pandemica dovesse rimanere quella attuale.

 La fondazione Einaudi promuove da anni studi, approfondimenti per la diffusione del pensiero liberale. Può consigliarci tre testi per uscire dalla cappa del presente?

Le “Prediche inutili” di Luigi Einaudi, come qualunque altro testo da lui scritto. Quelli non possono mai mancare. “Sulla libertà” di John Stuart Mill, caposaldo del pensiero liberale. Infine, un romanzo: “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.

Quali sono i riferimenti culturali del presidente Giuseppe Benedetto?

Il mio riferimento culturale non può che essere il Partito Liberale Italiano, unico partito autenticamente liberale nella storia italiana. Come dico a mia moglie, sono vedovo del partito. Uomini straordinari, ancor prima che grandi politici, come Giovanni Malagodi e Aldo Bozzi, hanno ispirato la mia attività politica. Attività politica, fatta non nel palazzo, ma tra i cittadini per diffondere il pensiero liberale.

TRA LIBERALISMO E DIRITTI UMANI: DIALOGO CON GIULIA PANTALEO

Giulia Pantaleo è l’attuale Segretario della Gioventù Liberale Italiana, organo giovanile dello storico Partito Liberale. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla, al fine di comprendere ed ascoltarne le analisi politiche, economiche e sociali. Siamo certi che anche dalle proposte delle giovanili politiche che si riconoscano nei valori della democrazia, dell’individualismo e della libertà economica si possano strutturare le basi per la rinascita nazionale. Inoltre, abbiamo dedicato ampio spazio ai referendum su Eutanasia, Cannabis e Giustizia che saranno probabilmente votati in primavera, certi che possano rappresentare occasione di svolta in senso garantista, libertario ed antiproibizionista.

Ritieni che la proroga del Green Pass e l’introduzione dell’obbligo vaccinale possano rivelarsi soluzioni efficaci per contrastare la pandemia? Con le limitazioni delle libertà individuali subite rischiamo irreversibile invasione del potere statale nelle nostre vite?

Lungo il corso di questi ultimi anni ho modificato più volte la mia opinione sul tema, ma oggi credo di poter asserire che non corriamo alcun irreversibile rischio di invasione del potere statale nelle nostre vite. In nome di quella libertà che costituisce la religione dei liberali tutti, era ed è necessario non contrastare le soluzioni adottate dal Governo per consentire all’Italia di uscire da una crisi diffusa a tutti i livelli.  Questa domanda mi dà ancora una volta la possibilità di rendere manifesto il supporto del mio partito al Governo Draghi. Aggiungo che avrei voluto vedere Mario Draghi al Colle, subito. Ritengo, in merito al capitolo concernente la gestione della pandemia, che il cambio di passo radicale rispetto alla gestione Arcuri e l’acceleratore calcato sui vaccini abbiano aiutato l’Italia ad uscire dallo stato d’emergenza che ha avvolto l’intera popolazione per un biennio. L’emergenza vera sembra ormai lontana, la maggioranza degli Italiani è già plurivaccinata e la nuova variante del virus appare meno letale. Un anno dopo il suo insediamento, il 59esimo Consiglio dei Ministri, procede verso ulteriori aperture e chiarisce che l’Italia non tornerà a chiudersi. Il PIL nel 2021 è cresciuto del 6,5%, meglio del previsto. A Roma il G20 della cultura, tenutosi a luglio, è stato il primo nella storia. Il plauso internazionale per l’iniziativa è fonte di orgoglio per tutti noi. Impossibile dimenticare la delegazione di medici e infermieri che hanno partecipato alla foto con i leader del G20 e che sono diventati manifesto della guida italiana dello stesso forum di ottobre. Il 26 novembre dello scorso anno, grazie alla firma del Trattato del Quirinale con la Francia, l’immagine di Draghi e Macron, che davanti a Mattarella siglano il documento, è entrata nella storia, così come il volo – insieme – di Frecce Tricolori e Patrouille de France. Oggi le sue domande appaiono superate. Ed io tiro un respiro di sollievo nel non dover difendere strenuamente i principi che guidano la mia attività politica alla luce di dati che reputo di inconfutabile natura.

 In che modo valuti la battaglia per i 6 referendum sulla giustizia? Potrà rivelarsi efficace per scardinare il marcio presente in parte della magistratura?

La battaglia per i 6 referendum sulla giustizia è giusta. Con rammarico ho assistito all’usurpazione di quella che avrebbe dovuto essere una battaglia ai liberali fortemente riconducile nella sua paternità. Potrebbe rivelarsi efficace ma non sufficiente. Si tratta di uno dei passaggi politici più delicati di quest’ultimo anno di legislatura. Se la Corte costituzionale darà il via libera ai referendum su giustizia, eutanasia legale e cannabis, le crepe nella già frammentata maggioranza di governo non potranno che allargarsi. Gli otto quesiti (di cui sei solo sulla giustizia) affrontano questioni che dividono profondamente le forze politiche che sostengono Draghi e, soprattutto nel campo del centrosinistra, rischiano di spaccare i partiti al loro interno. I sei quesiti referendari proposti lascerebbero in eredità alle nuove generazioni un panorama molto cambiato. Apparentemente le modifiche possono non sembrare molto profonde, ma la questione è raffinata. Si tratterebbe, da un lato, di intraprendere una strada fortemente garantista con il limite alle misure cautelari e l’abrogazione del Decreto Severino, dall’altro, invece, sembrerebbe prospettarsi la soluzione a una sorta di critica perenne alla magistratura, considerata chiusa e legata ad una logica corporativa. Una critica non nuova nel panorama europeo.

Di che misure economiche avrebbe bisogno la nazione italiana per ripartire?

Politiche assunzionali tese ad immettere nel mondo del lavoro in modo celere, agevole e dignitoso i nostri giovani. Se fossimo al governo della nazione porremmo al centro gli individui e le loro legittime aspirazioni. Libertà di impresa e di azione dei cittadini. Ridurremmo la pressione fiscale, apriremmo interi settori a regolamentazione pubblica alle leggi del mercato, unico volano per il risparmio pubblico e per una migliore qualità dei servizi offerti ai cittadini, taglieremmo la spesa improduttiva e alleggeriremmo la macchina burocratica. Proporremmo di rivedere il Titolo V e di ridiscutere la riforma delle province. Riformeremmo il sistema scolastico, il sistema giudiziario e il sistema sanitario. Diritti civili e ambiente sarebbero per noi temi importanti quanto la sicurezza. La politica è l’unica arte che parte dal futuro per arrivare al passato perché, attraverso la visione del domani, cristallizza il presente nella storia. Per tale ragione occorre ripartire dalla competenza. L’istruzione è un elemento indispensabile per la crescita del Paese e il capitale umano ne rappresenta senza dubbio l’investimento più remunerativo. L’Italia deve ripartire dalla scuola, da troppo tempo bistrattata a discapito del nostro futuro e dei nostri sogni.

Credi che il referendum sull’Eutanasia riuscirà a comportare quella che sarebbe una svolta epocale per i diritti e la libertà di chi soffre?

Sono fiduciosa, attendo con ansia il verdetto dei giudici della Corte Costituzionale. La Gioventù Liberale Italiana è tra i promotori del Referendum per l’Eutanasia Legale ed è stata attivamente impegnata nella raccolta delle firme necessarie per poter dare la parola ai cittadini su questo tema e arrivare così a una legge che renda tutti liberi di decidere sulla/della propria vita. “Fino alla fine”, come recita il “claim” della campagna. Ero presente in Cassazione al momento del deposito di 1,2 milioni di firme nell’ottobre dello scorso anno. Un risultato raggiunto anche grazie all’impegno di 13mila volontari, 2.970 autenticatori e 1.765 avvocati che in più di mille comuni hanno raccolto fisicamente le firme necessarie. La GLI segue sempre con grande attenzione ed interesse le attività promosse dall’Associazione Luca Coscioni. L’anima progressista della mia giovanile rimane la più vivace.

Come prospetti lo scenario partitico e politico del domani?

Domanda difficile, difficilissima. Qualche mese fa avrei risposto in modo più deciso. Ma l’elezione del Presidente della Repubblica ha sparigliato le carte. Certamente lo scenario partitico del domani avrà una stretta correlazione con la legge elettorale che disciplinerà i modi attraverso i quali i cittadini italiani saranno chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento. Tocca un punctum dolens questa sua domanda. Mi permette di esprimere la mia totale contrarietà alla legge costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi. Noi liberali vorremmo posizionarci alla destra della sinistra e alla sinistra della destra. In un sistema bipolare o bipartitico probabilmente non ci sarebbe posto per noi. L’idea del grande Centro, per alcuni è già evaporata, offre ai liberali la possibilità di farsi promotori di nuove forme di aggregazione politica. Purché non si tratti di mere operazioni di palazzo, dalle quali prenderemmo immediatamente le distanze. La forza delle idee del nostro partito ha storicamente superato la forza del suo consenso. È per quelle idee che io oggi faccio politica, i numeri sono importanti ma aumentano e diminuiscono con celerità in un elettorato fluido come quello italiano, le idee invece sono granitiche e resistono alle intemperie. Al momento analizzo con curiosità e grande attenzione gli scenari che si aprono in vista delle politiche del 2023. Non siamo noi a muovere le fila, il nostro compito è studiare la trama e capire quando e come entrare in scena, dopo tanto tempo in modo non nostalgico ma innovativo. Il mio impegno è non deludere i miei giovani. La mia partita più importante si gioca all’interno del PLI.

 Quali sono i tuoi progetti futuri? Che interessi ed ambizioni curi?

Attualmente lavoro presso la Direzione Legale di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e nel week end svolgo attività di tutoraggio per gli studenti del Master in Comunicazione e Marketing politico ed istituzionale della Luiss School of Government. Il mondo accademico mi ha sempre affascinato, riuscire a coniugare la mia posizione in azienda con la mia passione per l’insegnamento mi renderebbe appagata in futuro. Mi piacerebbe celebrare il centenario del PLI con un grande e partecipato evento su Roma. In questi anni ho lavorato per dare una nuova pelle a questo prestigioso partito. I miei giovani meritano di occupare ruoli di responsabilità e peso nella Direzione e nel Consiglio nazionale del partito, loro sono la più importante risorsa che il PLI, oltre al suo autorevole “nome”, possiede. Investire sul ricambio della classe dirigente del partito, conferire maggiore visibilità alle nostre attività, riuscire ad essere presenti e centrali all’interno del dibattito politico del Paese è la mia più grande ambizione. Il mio progetto futuro? Studiare e ancora studiare.  La politica è una cosa seria, non un hobby. E per me è ragione di vita.

DIALOGO CON GABRIELE CHECCHIA: L’OCCIDENTE SALVAGUARDI LA DEMOCRAZIA NEL MONDO

– Francesco Subiaco, Francesco Latilla, Gianmarco Latilla

Non ignoriamo il bene e il male, gli opposti schieramenti, le lotte mondiali tra autocrazie e democrazie occidentali. Esse sono chiare ed evidenti, come i duellanti che si sfidano su un campo di battaglia. No gli europei ignorano il loro futuro, che vedono come uno spettacolo mortale che non li riguarda, una pantomima oltreoceano da cui arrivano sparute notizie. Sovrastanti, gli europei assistono alla questione ucraina, all’evacuazione afgana, al neocolonialismo cinese, come gli spettatori di una storia di cui al limite possono essere solo il pubblico. Ma Kiev, Kabul, Sinferopoli, Taipei, non sono città invisibili, meravigliosi fondali di battaglie lontane. In queste città passa il grande gioco, passa lo scontro, il duello sul campo di battaglia degli equilibri mondiali. Da una parte gli Stati Uniti e le democrazie occidentali, dall’altra le autocrazie, i nuovi imperialismi, i Rogue State, che si sfidano in un braccio di ferro il cui esito mira a capovolgere gli equilibri mondiali. Un presente complesso i cui meccanismi sono opachi e le cui sfumature si tingono delle ambigue tinte dei capricci della storia. Dal neocolonialismo cinese, alle persecuzioni dei cristiani d’oriente, il mondo è un groviglio complesso, un puzzle scombinato dalla difficile conclusione. Per risolvere le difficoltà che impediscono la nostra cognizione del presente su questi temi abbiamo intervistato Gabriele Checchia, intellettuale, esperto di geopolitica, ambasciatore presso il Libano dal 2006 al 2010, che attraverso la sua attività di analisi degli scenari internazionali, tramite la Fondazione Fare Futuro e il Comitato Atlantico, collabora alla creazione di un pensatoio culturale dell’area moderata ed atlantista, capace di giudicare e studiare lucidamente il nostro presente, per poter capire i processi che sconvolgeranno il nostro futuro. Checchia liberale che ha nel suo pantheon Aron e Croce, il Generale De Gaulle e il repubblicanesimo americano, è una voce libera dai pregiudizi del potere, capace di osservare il presente alla luce di una etica della libertà e la lunga esperienza diplomatica.

Può parlarci della sua attività con la fondazione Fare futuro?

Fare Futuro è una fondazione, presieduta dal sen. Urso, che intende rappresentare il pensatoio di punta dell’area moderata e di centrodestra per quanto riguarda le analisi e le questioni geopolitiche, tramite un atteggiamento obiettivo e bipartisan, come sottolineano i nostri eventi, organizzati con il Comitato Atlantico e l’International Republican Institute, a cui hanno partecipato anche esponenti di alto profilo del Partito Democratico, poiché il nostro obiettivo è innescare una riflessione capace di indagare seriamente la realtà senza essere partigiani nelle nostre analisi. La nostra fondazione raccoglie prevalentemente pensatori di area liberale, popolare e conservatrice, ma non esclude il dialogo con professionisti di altre visioni o estrazioni. In questi mesi abbiamo organizzato due eventi molto importanti. Il primo un evento per parlare della drammatica situazione afgana e sulle prospettive occidentali, a cui hanno partecipato esponenti del parlamento italiano, giovani parlamentari europei e l’International Republican Institute. L’altro evento che abbiamo organizzato aveva come tema, invece, il contenimento dell’influenza della Repubblica Popolare cinese in Europa e nelle nazioni in via di sviluppo. Per parlare della sfida decisiva che pone Pechino e il partito comunista cinese all’occidente, sottolineando sia la totale impossibilità di separare imprese private e pubbliche nel mercato cinese, sia per promuovere la difesa dei valori liberali e democratici marcatamente occidentali che si incarnano in quel faro di libertà e democrazia che è la repubblica di Taiwan, che da anni subisce pesanti segnali di intimidazione dal continente. In questo periodo stiamo preparando un evento sul Mediterraneo e l’importanza della vicinanza dei paesi europei all’alleanza atlantica.

Di fronte alla pervasività delle autocrazie sul Mediterraneo e sul mercato italiano quanto sono importanti i valori liberali della concorrenza e della difesa della democrazia?

Io credo che tali valori siano fondamentali poiché ci danno la cifra di tutto quello che l’occidente è stato, è  e dovrà essere. La solidarietà europea e la collaborazione con gli alleati atlantici sono fondamentali per la realizzazione dell’orientamento strategico dell’alleanza con il vertice di Madrid, Nato 20-30. Soprattutto in vista di una realizzazione di una difesa europea comune, che sia complementare e non a antagonista alla difesa Nato.

Come valuta lo sviluppo del movimento talebano dalla fine del Novecento a questa rinnovata ascesa con i drammatici fatti afgani?

I talebani di oggi non sono molti diversi dai disastrosi amministratori dell’Afganistan prima dell’intervento statunitense. Ora la comunità internazionale è in una situazione difficilissima perché si trova di fronte alla necessità di aiutare la popolazione in stato di estrema povertà generalizzata, senza però riconoscere l’attuale governo di Kabul, che esprime l’antitesi dei nostri valori. È un esercizio complesso poiché le nostre diplomazie in concerto con il governo statunitense sta cercando un modo per trovare un equilibrio. Però è importante sottolineare che parlare di un ritorno dei talebani è giusto e sbagliato al tempo stesso. Poiché è vero che tutti i talebani sono pashtun, ma non tutti i pashtun sono talebani, ed anzi dietro ad una maschera di unità si nascondono diverse correnti e diversi gruppi tra loro antagonisti.

Cosa ne pensa del silenzio che sta avvolgendo la situazione dei cristiani d’oriente?

La situazione delle comunità cristiane orientali è certamente molto delicata, basti pensare che essi sono ormai dimezzati negli ultimi 50 anni, complice soprattutto la diaspora verso Stati occidentali e America del sud. Occorre sottolineare che ciò è un fatto drammatico, poiché non solo è in quelle terre che il cristianesimo si è affermato, ma soprattutto perché essi si trovano lì da ormai venti secoli. I Cristiani d’oriente non si sono stanziati sulla scia delle crociate, come molti erroneamente affermano, ma sono arabi che da sempre, professano il cristianesimo e sono comunità antichissime che fanno parte indissolubilmente del tessuto sociale di quei paesi. In realtà i cristiani devono evitare di sentirsi una minoranza avulsa ed assediata dalla società, ma una parte di essa, fondamentale, che deve dialogare con le altre confessioni, a patto che venga rispettata e possa vivere in armonia con le altre comunità religiose. Nella mia esperienza da ambasciatore in Libano esistono dei paesi in cui esiste una convivenza felice in cui i cristiani sono una parte costitutiva. Nonostante ci siano purtroppo paesi in cui i gruppi islamici, penso all’Iraq e alle difficoltà dei copti in Egitto, rendono molto difficoltosa la convivenza nonostante la scommessa sulla convivenza sia una sfida importante su cui dobbiamo puntare.

Quali sono i riferimenti culturali di Gabriele Checchia?

Io da liberale mi ritrovo profondamente in due pensatori: Benedetto Croce e Raymond Aron. Soprattutto ad Aron devo la definizione de la Republique imperial, che rappresenta la visione di un polo occidentale che svolga il ruolo di salvaguardare la democrazia nel mondo.

DIALOGO CON DAVIDE QUADRI: L’ATLANTISMO È BASE PER COSTRUIRE IL FUTURO. SALVINI LEADER DI UN CENTRODESTRA VINCENTE

Abbiamo intervistato Davide Quadri, Responsabile nazionale esteri della Lega Giovani, da anni impegnato nella cura dei rapporti internazionali della giovanile, incentrati sulla vicinanza alle grandi democrazie occidentali ed ai valori della libertà individuale. Il nostro dialogo con lui ha spaziato dall’importanza della collocazione geopolitica per l’Italia, al futuro del centrodestra. Inoltre, è stato prezioso ascoltare il racconto delle esperienze che lo hanno reso uno dei giovani maggiormente promettenti del panorama politico nazionale.

Quali sono i tuoi riferimenti culturali ed ideologici?

Innanzitutto grazie mille per l’opportunità che mi avete dato. Sono abbastanza curioso di mio: spazio molto, da un pensiero conservatore cattolico classico, figlio anche della formazione tradizionale datami in famiglia, all’approcciarmi per spirito ribellistico a pensieri controcorrente come quelli del tradizionalismo di stampo euroasiatico, fino alla passione per il pensiero economico libertario di luminari come Von Hayek o Hoppe, scoperti nel mio percorso di studi in Economia. Sono abbastanza poliedrico, cerco sempre di trovare una sintesi mia e di non fermarmi agli slogan.

Come si è svolto il tuo avvicinamento alla Lega Giovani, che ti ha portato poi ricoprire il pregevole ruolo di responsabile esteri?

Mi sono avvicinato alla Lega già nel lontano 2008, all’età di 16 anni, quando con un mio caro amico andai al primo comizio del Capo, Umberto Bossi. Lì qualcosa mi ha folgorato. Ho sentito nascere uno spirito di ribellione verso un sistema che stava cancellando la nostra storia ed identità, in favore di un mondo senza radici. Da quel momento il mio percorso personale e politico è cresciuto tanto. Partendo attivista, sono poi diventato responsabile MGP Varese, sedendo nel direttivo di una sezione che vedeva figure di riferimento come Roberto Maroni, passando per sconfitte cocenti ma formative, come le elezioni comunali di Varese del 2016, fino a ricoprire il ruolo di coordinatore provinciale del Varesotto, assistendo così a tanti successi di squadra, amici e giovani militanti. Sul fronte dei rapporti internazionali, insieme a un ottimo gruppo di amici, abbiamo ereditato il lavoro già svolto prima dall’ora Vice Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Paolo Formentini. Un lavoro cresciuto anche grazie alla visibilità che la Lega ha ottenuto con la segreteria di Matteo Salvini, vero riferimento internazionale per la galassia sovranista e conservatrice, dal Pacifico all’Atlantico.

Quanto è importante riconoscersi nei valori atlantisti e liberali delle grandi democrazie d’occidente? In che modo tali principi si possono trasmettere sempre più alle nuove generazioni?

È fondamentale per me riconoscersi nei valori cardine dell’uomo, della famiglia e delle comunità, per trasformarli in perno del proprio agire politico, soprattutto in questi tempi dove le vere libertà vengono erose tra gli applausi del mainstream. I valori che si trovano tra le due sponde dell’Atlantico sono quelli di una civiltà che ha forgiato il mondo, di cui dobbiamo essere fieri. Tuttavia, per rispetto di questa civiltà è anche doveroso non essere mai acritici, restando fermi rispetto ai fenomeni che ne minano le basi, come la Cancel Culture, le tensioni razziali immotivate e la cultura WOKE. Per dirla in breve mi riconosco molto nell’America che sventola la Bandiera di Gadsden, meno in quella di Hillary Clinton.

Da più di un anno avete instaurato una partnership con la giovanile del Grand Old Party. In che modo è nata questa collaborazione?

La collaborazione con gli Young Republican e con diverse federazioni dei College Republican United sono nate grazie a quel “America First” in cui è impossibile non ritrovarsi, lanciato da Donald Trump annunciando la sua candidatura alle Presidenziali nel 2015, scendendo le scale mobili della Trump Tower. Da lì, le interlocuzioni si sono intesificate molto grazie anche all’ampia comunità italiana che vive da tempo negli States e che rappresenta energia fortissima nella spinta propulsiva del GOP. 

Quali sono i futuri progetti in politica estera della Lega Giovani?

Il nostro sforzo principale ad oggi è quello di fare sintesi, federando le realtà giovanili patriottiche e conservatrici in Europa. Siamo stati a Helsinki, Lisbona, Varsavia e Budapest, come in ogni stato europeo che vede un movimento o un partito a noi affine. Lavoriamo per far crescere questa rete e preparare il risveglio dei popoli europei, al fine di riportare l’Europa centrale nel mondo, più vicina ai suoi cittadini. Parafrasando qualcuno: far tornare grande l’Europa!

Al di là dell’ambito partitico, che interessi e passioni curi nella tua vita?

Per tanti anni ho praticato Judo, da lì è scaturita una grande passione per le arti marziali e gli sport da combattimento. Inoltre, menziono i miei studi in economia ed il metal, da quello mainstream ai generi più hard, ma anche più profondi e particolari.

Come prospetti ed auguri il futuro della coalizione di centrodestra?

Semplicemente una coalizione a guida Salvini, che con la parola d’ordine “Prima l’Italia” continui ad essere protagonista su scala internazionale, senza però cedere alla sirena del mondialismo. Ancorati alle proprie radici ma proiettati nel domani, ripartendo dal tema del federalismo e da uno stato più giusto, sulle tasse come sui valori.

 

ON. ALEX BAZZARO: SERVONO MENO TASSE ED UN CENTRODESTRA LIBERALE, SEMPRE PIÙ UNITO.

L’Onorevole leghista Alex Bazzaro rappresenta per noi un esempio.
Nonostante la giovane età ha già dimostrato esperienza professionale ed amministrativa, oltre ad ammirevole vicinanza alle tematiche liberali e democratiche.
Deputato alla Camera, Consigliere Comunale a Venezia, membro della Fondazione ITALIA-USA, è da anni impegnato nella difesa delle minoranze in ambito estero, con particolare vicinanza al popolo di Taiwan.
Pertanto, aver dialogato con lui sui valori della libertà economica e della democrazia è stato per noi importante e formativo.
Inoltre, condividiamo pienamente la necessità di costruire un centrodestra sempre più ampio ed unito, incentrato su libertà e stabilità politica.

Ritiene che il prolungamento dello stato d’emergenza fino al 31 marzo sia uno strumento utile per contrastare la problematica sanitaria?

La domanda da porsi è perché prorogare lo stato di emergenza? Siamo tra i Paesi più vaccinati d’Europa, abbiamo un green pass che è stato ulteriormente esteso ed  ora prorogato fino al 31 marzo. Abbiamo conculcato i diritti civili di milioni di italiani proprio per chiudere la fase emergenziale. Serviva per la struttura del Generale Figliuolo? No. Serviva per gli Hub vaccinali? Nemmeno. I provvedimenti urgenti sono sempre stati presi per Decreto Legge. Fatico a capire la ratio. Inoltre questa tensione, tenuta sempre alta, non aiuta la ripartenza del Paese, né in senso economico, né nel ricucire lo strappo sociale. Perché la ricerca di capri espiatori, dai no vax ai no booster, permane e cresce. Abbiamo aperto, nella stessa nuova ordinanza, un conflitto con l’Europa sul tema dei tamponi per chi arriva in Italia. Ricordo che, fino a qualche settimana fa, ci veniva detto che i tamponi non erano affidabili e sono quindi stati eliminati dai metodi per ottenere il green pass rafforzato.

In che modo prospetta la partita politica dell’elezione del Capo dello Stato?

Ritengo che molti commentatori dimentichino, più o meno consapevolmente, che a votare alla fine saranno tutti i Parlamentari ed i delegati regionali, a scrutinio segreto. Siamo all’ultimo anno di legislatura, con dei rapporti di forza, in alcuni casi, dimezzati per alcune forze politiche, e con un taglio del 30% degli eletti. Il rischio di franchi tiratori per motivi di “sopravvivenza personale” è assai elevato. Penso sia meritoria in tal senso la scelta di Matteo Salvini di contattare ogni leader di partito per ragionare senza paletti. Il centrodestra ha per la prima volta la possibilità di dire la propria in termini di voti. Inaccettabile è invece che, chi nei numeri parte dietro e non ha un candidato in grado di essere trasversale, ponga dei veti sentendosi depositario a priori della scelta per il prossimo Presidente. In particolar modo Enrico Letta. Il prossimo Presidente sarà tale per tre legislature: questa, la prossima e parte della successiva e credo che nessuno più, anche tra i non addetti ai lavori, non ne capisca il ruolo politico fondamentale.

Di che misure economiche e sociali avrebbe bisogno l’Italia, al fine di ottenere una piena ripartenza?

Tre misure: taglio delle tasse, taglio delle tasse e soprattutto, taglio delle tasse.
Vige in molte forze politiche una mentalità socialista dove imprenditori e liberi professionisti vengono visti come nemici o peggio evasori, da colpire a suon di imposte. Un centrodestra moderno deve partire dall’idea di non aumentare mai le imposte e di bocciare ogni legge che possa andare in quella direzione.
Il lavoro non si crea per decreto, i redditi di aiuto possono andare bene per limitate fasce di cittadini ma l’unico modo per liberare energie è quello di permettere a chi fa impresa di assumere. Libero lavoro in libero mercato significa servizi migliori e paghe migliori.

Sarebbe favorevole ad una maggiore unità delle tre forze di centrodestra, nell’ottica della creazione futura di un partito unico?

Faccio mie le parole che ho apprezzato e letto nel libro “ Per una nuova destra” dell’amico liberale Capezzone.
L’obiettivo di una forza di destra liberale deve partire dalla base, non da una competizione interna che rischia di danneggiarci e confondere l’elettorato. L’esempio delle primarie aperte per regione metterebbe il cittadino al centro sul modello degli Usa, dando libero sfogo ad idee ed energie. Poi, tutti uniti a fianco del leader vincente.
I progetti di unità possono esserci solo su spinta della base. Quando sono stati esclusivamente verticistici, si sono rivelati fallimentari. Matteo Salvini ha proposto a Forza Italia più volte di ragionare su temi comuni ed a tutta la coalizione di farlo, a partire dalla fondamentale partita del Capo dello Stato. Spesso alcune posizioni degli alleati, che sembrano più vicine alla sinistra che a noi, lasciano perplessi.

In che modo sarebbe per lei possibile avvicinare le nuove generazioni alla politica?

Partecipazione attiva, la Lega su questo può fare scuola. Abbiamo un movimento giovanile che ha portato in Parlamento, già dalla scorsa legislatura, numerosi eletti under 35, me compreso. Dando spazio, non regalando posti ma possibilità di dibattito e attiva presenza ai giovani nelle sezioni e nelle liste elettorali.
L’esperienza amministrativa nel proprio comune era e rimane, come stato anche per me, la base formativa per capire e soprattutto mettersi alla prova.
La politica vista dal basso, fatta di capacità ma anche di gavetta.
I partiti che hanno questa componente nel loro dna non faticano mai a trovare nuove figure, mentre gli altri sono costretti a dipanarsi tra scelte improvvisate o figure esterne.
Ovvio che ci debba essere la voglia.
Un gazebo, un mercato dove distribuire volantini, così come un attacchinaggio notturno di manifesti sono percorsi di crescita tanto quanto il dibattito e la lettura di un bilancio comunale.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Ho avuto l’onore di fare il Deputato della Repubblica a 30 anni e sono tornato ad essere amministratore nella mia città, Venezia, come Consigliere Comunale. Voglio finire al meglio questo mandato a Roma cercando soprattutto di dare risposte al mio territorio.
Sono un liberale e un libertario convinto. L’unica nota positiva della drammatica situazione degli ultimi due anni è stata quella di vedere fiorire tante realtà, spesso di giovani, interessate a questi temi.
Il liberale è un po’ come il medico, non ci va nessuno finché non ci sono problemi.
Mi piacerebbe lavorare attivamente con questi Think tank, seppur embrionali, perché siano di spinta, stimolo e consulto per amministratori e futuri eletti in Parlamento.
Mai come ora c’è bisogno di idee che mettano al centro l’individuo ed i suoi diritti inalienabili.