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FLORIDI:”BISOGNA COSTRUIRE UNA NUOVA SOVRANITÀ DIGITALE”

FLORIDI: “BISOGNA COSTRUIRE UNA NUOVA SOVRANITÀ DIGITALE”

Di Francesco Subiaco

Reale e virtuale, materiale e immateriale, analogico e digitale non sono due opposti inconciliabili, bensì due poli che convergono tra loro. Per tale motivazione nella civiltà del codice l’uomo non è più l’abitante di un ordine terrestre, ma l’utente che vive in una realtà immersiva, in cui le informazioni e le logiche della realtà virtuale compenetrano e invadono quelle della vita analogica. Per tale motivazione non esiste più, nell’epoca dell’infosfera una distinzione tra vita online e vita offline, ma solo una sintesi, una sovrapposizione ed indicazione tra questi due apparenti opposti, che il Professor Luciano Floridi ha saputo magistralmente sintetizzare nel concetto di “onlife”. L’uomo utente delle “repubbliche digitali”, non è solo il cittadino, l’uomo, l’individuo, ma è soprattutto un organismo informativo che interagisce, si informa e si invera nella ragnatela artificiale degli scambi di dati dell’infosfera. In questo contesto il cittadino viene sostituito dal follower, il cliente dall’utente e in questo contesto l’uomo è assoggettato alle responsabilità e influenze di una infosfera non più governata dagli stati, ma da grandi aziende-stato. Come reagire di fronte alla necessità di un nuovo umanesimo digitale? Per parlare di questi temi abbiamo intervistato il Professor Luciano Floridi tra le voci più autorevoli della filosofia contemporanea, dal 2013 professore ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Oxford Internet Institute della Oxford University, dove dal 2017 dirige il Digital Ethics Lab, e chairman del Data Ethics Group dell’Alan Turing Institute, che nei suo ultimi “Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide” e “Pensare l’infosfera” scrive parole definitive sul tema del rapporto tra filosofia e digitale.


Professor Floridi come l’infosfera ha cambiato il mondo post industriale dal punto di vista economico, sociale e filosofico?
Le trasformazioni sono state tantissime ed hanno portato a cambiamenti in tutti gli ambiti sociali, dall’economia alla politica, dall’istruzione alla cultura. Soprattutto dal punto di vista economico-politico è avvenuta in questi anni una profonda trasformazione della gestione del potere rispetto al passato. Oggi siamo, infatti, abituati a pensare, a grandi corporate, come Google, Microsoft, Apple e Meta non più solo come a delle semplici aziende, ma come a degli stati il cui peso e la cui influenza scavalcano i confini delle imprese convenzionali. Hanno poteri decisionali e di influenza enormi, coinvolgono nei loro processi miliardi di cittadini ogni giorno e le loro decisioni hanno un impatto sulla geopolitica, sulla società e sull’economia che non ha precedenti rispetto al passato. L’infosfera, quindi, non è dominata da grandi stati, ma da grandi aziende che hanno delle responsabilità cruciali per il destino di tutti noi e che ci espongono (aldilà di una valutazione sulla loro gestione di tale responsabilità) a grandi rischi sociali, politici ed economici. Per tale motivazione si dovrebbero riappropriare di queste responsabilità i contesti sociopolitici al fine di orientare le sorti del cambiamento verso l’interesse comune. In questo scenario, infatti, le grandi corporate hanno un peso politico ed un potere decisionale che va oltre le competenze dei singoli stati e per tale motivazione dobbiamo recuperare un approccio sociopolitico per ripensare l’infosfera. Purtroppo veniamo da una “strada sbagliata”, in cui si è creduto nel primato dell’economia rispetto alla politica, e dell’economia aziendale rispetto alla politica economica. Il mercato dovrebbe creare la ricchezza, ma la politica dovrebbe vigilare su come essa viene creata. Invece siamo in un sistema economico in cui il peso del mondo aziendale è preponderante rispetto a quello sociopolitico. Dovremmo, quindi, costruire (non riappropriarci, perché non la abbiamo mai avuta) una nuova sovranità digitale che sia fondata su una visione sociopolitica e non economico-commerciale.

-Cosa intende con la definizione del concetto di “onlife” e come la comunicazione perpetua ha cambiato la vita sociale del cittadino globale?
Semplificando al massimo le trasformazioni ben più complesse che hanno riguardato l’infosfera, posso affermare che siamo passati da una cognizione del cittadino, principalmente novecentesca, che vede in esso chi vota e chi sceglie, un customer (cliente) in sostanza, ad una visione contemporanea che lo concepisce, invece, come un follower (un seguace) che non sceglie e non decide, ma segue ed utilizza quello che gli viene offerto, diventando non più un cliente, bensì un utente. In questa realtà immersiva che mischia analogico e digitale, online e offline, noi siamo sempre di più utenti che vivono in maniera ininterrotta la confusione con questi due mondi diventandone parte integrante della sfera virtuale e di quella reale. Per riassumere tale concetto utilizzo il termine “onlife”, che in esso esprime non solo questa condizione, ma anche il passaggio netto avvenuto nella nostra società da cittadino come cliente a cittadino come utente e follower, che non decide o sceglie più, ma segue la realtà in cui è immerso come un tifoso calcistico, in maniera passiva ed indipendentemente da ciò che accade tra le forze politiche e dalle forze economiche. Gli utenti, inoltre, hanno diritti diversi e molto più ristretti di quelli dei clienti che cedendo i loro dati personali e la loro capacità di scelta subiscono passivamente i servizi offerti senza avere su di essi voce in capitolo. Si tratta di una metamorfosi molto pericolosa poiché deresponsabilizza sia di chi sceglie, il consumatore, si di chi offre, il produttore. Tale logica andrebbe completamente riformata e rivista, e la consapevolezza di tale condizione sarebbe già un buon punto di partenza in questa direzione.

-Oggi gli stati sono subordinati o compenetrati dal potere delle corporate?
In alcuni contesti è difficile parlare di sovranità nazionale, di fronte allo strapotere delle grandi corporate. Però non dobbiamo cadere nell’errore inverso. L’alternativa allo stato vittima della predazione aziendale non è lo stato imprenditore o lo stato ipertrofico, bensì un ruolo dell’amministrazione statale che fa da arbitro, da controllore, da gestore attraverso una maggiore coscienza ed efficienza dei propri poteri. Lo stato dovrebbe investire sulle sue competenze per riuscire a separare quello che è il terreno pubblico da quello che è il terreno privato. Se questa ripartizione avvenisse avremmo una gestione efficiente e funzionale dei problemi del 21° secolo. Non bisogna ricadere in errori novecenteschi. Lo stato-azienda crea grandi disastri, le aziende-stato creano grandi disordini e grandi ingiustizie. Lo stato deve distribuire la ricchezza, il mercato deve costruirla, quando questa divisione non viene rispettata le conseguenze sono sempre spiacevoli.

Oggi nella civiltà del codice è necessario trovare una sintesi tra sviluppo tecnico e valori umanistici?
Penso di sì però solo se intendiamo tali valori in una ottica nuova, aggiornati ed adattati rispetto alle sfide del presente. Non bisogna guardare al passato o recuperare soluzioni e concetti già provati e affrontati. Bisogna costruire, adottare e pensare per la prima volta nuovi valori ed idee. Non abbiamo mai perso, ad esempio, la nostra sovranità digitale perché in realtà non la abbiamo mai avuta. I valori umanistici andrebbero rivisti, adattati e aggiornati nel XXI secolo e non trasposti dal loro contesto di origine nel nostro tempo. L’umanesimo ad esempio è privo della componente ambientalista, giustamente anche perché appartiene ad un altro periodo, incentrandosi su una visione esclusivamente antropocentrica. Una visione che è slegata da due temi fondamentali che, invece, di fronte alle sfide del presente dovrebbero essere integrati ad essa: l’ambiente e la comunità. Recuperare l’umanesimo non deve essere un passo indietro, ma un passo avanti. Bisogna aggiornare l’umanesimo rispetto alla tematica ambientale e quella sociale perché sennò si rischia di cadere negli stessi errori del passato.

-Quali sono i riferimenti culturali di Luciano Floridi?
Per la filosofia direi Platone, Cartesio, Kant. In economia John M. Keynes, perché riuscì a rivedere il mondo in una ottica controintuitiva portando l’economia dalla sua fase newtoniana a quella einsteniana. In ambito politico forse direi Tony Blair, con cui non sono d’accordo su alcuni temi, ma penso che prima di alcuni grandi errori ha avuto delle intuizioni geniali che in politica hanno fatto la differenza. Come scrittori invece Tomasi di Lampedusa e Manzoni perché leggere i loro libri vuol dire capire l’Italia per sempre.