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“Essere sovrani in un’era di rovine”: Emanuele Ricucci sulla follia contemporanea

“Questo libro non venderà nulla, perché non contiene soluzioni e il suo autore è troppo sincero.” Emanuele Ricucci è un giornalista, scrittore, pensatore dall’irriverenza per nulla semplicistica ma piuttosto un autore che, attraverso l’aggrovigliamento delle parole, ora su una testata giornalistica come Libero o Il Giornale, ora su un saggio o un racconto, s’inserisce nel vicolo buio delle questioni umane con picchi di grande ironia nelle funeree sorti. La grande forza racchiusa nel suo ultimo libro “Caduta matti. Racconti e mostri della follia contemporanea” sta proprio nel sano gusto del paradosso, secondo il quale si possano svelare gli inganni del nostro tempo. Allievo di Marcello Veneziani, si è dimostrato nel tempo un’importante firma, per poi divenire assistente parlamentare del guru dei politicamente scorretti, sua maestà Vittorio Sgarbi.  

Partendo da un tema piuttosto caldo, quello dell’inclusività in Europa, come credi si possa rivalutare la nostra cultura e le nostre tradizioni senza essere preda del fanatismo progressista?

Partirei da un discorso chiaro che cercai di inquadrare tra le righe de “Il Giornale” e “Libero”, che poi ho riportato in chiave saggistica nel mio penultimo libro “Contro la folla. Il tempo degli uomini sovrani”, un lavoro dello scorso anno che ha fatto un grande clamore. L’idea è che senza uomini non vi è alcuna direzione e questa battaglia credo fortemente che sia, in questa precisa fetta storica, quella più importante, contro l’autoannullamento degli uomini. Bisogna lottare contro l’estinzione dell’integrità degli individui, da ciò nasce l’idea che suggerivo nel libro, quella dei cosiddetti uomini sovrani, coloro che coltivano sé stessi e che tornano a sviluppare un pensiero critico e a ragionare sulle cose. Gli uomini sovrani non sono la massa, non rappresentano le piccole masse isolate di cui hanno trattato Agamben o addirittura John Donne nel ‘500 in “Nessun uomo è un’isola” ma l’idea che ad ogni uomo possa corrispondere un presidio di integrità, l’uomo intiero dannunziano, o semplicemente una figura che sappia rimanere lucido unendo studi, riflessioni, dubbi, intuizioni, letture, per coltivare sé stesso. Da questo principio credo sia possibile riscoprire le comunità di uomini non solo come finanziamento pubblico per quanto riguarda la simpaticissima festa tradizionale di Bolzano o quella del paesino tedesco, sticazzi! La questione è ben più piccante perché dobbiamo riscoprire l’integrità e quindi gli uomini sovrani che costituiscono una traduzione di comunità adeguata ad oggi e che possa dialogare con la tecnologia o quella che alcuni chiamano modernità, però che torni a dare un significato non solo transitorio e non solo legato al consenso. Così vale per le identità nazionali e anche per il senso di patria, penso all’Italia,  che dev’essere proseguito perché non è bastato fare la grande guerra del Risorgimento di cui non godiamo nemmeno perché ci vergogniamo, alla fine l’unica vittoria che sembra essere quella possibile senza vergognarsene è quella nata dalla resistenza. Non a caso il mio maestro Marcello Veneziani ha sempre detto che per alcuni è come se l’Italia stessa fosse nata dalla resistenza partigiana.

Quali sono secondo te le maggiori frequenze su cui si insedia il politicamente corretto?

Guarda, io insisto sempre sugli uomini come ti dicevo prima, però la differenza sta nel fatto che il mio studio antropologico non è legato a quella visione radical secca, radical chic che hanno praticato molti compagni ma piuttosto una seria riflessione sulla figura umana, come hanno fatto enormi figure come Ortega y Gasset, Céline, Le Bon, Di Gregorio. Adesso, in concomitanza con le nuove visioni di impostazione del mondo da un punto di vista economico, è normale che vada mondato l’essere umano di ogni dimensione di profondità e dunque tutto ciò che possa legarlo ai propri ricordi, alle tradizioni o alle parte più interiore legata alla famiglia e a all’identità, sradicandolo così della propria memoria. Non è un caso la condanna all’indifferenza dei momenti di ricordo nazionale, penso ad esempio al centenario della grande guerra che è stato totalmente abbandonato, dimenticato da coloro che invece avrebbero dovuto evidenziarne il valore storico. Quindi il politicamente corretto s’inserisce sull’isteria del voler creare l’uomo sismico che riesca a tremare con ogni input, proprio come quelli che si sono palesati col cambiamento della politica che è divenuta una S.p.a. un’azienda di stronzi e miracolati in tantissimi ambiti, proprio in virtù del fatto che  vi è il bisogno di persone incapaci di accendere un pensiero critico quando vuole o ritiene. Non dimentichiamo l’ambito culturale. C’è Eugenio Capozzi, di cui scrissi un bel libro e un articolo su una sua opera per “Libero” che portava avanti la tesi su cui il politicamente corretto è figlio del comunismo in qualche modo, o peggio ancora del post-comunismo in realtà, quello sessantottino. Egli scriveva che la maggior parte di costoro non sono altro che aborti umani, mai nati non solo come uomini ma figuriamoci come politici, tipo Di Maio. Ci vorrebbe, dinanzi a tali figure, il cinismo di Carmelo Bene. Per questo la cosa su cui giocano di più è la sismicità, ossia creare la fragilità nelle persone in modo da poter coltivare su terreni favorevoli estinguendo così tutto ciò che si ponga come alternativo all’imposto. In conclusione, se nel ‘900 ideologico l’uomo era cosparso o circondato da idee che divenivano anche ideologia, da culti religiosi, racconti morali, gli attacchi arrivavano dalla politica o dai ceti dominanti nei ranghi della democrazia. Oggi col Kazzo che si ripeta ciò, perché questa è davvero l’era post-ideologica  e le persone purtroppo tendono a muoversi seguendo tutto ciò che li possa condurre ad una gratificazione istantanea e così, voterebbero, nell’era della sondocrazia, un neo-reale che sostituisce il reale fisico ossia chiunque riesca a garantire le loro necessità di sopravvivenza. Quindi ecco che in quest’era priva di cuscini ideologici, etici o religiosi si manifestano stronzate come le critiche alla parola Natale o al nome Maria da parte dell’UE.

In qualità di giornalista, come descriveresti gli ultimi accadimenti legati all’emergenza covid? In particolare sulla logica green pass?

Parto col dire che sono un free vax, nel senso che per me se vuoi vaccinarti fallo ma credo anche che si possa essere liberi di fare il contrario. Mi definisco semmai un  no-green pass, perché non sono un coglione e sono stufo della narrazione scanziana secondo cui io debba per forza essere un analfabeta del nord-est italiano che al massimo legge le istruzioni del detersivo quando sta al bagno e non capisce neanche quando gli parla la madre, beh direi proprio che non è così. Poi mi sono anche rotto di categorizzare le persone, basta, abbiamo creato questo zoo che non dico Orwell o Huxley, ma nemmeno nostro signore Gesù Cristo avrebbe mai pensato, anzi. Dall’inizio del covid è stata fatta una narrazione volutamente terroristica, questo fa capire qual è la meta a cui ci stiamo avvicinando, cittadini de jure e sudditi de facto, perché è questa la verità. Il terrorismo che viene fatto è insopportabile soprattutto perché spesso esula dalla realtà, dalla razionalità. Calcola che io neanche parlo di dittatura sanitaria, nonostante nei modi ricorda le visioni dittatoriali ma mancano ancora le armi, ma piuttosto preferisco parlare di grandissima offesa all’intelligenza e ci tengo a precisare che questa narrazione poteva essere anche capita all’inizio in piccola parte, a febbraio-marzo 2020, ma poi è stata utilizzata senza alcun ritegno, soltanto per una ricerca dei consensi e stabilirne il bene e il male in base a chi afferma un’idea e a coloro che la seguono. Io penso che essere stato in mano, non dico neanche a Conte ma, a Casalino è qualcosa di riluttante. Credo che noi, la competizione culturale alla sinistra, per fare davvero controinformazione dobbiamo smetterla di mandare a memoria Céline, Junger, Hidegger, Orwell, Proust ma dobbiamo invece tradurli, altrimenti non esistiamo. Dopotutto, di un convegno sui peli del culo  di Martin Hidegger con sedici persone che non hanno capito un cazzo, cosa ce ne facciamo? Se il gelataio di Genova o il meccanico di  Viterbo non capisce ciò che noi stiamo affermando vuol dire che non siamo in grado di tradurre quel pensiero e ciò decreta un fallimento. Credo che il malessere che molti avvertono sia vicino a quello di Drieu La Rochelle o di Céline ed è quel sentimento che dobbiamo tradurre, perché è artistico. In fondo l’arte non è solo l’astratto o il figurativo ma, come direbbe lo Sgarbi-Leonardo o il Leonardo-Sgarbi, è la prosecuzione del creato…