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Tentazione bipartitismo: perché Meloni e Letta dovrebbero andare all-in

Le difficoltà dei rispettivi alleati offrono a Pd e Fratelli d’Italia l’occasione di coltivare una vocazione maggioritaria e puntare ad un assetto bipartitico

– Tommaso Alessandro De Filippo (articolo ripreso da Atlantico Quotidiano)

Le elezioni amministrative hanno evidenziato una definitiva inversione dei rapporti di forza interni alle coalizioni. Il centrosinistra si è di fatto ridotto esclusivamente al Partito democratico, che resiste ma non splende elettoralmente e non trae alcun vantaggio dall’alleanza con un Movimento 5 Stelle ormai al canto del cigno.

Nel centrodestra si afferma la leadership di Giorgia Meloni, che scavalca la Lega anche nel profondo nord e guadagna il diritto di puntare alla conquista di Palazzo Chigi da candidata premier dell’intera coalizione.

Cosa hanno in comune Letta e Meloni

Tuttavia, è necessario osservare alcune delle tessere che andranno a delineare il nostro futuro mosaico politico. Fratelli d’Italia e Partito democratico, divisi praticamente su tutto, sono però attualmente le due maggiori forze politiche che senza esitazioni hanno adottato una linea euro-atlantica nella crisi ucraina.

Contrariamente ai rispettivi alleati, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, impegnati a distanziarsi dalle posizioni angloamericane e Nato sulla guerra in Ucraina, nel tentativo disperato di risalire nei sondaggi, i leader di FdI e Pd hanno dimostrato di saper dare garanzie oltreoceano nel caso si trovassero ad occupare i ruoli chiave delle nostre istituzioni nella prossima legislatura.

Che senso ha dunque per Letta e Meloni perseverare con queste alleanze?

Pd e FdI a vocazione maggioritaria

Dal punto di vista del Nazareno, perseverare nell’alleanza con i 5 Stelle risponde allo storico timore di presidiare il fianco sinistro, secondo il motto “nessun nemico a sinistra”, ma l’ipotesi del “campo largo” che esce sostanzialmente bocciata dalle urne, e il quasi totale prosciugamento della forza guidata da Conte, rilanciano la vocazione maggioritaria del Pd.

Sul versante di centrodestra, Salvini e Berlusconi sembrano intenzionati ad unire le forze in vista delle politiche, senza però tener conto del fatto che anche nel caso dovessero raccogliere più consensi della Meloni, difficilmente il leader del Carroccio vedrebbe aprirsi le porte di Palazzo Chigi, visti i suoi errori di posizionamento europeo e internazionale.

L’illusione di Salvini di poter giocare un ruolo da mediatore parallelo a quello del governo italiano in questa crisi ha rianimato i sentimenti filorussi di parte della Lega, temporaneamente sopiti dopo la vicenda dell’Hotel Metropol, che condizionò in parte la crisi di governo dell’estate 2019.

L’indebolimento, e il lento disgregamento, di Forza Italia e Lega, pone Fratelli d’Italia davanti alla prospettiva di progetto politico unico, quel “Partito Repubblicano Italiano”, sulle orme del Gran Old Party, di cui pure aveva parlato in tempi migliori lo stesso Salvini.

Dunque, sia Fratelli d’Italia che il Pd avrebbero interesse – ma chissà se coglieranno l’occasione – a cercare un esito elettorale maggioritario – favorito tra l’altro dal taglio del numero dei parlamentari del 2020 – tale da impedire la necessità di una riedizione della maggioranza che ha sostenuto il governo Draghi, con o senza una figura simile alla guida.

In tal caso, entrambi i partiti, ciascuno nella sua metà campo, avrà l’occasione di completare il percorso verso un assetto bipartitico del sistema politico.

 

 

DIALOGO CON ADOLFO URSO, TRA QUESTIONE UCRAINA E RITORNO DELLA POLITICA DI POTENZA

– Francesco Subiaco, Francesco Latilla

Dalla questione ucraina al ritorno della politica di potenza, passando per la necessità di ripensare la questione energetica e la difesa in un’ottica nazionale ed europea in complementarità con la Nato. Il presente pone la politica italiana di fronte a delle sfide nuove, agli innovativi capovolgimenti che stanno ridisegnando la scacchiera internazionale del campo di battaglia. Di fronte a questi scenari la politica non può scindersi dalla cultura, dalla necessità di una organizzazione e dal dialogo per creare un nuovo scenario comune. Questo è lo scopo della fondazione Fare Futuro, che si propone di diventare uno dei principali pensatoi dello scenario moderato, attraverso un dialogo con il mondo angloatlantico e la necessità di una dialettica plurale e lucida sui cambiamenti del presente. Per parlare di questi temi abbiamo intervistato il Sen. Adolfo Urso, presidente della fondazione FareFuturo e del Copasir storico esponente di una destra atlantista e moderna aperta alle sfide del tempo, che ha sempre portato avanti prima in Alleanza nazionale, poi in Fratelli d’Italia.

In questi giorni si è svolto il convegno della Fondazione FareFuturo. Quali sono i temi principali che avete trattato?

Il 14 e 15 marzo la Fondazione FareFuturo, insieme all’International Republican Institute e al Comitato Atlantico Italiano, ha organizzato un convegno sul tema “L’Alleanza atlantica, la crisi ucraina e la sicurezza Euro mediterranea”. Il meeting si è aperto pubblicamente alla Sala Nassirya del Senato della Repubblica, con gli interventi del direttore per la Strategia Transatlantica dell’IRI Jan Surotchak, del presidente del Comitato Atlantico Italiano Fabrizio Luciolli e con il saluto registrato del Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Luigi Di Maio e del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini. I lavori sono poi proseguiti a porte chiuse, con una serie di approfondimenti che hanno visto come relatori deputati nazionali ed esteri, deputati europei, presidenti di Regione e interlocutori istituzionali.

Il meeting ha voluto rappresentare un focus sulle prospettive per l’Alleanza atlantica alla luce degli accadimenti internazionali di queste ultime settimane e della guerra tra la Russia e l’Ucraina, ma anche interrogarsi sul tema centrale della sicurezza nel Mediterraneo allargato. Una priorità quanto mai attuale per l’Italia, anche sul fronte della sicurezza energetica, rispetto alle nuove sfide della competizione globale. Proprio il Mediterraneo, al netto della emergenza della guerra in corso in Ucraina, rappresenta il terreno di confronto tra potenze autoritarie come la Russia e la Cina, che stanno estendendo la loro influenza su vasti territori, ricchi di risorse energetiche e di terre rare indispensabili per realizzare la transizione verde in cui siamo tutti impegnati, e le democrazie occidentali. E il nostro Paese all’interno di questo scenario, insieme agli altri partner europei e sotto l’egida della Nato, dovrà svolgere un ruolo sempre più importante e decisivo a difesa della pace e della stabilizzazione di tutta quest’area, che va dal Corno d’Africa alla Libia fino alla zona subsahariana del Sahel.

Cosa ne pensa della questione ucraina e quale ruolo dovrebbe avere l’Italia nella scacchiera internazionale?

 L’Ucraina è uno Stato sovrano, riconosciuto dalla comunità internazionale, che è stato oggetto da parte della Russia di un’aggressione inaccettabile. Va riconosciuto il valore della resistenza eroica del popolo ucraino, che ci ricorda quanto la libertà non debba mai essere data per scontata, e richiama ai propri doveri un’Europa talvolta distratta, anche sul fronte della necessità di potenziare una difesa comune con una nuova strategia e investimenti mirati che non possono più aspettare. L’Italia sta svolgendo appieno il proprio ruolo nella scacchiera internazionale, che è quello di un partner di primaria importanza nello scenario europeo e atlantico. Fondamentale in quest’ottica, è stata la approvazione da parte del Parlamento della mozione unitaria sulla guerra tra Russia e Ucraina, che a differenza di quanto spesso avvenuto in passato, ha mostrato un Paese unito, capace di superare le divisioni della politica interna nella difesa dell’interesse e della sicurezza nazionali.

Come pensa procederà il conflitto sul fronte ucraino e quale ruolo svolgerà la Cina in questa controversia?

Ovviamente, l’unica strada per risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina rimane quella diplomatica, alla quale abbiamo il dovere morale di lavorare incessantemente. Detto questo, come anche evidenziato dal premier Draghi nel suo discorso al Parlamento, la solidarietà italiana ed europea in questi momenti non può essere solo di facciata. Alle dichiarazioni di intento vanno fatte seguire azioni concrete, che facciano capire alla Russia come l’occidente non intenda tollerare l’aggressione in corso. Da qui il sistema delle sanzioni, e il sostegno concreto alla resistenza ucraina, sul quale si sono espressi favorevolmente anche Stati storicamente neutrali come la Svizzera. La Cina da parte sua ha una grande occasione, quella di svolgere un ruolo diplomatico e di dissuasione nei confronti di Putin, accelerando quanto più possibile la fine di un conflitto insensato che rischia di diventare ogni giorno più crudele, con migliaia di morti lasciati sul campo, tra i quali anche tanti civili innocenti, compresi donne e bambini.

IL MEDITERRANEO E’ IL CAMPO DI BATTAGLIA TRA AUTOCRAZIE E DEMOCRAZIE OCCIDENTALI, CHE RUOLO SVOLGE IN QUESTO CONTESTO L’ITALIA?

Nella Relazione annuale sull’attività del Copasir, presentata lo scorso 9 febbraio e – caso unico finora – illustrata e discussa in Senato il 15 marzo, l’area del Mediterraneo allargato è stata definita ‘Priorità nazionale’. Dal Corno d’Africa alla Libia, passando per il Libano, la Tunisia, l’area sub sahariana del Sahel, così come in Iraq e in Siria, e nei Balcani, l’Italia è presente con uomini e mezzi, a sostegno delle principali missioni internazionali. Ma la battaglia per la supremazia globale tra le democrazie occidentali e le potenze autocratiche, come la Russia e la Cina, si gioca anche e soprattutto sul fronte della sfida per il controllo dell’energia e delle risorse minerarie necessarie per portare a termine la transizione ecologica. Sarà necessaria una sempre maggiore sinergia europea e occidentale che consideri di nuovo il Mediterraneo allargato come centro nevralgico della politica mondiale, e in questa ottica l’Italia, per tradizione e posizione geografica, dovrà certamente avere un ruolo da protagonista.

In un suo precedente intervento al Copasir aveva precedentemente anticipato l’offensiva russa e il rischio di una influenza russa nel nostro paese. Può spiegarci meglio?

Avevamo descritto la postura aggressiva della Russia, anche rispetto alla politica energetica, e alle mire espansioniste nel medio oriente e in diversi territori dell’Africa. Così come avevamo messo in guardia il Parlamento, circa i rischi elevati di attacchi cyber, non soltanto di origine terrorista ma anche di possibile matrice statuale. E purtroppo, eravamo stati buoni profeti. Nella relazione annuale del Copasir, si legge come “L’attivismo della Russia si rivolge soprattutto all’acquisizione di informazioni di carattere politico-strategico, tecnologico e militare. Oggetto di particolare interesse sono i processi decisionali nei vari settori dell’azione politica tra cui gli affari esteri e quelli interni, la politica energetica, la politica economica e le dialettiche interne alla NATO e all’UE. Le attività portate avanti in questi ambiti sono solitamente negabili e difficilmente attribuibili”.

In un’ottica mediterranea allargata, “La Russia, considerata la principale minaccia verso Est, ha intrapreso ormai da qualche anno diverse iniziative assertive da Sud: una presenza con forze navali nel Mediterraneo; una presenza con truppe e l’occupazione di basi in Siria; interventi in Libia, Repubblica Centrafricana, Mali di forze militari proprie o ad esse collegate, come la compagnia Wagner”. L’allarme evidentemente era stato lanciato in tempo.

Quanto sta accadendo ci fa capire inoltre quanto importante sia la sicurezza della Repubblica e quanto ciò debba essere considerato in ogni decisione che prendiamo, anche quando affrontiamo i temi dell’energia o dell’economia digitale, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, dello spazio come dell’acciaio, degli asset infrastrutturali come delle filiere industriali, ben sapendo che i nostri avversari sistemici, cioè i sistemi autoritari, li utilizzano appieno nel loro confronto con le democrazie occidentali. Tutto questo fa parte di quello che viene chiamato guerra ibrida. A tal proposito, abbiamo evidenziato la necessità di disporre di un’intelligence economica al servizio del sistema Italia, che sia proattiva a tutela della scienza e della tecnologia e degli asset produttivi del Paese.

Di fronte alle sfide energetiche proposte da un affrancamento dalla Russia, come può il nostro paese risolvere il problema dell’autosufficienza?

L’Italia importa il 95% del gas che utilizza, e di questo, il 42% proviene dalla Russia. E’ chiaro che le sanzioni per il nostro sistema produttivo, ma anche per le famiglie italiane, rappresentano un grande sacrificio. Sacrificio, tuttavia, che viene richiesto e condiviso sul presupposto più importante, la difesa della libertà, del nostro modello di democrazia occidentale e del principio di autodeterminazione dei Popoli. Paradossalmente, se da questo momento difficilissimo vogliamo trarre un insegnamento positivo, questo si può tradurre nella necessità, ormai chiara a tutti, di accelerare un processo di diversificazione nelle forniture energetiche del Paese, e al contempo di potenziamento della nostra autonomia energetica. Anche su questi aspetti, il Copasir era recentemente intervenuto, prima dello scoppio del conflitto, con la Relazione del 13 gennaio sulla sicurezza energetica nella attuale fase di transizione ecologica. Lanciando l’allarme, ma individuando anche possibili soluzioni, da proporre al Governo e al Parlamento. Ad esempio, con un migliore sfruttamento e una revisione del sistema delle concessioni per i bacini idroelettrici, con ulteriori investimenti sul solare e sull’eolico, ma anche prevedendo il ricorso ai poteri sostitutivi dello Stato, in caso di inerzia degli Enti locali. Il gas naturale sembra poi rappresentare una risorsa irrinunciabile nel breve-medio termine, in attesa che possa completarsi la transizione energetica. Anche allo scopo di invertire il dato relativo all’aumento del 250 percento della spesa delle famiglie per il gas naturale, occorrerebbe valutare l’ipotesi di incrementare l’estrazione di gas dai giacimenti italiani, riducendo allo stesso tempo gli acquisti dall’estero in modo da mantenere costante il volume dei consumi. Si tratterebbe di sfruttare più efficacemente i giacimenti già attivi, in modo da raddoppiare la quota nazionale da poco più di quattro a circa nove miliardi di metri cubi all’anno.

Con la crisi del populismo ci si è risvegliati in una nuova Italia che fatica a riformulare gli assetti ideologici. Da dove devono ricominciare i partiti per affrontare le sfide del futuro?

Più che di crisi del populismo, parlerei di crisi della politica. Che troppo spesso ha abdicato al suo ruolo, rinunciando ad individuare una strada maestra per riportare in alto il nostro Paese. Bisogna distinguere, come da sempre avviene ad esempio nelle democrazie anglosassoni, tra le divisioni nella politica interna, che giustamente evidenziano le diverse sensibilità politiche sui temi più disparati, da quelli etici, a quelli sociali ed economici, dall’interesse nazionale. Che va sempre e comunque tutelato. Come avvenuto recentemente, proprio in occasione della risposta unitaria delle forze politiche nel condannare con fermezza e con la massima durezza la invasione russa dell’Ucraina. Un atteggiamento che potrebbe forse aprire una nuova fase, proprio nella dialettica politica e nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Così come è indispensabile investire nei giovani, nella formazione delle nuove classi dirigenti. Non per riproporre le vecchie ideologie del’900, ma per appassionare di nuovo migliaia di ragazzi all’impegno sociale e politico. Fornendo loro modelli virtuosi e credibili. Ecco, in questo senso penso che l’opposizione ‘patriottica’, come bene interpretata dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, possa essere una sintesi efficace di questo percorso in questa fase storica, nella quale far convergere le migliori intelligenze ed energie della società italiana. Per essere pronti a governare quando e se il Popolo, unico sovrano in democrazia, ce ne darà l’opportunità con il voto liberamente espresso nelle urne.

 

Scontri No Green Pass a Bruxelles, Davide Quadri (Lega Giovani-Esteri): “Antagonisti, Anarchici e Antifa hanno creato tensione”


 
Davide Quadri, segretario internazionale Lega Giovani, che vive e lavora a Bruxelles, chiarisce la natura degli scontri che hanno infiammato la manifestazione No Green Pass di domenica.
 
<<Vivendo a Bruxelles per lavoro, posso dire con certezza che la manifestazione di domenica era assolutamente pacifica; ben lontana dal racconto che i media italiani stanno facendo in queste ore>>.
 
Quadri punta il dito sui gruppi antagonisti dell’estrema sinistra: <<Ero presente alla manifestazione con alcuni amici dell’area nazionalista Fiamminga e abbiamo potuto vedere coi nostri occhi che la quasi totalità dei partecipanti era lì in modo pacifico. Ad un certo punto però abbiamo notato che si erano infiltrati nel corteo alcuni personaggi a volto coperto che non erano presenti alla stazione (da dove è partito il corteo) con abbigliamento e comportamenti provocatori e con atteggiamenti da agitatori organizzati. Finché non sono saltate fuori le bandiere degli Antifa e degli Anarchici provocando gli scontri. Come fanno abitualmente d’altronde>>.
 
Il Segretario Internazionale Lega Giovani continua: <<Non mi interessa entrare nella polemica Green Pass sì, Green Pass no; quello che si percepisce in questi ultimi tempi però, da parte della maggior parte dei media è una volontà di polarizzare la situazione dividendo i cittadini in “buoni e cattivi” e generalizzare le azioni violente di gruppi organizzati e singoli che scendono in piazza con lo scopo di creare problemi>>.
 
E conclude con una battuta: <<Non so cosa ci sia di violento in una persona con un cartello per liberare i Pangolini>>.

DIALOGO CON DAVIDE QUADRI: L’ATLANTISMO È BASE PER COSTRUIRE IL FUTURO. SALVINI LEADER DI UN CENTRODESTRA VINCENTE

Abbiamo intervistato Davide Quadri, Responsabile nazionale esteri della Lega Giovani, da anni impegnato nella cura dei rapporti internazionali della giovanile, incentrati sulla vicinanza alle grandi democrazie occidentali ed ai valori della libertà individuale. Il nostro dialogo con lui ha spaziato dall’importanza della collocazione geopolitica per l’Italia, al futuro del centrodestra. Inoltre, è stato prezioso ascoltare il racconto delle esperienze che lo hanno reso uno dei giovani maggiormente promettenti del panorama politico nazionale.

Quali sono i tuoi riferimenti culturali ed ideologici?

Innanzitutto grazie mille per l’opportunità che mi avete dato. Sono abbastanza curioso di mio: spazio molto, da un pensiero conservatore cattolico classico, figlio anche della formazione tradizionale datami in famiglia, all’approcciarmi per spirito ribellistico a pensieri controcorrente come quelli del tradizionalismo di stampo euroasiatico, fino alla passione per il pensiero economico libertario di luminari come Von Hayek o Hoppe, scoperti nel mio percorso di studi in Economia. Sono abbastanza poliedrico, cerco sempre di trovare una sintesi mia e di non fermarmi agli slogan.

Come si è svolto il tuo avvicinamento alla Lega Giovani, che ti ha portato poi ricoprire il pregevole ruolo di responsabile esteri?

Mi sono avvicinato alla Lega già nel lontano 2008, all’età di 16 anni, quando con un mio caro amico andai al primo comizio del Capo, Umberto Bossi. Lì qualcosa mi ha folgorato. Ho sentito nascere uno spirito di ribellione verso un sistema che stava cancellando la nostra storia ed identità, in favore di un mondo senza radici. Da quel momento il mio percorso personale e politico è cresciuto tanto. Partendo attivista, sono poi diventato responsabile MGP Varese, sedendo nel direttivo di una sezione che vedeva figure di riferimento come Roberto Maroni, passando per sconfitte cocenti ma formative, come le elezioni comunali di Varese del 2016, fino a ricoprire il ruolo di coordinatore provinciale del Varesotto, assistendo così a tanti successi di squadra, amici e giovani militanti. Sul fronte dei rapporti internazionali, insieme a un ottimo gruppo di amici, abbiamo ereditato il lavoro già svolto prima dall’ora Vice Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Paolo Formentini. Un lavoro cresciuto anche grazie alla visibilità che la Lega ha ottenuto con la segreteria di Matteo Salvini, vero riferimento internazionale per la galassia sovranista e conservatrice, dal Pacifico all’Atlantico.

Quanto è importante riconoscersi nei valori atlantisti e liberali delle grandi democrazie d’occidente? In che modo tali principi si possono trasmettere sempre più alle nuove generazioni?

È fondamentale per me riconoscersi nei valori cardine dell’uomo, della famiglia e delle comunità, per trasformarli in perno del proprio agire politico, soprattutto in questi tempi dove le vere libertà vengono erose tra gli applausi del mainstream. I valori che si trovano tra le due sponde dell’Atlantico sono quelli di una civiltà che ha forgiato il mondo, di cui dobbiamo essere fieri. Tuttavia, per rispetto di questa civiltà è anche doveroso non essere mai acritici, restando fermi rispetto ai fenomeni che ne minano le basi, come la Cancel Culture, le tensioni razziali immotivate e la cultura WOKE. Per dirla in breve mi riconosco molto nell’America che sventola la Bandiera di Gadsden, meno in quella di Hillary Clinton.

Da più di un anno avete instaurato una partnership con la giovanile del Grand Old Party. In che modo è nata questa collaborazione?

La collaborazione con gli Young Republican e con diverse federazioni dei College Republican United sono nate grazie a quel “America First” in cui è impossibile non ritrovarsi, lanciato da Donald Trump annunciando la sua candidatura alle Presidenziali nel 2015, scendendo le scale mobili della Trump Tower. Da lì, le interlocuzioni si sono intesificate molto grazie anche all’ampia comunità italiana che vive da tempo negli States e che rappresenta energia fortissima nella spinta propulsiva del GOP. 

Quali sono i futuri progetti in politica estera della Lega Giovani?

Il nostro sforzo principale ad oggi è quello di fare sintesi, federando le realtà giovanili patriottiche e conservatrici in Europa. Siamo stati a Helsinki, Lisbona, Varsavia e Budapest, come in ogni stato europeo che vede un movimento o un partito a noi affine. Lavoriamo per far crescere questa rete e preparare il risveglio dei popoli europei, al fine di riportare l’Europa centrale nel mondo, più vicina ai suoi cittadini. Parafrasando qualcuno: far tornare grande l’Europa!

Al di là dell’ambito partitico, che interessi e passioni curi nella tua vita?

Per tanti anni ho praticato Judo, da lì è scaturita una grande passione per le arti marziali e gli sport da combattimento. Inoltre, menziono i miei studi in economia ed il metal, da quello mainstream ai generi più hard, ma anche più profondi e particolari.

Come prospetti ed auguri il futuro della coalizione di centrodestra?

Semplicemente una coalizione a guida Salvini, che con la parola d’ordine “Prima l’Italia” continui ad essere protagonista su scala internazionale, senza però cedere alla sirena del mondialismo. Ancorati alle proprie radici ma proiettati nel domani, ripartendo dal tema del federalismo e da uno stato più giusto, sulle tasse come sui valori.