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UNA NUOVA GUERRA FREDDA È NEL DESTINO DELL’OCCIDENTE?

– Andrea Mauro

Abbiamo spesso trattato delle attuali difficoltà dell’Occidente, ancora costretto a dover scontare le conseguenze della pandemia: il numero dei contagiati in rialzo, un possibile ritorno delle restrizioni, l’inflazione che grava sui cittadini e le imprese, i postumi della recessione del 2020. Tuttavia, anche l’ambito geopolitico presenta delle difficoltà. Infatti, le immagini del disastroso ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan sono ancora drammaticamente impresse nella nostra mente. Casa Bianca, Pentagono, NATO e cancellerie europee hanno provato a mascherare il fallimento con giustificazioni che non trovano appiglio dinanzi ai numeri. Il costo umano della spedizione è stato di 3846 vittime (di cui 53 nostri connazionali), mentre quello economico si aggira sui 5,4 mila miliardi di euro. Inoltre, è drammatico anche ciò che sta avvenendo al confine tra Polonia e Bielorussia. Migliaia di migranti sono ammassati alla frontiera di Kuzinika, nel tentativo di arrivare in Europa passando per la Polonia. Quest’ultima però ha dichiarato, tramite il proprio Ministro degli Interni Mariusz Kaminsky, di voler costruire un muro alla frontiera lungo 180 chilometri e alto 5,5 metri. Il rappresentante per la Politica Estera UE Josep Borrell ha denunciato Aleksandr Lukashenko e Vladimir Putin, accusandoli di aver agitato il clima e di essere burattinai del dramma che avviene nella zona. Una spiegazione di ciò potrebbe essere nei 6 miliardi di euro che l’Unione Europea ha sborsato alla Turchia di Erdogan per la gestione dei migranti siriani. Pertanto, quello di Minsk rappresenterebbe un attacco ibrido ai danni dell’Europa, al fine di porla ancor più sotto pressione. Tuttavia, a Bruxelles è già stato annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni contro Minsk, con molti che hanno però iniziato a puntare il dito anche contro Mosca, convinti della regia di Vladimir Putin dietro le tensioni. Complessa è anche la situazione oltreoceano per il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, reo di aver vietato l’ingresso negli States al Presidente della Repubblica del Guatemala Daniel Ortgea e ad altri funzionari del paese, accusati di aver attentato alla democrazia. È sopratutto la Cina di Xi Jinping quella che più complica le strategie del POTUS. Martedi 16 novembre si è tenuto un summit virtuale tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti con la tensione sfociata giunti a dibattere di Taiwan. Biden ha consigliato al suo omologo cinese di astenersi dal compimento di azioni che possano cambiare lo status quo dell’isola. Tuttavia, Xi Jinping ha ribadito la sacralità del principio di una sola Cina, affermando senza alcun giro di parole che cercare l’indipendenza di Taiwan significa “giocare con il fuoco” e che, dovessero presentarsi interferenze, la Cina si ritroverebbe costretta a dover adottare le misure necessarie. A complicare ulteriormente la realtà è l’invito trappola di Xi Jinping all’amministrazione Biden di presenziare ai giochi olimpici invernali di Pechino che inizieranno a febbraio 2022. Indiscrezioni parlano di un boicottaggio diplomatico all’invito, in segno di protesta verso le numerose violazioni dei diritti umani da parte della Cina nello Xinjiang, in Tibet e ad Hong Kong. Venisse confermata tale decisione i rapporti tra Pechino e Washington finiribbero ancor di più per deteriorarsi. Nel caso opposto, l’amministrazione DEM, dovesse presenziare, riceverebbe critiche dal mondo occidentale. Alla luce di tali considerazioni il quadro evidenzia un Occidente orfano di forte leadership, avallata da scarsa coesione in ambito geopolitico. La minaccia cinese è sempre più concreta anche perchè ormai imprescindibile per molti Paesi nell’ambito della cooperazione economica. Pertanto, Taiwan potrebbe fungere da casus belli. Inoltre, alla minaccia di Pechino si aggiungono i cattivi rapporti che le cancellerie europee hanno con il Cremlino. Auspichiamo dunque in una rivalsa dell’Occidente, volta a ritrovare compattezza, che salvaguardi la propria supremazia in futuro.