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Colloqui con il dottor Celine

di Francesco Subiaco

Nel 1955 un insoddisfatto e borbottante Louis Ferdinand Celine, dopo il deludente risultato del suo “Normance” arriva all’unica considerazione possibile. Il fiasco del suo ritorno sulle scene letterarie non è dovuto alla fama nefasta che si è fatto dopo il collaborazionismo, né alla cupola ideologica prevenuta contro l’opera di questo domenicano nichilista. È colpa del suo editore pavido e avaro, che incapace di difenderlo lo ha buttato nella fossa leonina dell’oblio e dell’odio della critica. Ma Gaston Gallimard non solo non lo aveva difeso contro i suoi avversari, ma mentre, autori “da compitino” come Mauriac e Gide hanno fiorfiore di testi critici, di monografie  e studi fatti da pedanti e lacchè, con i loro Goncourt sul comodino, lui un genio in un mondo dove sono immortali anche i venditori di aspirine, langue indifeso e incompreso. Alla luce di queste considerazioni più o meno deliranti, Celine decide di scrivere i “Colloqui con il professor Y”(QUODLIBET). I colloqui si presentano come una bizzarra e tragicomica intervista autiogestita in cui l’autore del Voyage viene intervistato dal sedicente colonnello professor Y. Un fantozziano mestierante delle lettere che si è avvicinato all’artigiano delle parole solo per compiacere l’editore Gallimard per poi proporgli un suo romanzetto. Un personaggio inventato da Celine, che riassume tutti i limiti del mondo editoriale. Pavido, scontato, banale, ombra di personaggi vacui come Bourget e Gide, col suo stile impersonale e insignificante è il ritratto di una letteratura sterile e incapace. Una letteratura di compitini, di filosofie, di buone idee, di buoni pensieri. Un personaggio che non regge il confronto con il rivoltoso Dottor Destouches, che prende subito le redini dell’intervista, schernendo ed umiliando il professore(finzione letteraria dell’autore stesso), utilizzandolo come una grande occasione per autorecensirsi. Per spiegarsi per mostrare i sintomi delle sue rivoluzioni letterarie, per far capire ai posteri e ai contemporanei le ragioni del suo stile, delle sue rivolte. Attraverso dialoghi tragicomici, ma serissimi, lundiniani nei suoi grotteschi silenzi, scontrandosi contro il cinema, la letteratura impegnata, i premi, l’editoria. Mostrandosi come uno dei più grandi innovatori stilistici del novecento, grazie all’argot e ai suoi famigerati tre puntini. Celine innanzitutto si presenta come un modesto inventore di due rivoluzioni letterarie epocali. Rivoluzioni che in modi diversi vogliono restituire la naturalezza della parola, che da Stendhal in poi era rimasta orfana, e l’emozione della lingua scritta. Restituendo alla parola una emozione che sta nella voce, nel suono, nel senso della frase, l’emozione del linguaggio parlante nello scritto. Una petite musique che si esprime attraverso l’uso dell’argot, il gergo parigino dei bassi fondi, degradato e iperattivo, espressionista e macabro, e attraverso la seconda rivoluzione dei tre puntini. In cui la punteggiatura e la frase vengono saccheggiati e divorati da essi, i quali rappresentano i binari emotivi su cui viene condotta l’anima( o le viscere) del lettore. Uno stile che nasce nel metrò, nella vivacità anarchica e folle, degradata e volgare della parola viva, l’unica concreta, vera, emozionante. Tramite uno stile che dopo la nascita del cinema, e la degradazione della letteratura in sceneggiatura o peggio giornalismo, crea la sfida contro di essa. Con i suoi tre puntini Celine crea uno stile che sta al cinema come l’impressionismo sta alla fotografia. Di fronte ad una tecnica che rende obsoleta l’arte, lo stile di Celine si prende la sua rivincita contro il cinema facendo parlare una lingua così vivida e concreta, crudele e tattile che nessuna immagine e piano sequenza possono ostacolare. Captando le onde emotive che né i maggiori registi né lo stream of consciousness possono raggiungere. Prendendosi una rivincita contro l’arte contemporanea, la cupola impegnata, il cinema hollywoodiano. Mostrando tutti i rumori che si nascondono nell’uomo, tutte le viscere e gli umori di questo cadavere in animazione sospesa. Facendo suonare quella piccola musica che dal ponte di Londa a Rigodon, iniziata con il Voyage e i pamphlet non solo non ha smesso di ammaliare il lettore, ma non lo ha ancora liberato dal suo sortilegio di parole vive che Un’eternità di silenzio non basterà a consolarli!..

DRIEU, UN EUROPEO

Ribelle e aristocratico, vitalista e decadente. È “Il giovane europeo” di Pierre Drieu La Rochelle(ASPIS). Un’opera ibrida, tra pamphlet, saggio, autobiografia. Una confessione di un figlio del secolo, il diario intimo di un malinconico e iperattivo Baudelaire novecentesco. Tra i fumi carnali e morbosi della guerra e l’omologazione della folla solitaria. Un documento unico in cui Drieu La Rochelle mette il suo cuore a nudo in un testo crudele, spietato, nostalgico, tra l’eterno e l’antico. Attraverso la maschera archetipica del giovane europeo, di una figura  personalissima ed universale, originaria e originale. Il giovane europeo è il reduce della prima guerra mondiale, il deluso della rivoluzione d’ottobre, l’elitista senza elite, il cavaliere decadente, il contrabbandiere tra sogno e azione. Una figura unica e che non sa che farsene di una “patria che non sia promessa di un impero”. Cresciuto all’ombra dei crepuscoli degli idoli di Nietsche e Spengler, cullato dai sogni di Kipling e D’Annunzio, tra estasi e massacro. Che si è scelto come santini il maledetto Rimbaud e il santissimo Pascal, mischiando sensualità e ascesi, carnalità e apoteosi. Una formazione che si si infrange nelle tempeste d’acciaio della prima guerra mondiale che segnano una iniziazione ad una vita in cui sono cadute tutte le vanità. In cui “ogni epoca è una avventura. Io sono un avventuriero e la mia fu un’epoca buona per me. Conoscevo l’alpinismo, la cocaina, le corse d’auto. Trovai nella guerra lo sport d’abisso che da tempo fiutavo”. Uno sport di cui si ingozzava “di quell’ebrezza della terra”, nutrendosi di una giovinezza sfinita e di una vitalità esaltante che portavano l’uomo a “non uscire dalla foresta”. Una guerra ascetica e arcaica che fu vissuta come l’ultima passione dei popoli europei. Popoli che alla sua fine si ritrovarono imprigionati in una quotidianità grigia ed anonima, di un mondo americanizzato e deludente. Moderno e massificato dalla tecnica e dalla società di massa, che non “era riuscito ad uccidere la guerra o il potere, ma a stento la cavalleria”. Un reduce che finita l’iniezione di sogni e vita della sua sopravvivenza vide negli ideali liberaldemocratici, nella rivoluzione d’ottobre, nella prudenza dei ceti conservatori, solo un modo per diventare di nuovo americani. Nel comunismo “un pugno di intellettuali che volevano avere la meglio su Rockfeller ed altri miti atlantici. Creando un capitalismo di stato, dei trust di stato. Governando un popolo selvaggio che come degli schiavi imitavano le belle fabbriche e le belle banche” dell’occidente. Un mondo che abbandonava gli echi dei passati perduti tuffandosi nell’incubo dell’innominabile attuale. Un incubo in cui il decadente è imprigionato nell’annosa controversia tra il vivere e lo scrivere, tra il sogno e l’azione, tra costruire capolavori o essere un capolavoro. Vivendo questo scenario drammatico di un’epoca che non lo comprende, che non vale niente e che porta i suoi frutti rancidi sul petto sfatto come una megera che si orna di sfavillanti preziosi. Che si distrae con arte e illusioni mentre si ricopre di rovine. Il giovane europeo di Drieu è in questo quadro un decadente, un nostalgico che si rallegra nel vedere che nella morte. Nelle moribonde dolcezze del suo tempo, vede il rifiorire della barbarie e della vita, mentre diventa l’uomo che annega, che si dimentica. Sfiorendo “l’europeo ama tutto ciò che fu e che se ne va”. Mentre gli spettri del numero e della civilizzazione rendono quella vita esasperata e solitaria, rinchiusa in una individualità tossica in cui le anime si confondono e gli individui si mescolano in un informe pantano di debolezza e miseria. Impigriti, rassicurati dalla tecnica gli europei attendono la loro fine come l’happy ending delle commedie banali di cui si cibano. Fuggendo nelle religioni delle lacrime, orfani di un destino di riserva. Contro questa deriva, il giovane europeo di Drieu si scaglia in piedi sulle rovine, è l’uomo antico il cavaliere tra la morte e il diavolo, il poeta, il soldato, il sacerdote del mondo eterno. Il figlio terribile del secolo che ne incarna i limiti e le ambizione e da esso non va separato. Che ha fede nell’uomo decadente perché in ogni decadente c’è il primitivo, l’originario. Il santo guerriero che scalpita nelle scuderie d’occidente, prima di smarrirsi nell’innominabile attuale

LA LETTERATURA è SEVERA MAESTRA

di Francesco Subiaco

Camillo Sbarbaro diceva che si inizia a scrivere per essere notati e si continua a scrivere perché si è noti. La scrittura è un bisogno, una febbre, una smania. Si scrive per nascondere le proprie paure su carta, per esorcizzare il dolore, per creare i mostri che poi si vuole sconfiggere, per lasciare un ricordo o peggio un testamento. La scrittura ha un che di religioso, dentro ogni apprendista delle buone lettere si cela, inconscio e inconfessabile, il desiderio di un lettore segreto, un padre, un amore, un dio, per i più egocentrici o fedeli, di trovare un conforto, un contatto umano. Un legame, perché religo vuol dire anche legare a sé, con forse i fantasmi di un passato in cui si è intrappolati, forse un mondo ostile che si vorrebbe diverso. Scrivere però è anche un appello, a cui molti rispondo senza essere chiamati, che comporta dei lati oscuri, delle vicende bizzarre, oppure una fantasia atipica, irreprimibile, disturbata e patologica. In ogni autore si nascondono infatti i germi della pazzia, dell’egocentrismo, la smania di essere amati, il sentimento di rivalsa, la frustrazione della vita di tutti i giorni, l’incomprensione dei contemporanei. Il marchio di far parte di una moltitudine nel tempo e non nello spazio, di sentirsi gli ultimi, i soli, gli unici. Un sentimento straniante quanto elettrizzante. Ciò detto non è sempre vero che dietro ad un emarginato, un pazzo, un esaltato, un frustrato, si nasconda un genio. Molte volte tali sintomi nascondono solo un illuso. Perché se possiamo essere d’accordo nel dire, con Schopenhaur, che in ogni genio, c’è un che di infantile, ma dietro ogni infantile non c’è quasi mai un genio. Come dietro alla figura standard dell’uomo delle lettere e delle arti si nasconde, la maggior parte delle volte, non un genio ma un mediocre, al limite un mestierante. In ogni pittore c’è un imbianchino promettente, in un giornalista un pettegolo, in un romanziere un mitomane, in un attore un bugiardo. Ma non si può far emergere il genio dietro la mediocrità umana, se non si scrive, se non si crea. Malaparte era un mitomane un narcisista, ma soprattutto l’autore di uno dei più bei romanzi del novecento. È lo scrivere che conta, non l’essere letti, non il giudizio. E per scrivere ci vuole impegno, ci vuole una lotta con se stessi e con la parola. Ci vuole una grande unica maestra, la letteratura. Perché non esistono scorciatoie per raggiungere uno stile se non il confronto e la sensibilità. Ma un grande scrittore al contrario degli evangelisti non viene ispirato dal divino, deve confrontarsi, allenarsi, ingegnarsi, imparando i trucchi del mestiere prima di farli propri. Per trovare una buona palestra è interessante il confronto offerto da Stefania Crepaldi nel suo “Lezioni di narrativa”(Audino). In cui attraverso una serie di esercizi, di confronti, di esempi, la Crepaldi non insegna a scrivere, ma a prepararsi a scrivere, attraverso una carrellata di immagini, metodi, trucchi, che possono essere un interessante punto di partenza non per essere notati, ma per imparare a notare le tecniche, gli stratagemmi di uno scrittore e poi iniziare a scrivere. Perché il metodo e l’esercizio sono gli unici strumenti che danno senso al talento. Ed il talento senza genio, si sa, vale poco, ma, è ancor più noto, che il genio senza talento, non vale nulla

INTERVISTA BEPI PEZZULLI

Dalla geopolitica ai cambiamenti storici che attraversano gli Stati Uniti, passando per il fallimento del politically correct nelle elezioni della Virginia e le conseguenze delle scelte del governo tory di Johnson. L’informazione e la classe politica nazionale non riescono né a spiegare né tantomeno a raccontare i fenomeni geopolitici che stanno sconvolgendo l’anglosfera. Consci del motto einaudiano “conoscere per legiferare” ci siamo rivolti ad uno dei più acuti conoscitori del mondo anglofono e  degli scenari geopolitici attuali: Bepi Pezzulli. Pezzulli consigliere di politica estera italo-britannico per UK, Usa ed Israele è uno degli esponenti di punta di una cultura liberale e atlantica, giudaico cristiana e occidentale, già direttore di Select Milano e collaboratore di Milano Finanza, autore di libri come “L’altra Brexit”, e direttore della “Voce repubblicana”. 

Cosa ne pensa della strategia UE nel post Brexit?

La Brexit ha reso palesi i due problemi fondamentali dell’UE: il primo è il posizionamento geopolitico. La prominenza politica della Germania nel blocco a 27 sta spingendo l’UE verso il disegno EurAsia. In particolare, il semestre di presidenza tedesca dell’EU è stato segnato dall’accordo con la Cina voluto proprio da Berlino. La Germania sta di fatto imponendo la ostpolitik a tutto il blocco, indebolendone la tradizionale postura Euro-Atlantica. Questa tendenza alimenta l’instabilità globale e minaccia l’ordine mondiale basato sul diritto internazionale.

Il secondo è la necessità di un rafforzamento della governance democratica. L’UE persegue un disegno federalista e nel farlo travalica, come nel caso UE v. Polonia, i poteri ad essa delegati dagli stati membri, evidenziando un gap di legittimazione democratica. Sbaglia chi alimenta la narrativa federale: l’UE è un’architettura istituzionale inter-governativa basata sul diritto dei trattati. Per il passaggio federalista, occorre il consenso popolare e degli stati membri.

Infine, l’inasprimento delle relazioni con l’UK manifestano il timore che il successo della Brexit possa innescare un meccanismo di delegittimazione dell’UE. Il rischio è che la Brexit mostri che il libero commercio internazionale produca ricchezza, prosperità e libertà in opposizione all’allineamento regolamentare e alla convergenza supra-nazionale perseguita da Bruxelles.

 Per molti Johnson è considerato come un Reagan britannico, per altri viene ridotto ad un emulatore, che bilancio trae dell’esperienza di governo del leader tory e della sua gestione della pandemia?

L’UK ha utilizzato le leve della sovranità nazionale per rispondere alla pandemia: aiuti di stato, stampa di moneta e allentamento dei vincoli di bilancio. Tuttavia, l’UK non ha finanziato un programma assistenzialista. Al contrario, ha usato la politica fiscale per accompagnare fuori dall’economia i rami secchi e i segmenti obsoleti, finanziando una ristrutturazione della base produttiva britannica. La spesa pubblica è stata usata per promuovere un’economia innovativa e resiliente, basata sulla leadership in scienza & tecnologia. L’UK ha investito in intelligenza artificiale, robotica, fintech, manifatturiero avanzato, biotecnologie, energia nucleare, istruzione superiore, accorciando le catene di approvvigionamento con un robusto re-shoring delle produzioni. 

Al contrario di Ronald Reagan, Boris Johnson ha deciso di finanziare il servizio sanitario nazionale e il trasporto pubblico, considerando la resilienza di salute e logistica parte della strategia di sicurezza nazionale. In questo senso, si può dire che il Partito conservatore ha accettato di allargare il perimetro di intervento dello Stato in risposta alle minacce del XXI secolo.

L’impatto della pandemia sul PIL è stato di soli 2 bps, mentre il tasso di crescita si è attestato al 6,5%. L’UK peraltro non è mai ricorsa a tassi negativi. Questo porta l’economia UK in surplus già nell’esercizio fiscale 2024.

Da grande conoscitore del mondo anglofono come giudichi l’influenza che stanno prendendo temi come la cancel culture e il politically correct, vedi blm o le polemiche sull’eur nel contesto italiano?

Il movimento woke è una seria minaccia alla tenuta della fabbrica sociale. E’ un’ideologia anti-scientifica e divisiva che cristallizza la lotta di classe. Si tratta di una evoluzione del comunismo. Scomparsa la classe oppressa, che i bolscevichi identificavano nella classe operaia, la cultura woke cerca altri presunti oppressi da patrocinare, alimentando un infinito scontro sociale. Per farlo, cancella l’identità individuale, legittimando i diritti delle persone solo in quanto parte di un gruppo pre-identificato titolare di diritti collettivi. 

La vittoria del Gop in Virginia può segnare per te l’inizio di un tracollo del potus Biden che si ripercuoterà nelle elezioni midterm? Secondo te è un fatto isolato o l’inizio di un possibile cambio dell’inquilino alla White House? E se si a cosa è dovuto?

Secondo me, è sbagliato leggere ogni elezione come un fatto epocale che ogni volta certifichi l’estinzione dello sconfitto o il trionfo del vincitore. L’America è una democrazia vibrante basata sull’alternanza di potere; le elezioni si vincono e si perdono in un sistema che garantisce l’equilibrio democratico.

La Virginia può essere letta in questo modo. La cultura woke ha perso. Il risultato elettorale è dovuto in gran parte alla rivolta dei residenti contro l’introduzione della Critical Race Theory nei curriculum scolastici con il benestare del governatore democratico, lo sconfitto Terry McAuliffe. La Critical Race Theory è un pensiero sconclusionato basato sull’odio sociale: essa sostiene che il diritto e le istituzioni democratiche siano strumenti al servizio del suprematismo bianco stabiliti per neutralizzare l’affermazione personale delle minoranze.

Al contrario, l’America è ancora la terra delle opportunità dove chiunque – senza distinzione o discriminazione alcuna – può salire la scala sociale. I successi delle minoranze sono evidenti in tutti i campi: dall’economia, alla politica, alle scienze, alla musica, allo sport. 

L’elettorato ha punito il tentativo di inquinare la democrazia americana da parte della frangia più radicale del movimento progressista. Da questo punto di vista, il risultato elettorale dovrebbe recapitare un messaggio ai Democratici di riportare il partito verso le posizioni centriste del clan Clinton contro le posizioni progressiste di Bernie Sanders, AOC e Nancy Pelosi.

Quali sono i tuoi riferimenti culturali e politici ?

Regina Vittoria, Lady Thatcher, Golda Meir e Ronald Reagan in politica. Friedrich von Hayek, Milton Friedman e Paul Romer in economia. Ernest Hemingway, J.D. Salinger e Saul Bellow in letteratura.

Intervista a Mauro Cascio

Totalitario, incomprensibile, statico, riduttivo, scientista. Hegel ilare pensatore calunniato dai filosofi, ha ricevuto tutti questi appellativi immeritati, dai suoi detrattori. Da Popper a Kierkegaard, da Marx a Vattimo, il sistema del pensatore tedesco ha subito la stessa sorte del dannunzianesimo nell’ambito letterario. Circondandosi di detrattori che incapaci di rappresentare una valida alternativa al suo sistema hanno bellamente cercato di demolirlo, sminuirlo. Fraintendendolo in buona e cattiva fede. Ma Hegel è molto di più dello stereotipo deformato che gira tra gli studenti di filosofa. È il pensatore monumentale di una delle ultime filosofie capaci di fondere l’individuo cn la totalità, la storia e lo spirito, il pensiero ed una sua rappresentazione onnicomprensiva. Rappresentazione che divenne la base della filosofia di Marx e Gentile, Croce e Gramsci. Creando un ponte tra finito e infinito, tra libertà e comunità. Per liberare l’autore della Fenomenologia dello spirito da questi equivoci abbiamo intervistato Mauro Cascio, curatore e autore della prefazione del saggio “Introduzione alla filosofia di Hegel” di A. Vera(Mimesis), con cui il pensatore, i cui interessi trasversali fondono filosofia, cultura, massoneria e politica, per far inernare il lettore nell’anima dell’opera hegeliana.

Potremmo definire Vera un esponente della destra dell’ortodossia hegeliana, rispetto a Spaventa e perché?

Se per essere di destra si intende essere un conservatore, Vera lo è stato, soprattutto rispetto ad altri hegeliani come Spaventa e soprattutto come Benedetto Croce o Giovanni Gentile che hanno addirittura inteso ‘riformarlo’. Vera invece ci dice: prima di riformare, prima di mettere mano, bisogna capire.

Cosa avrebbe pensato Vera delle riletture del pensiero hegeliano fatte dagli idealisti italiani come Gentile, Croce e Gramsci o Fusaro? E cosa ne pensa Mauro Cascio ?

Lo abbiamo già detto: Vera non vuole riformare. Vera vuole ‘interpretare’. Certo, ci possono essere sbavature qua e là, delle incertezze. Non è che i testi sacri siano rivelati ed intoccabili. Ma l’impianto complessivo è valido, è efficace ed è potente. È superiore alle scienze empiriche, pensa oggi come si sentirebbero quegli ‘scienziati’ empirici dall’ego smisurato che hanno studiato tutta la vita la zanzara e che si ritengono capaci di spiegare il senso del mondo a Massimo Cacciari. Ecco: ci vorrebbe Hegel (in realtà Emanuele Severino) per metterli al loro posto.

Trovi una antitesi tra la fine della storia secondo il pensatore di Stoccarda e Francis Fukuyama o in sostanza vedi una continuità ?

Io non credo che Hegel abbia teorizzato la fine della storia. Lo spirito ha delle tappe e in quelle tappe si autocomprende. Per chi si ricorda le musicassette: io ho l’ascolto del nastro che fino a quel momento si è avvolto. Il nastro potrebbe anche essere finito, in realtà ci potrebbe essere altro nastro (presente in eterno) che però mi si presenta nel presente al mio ascolto. Può, cioè, aspettarmi un futuro. La mia comprensione del nastro è legata al suo avvolgimento nella bobina. Ma io sono la testina di lettura e posso solo conoscere quanto sta scorrendo tra me e il tampone. 

Mauro Cascio filosofo ed esponente del pri, che collegamento e/o vicinanza vedi tra Mazzini e Hegel? E tu come concili il tuo repubblicanesimo con la visione hegeliana? Trovi opportuna questa divisione o pensi siano ideologie e filosofie tra loro contigue?

Quando Mazzini riesce a farsi recapitare una traduzione di Hegel (probabilmente i lineamenti della filosofia del diritto), commenta: «Già sapete che appartengo alla stessa serie di idee». Perché entrambi vedono la libertà nel dovere e nella legge. Che non vuol dire essere soggetti supinamente a ogni legge. La legge sono fatte per normare e preservare le libertà di tutti. Il tessuto normativo è ricamato di libertà. Come una cerniera che salendo porta a sistema i diritti. Solo nel dovere io riesco a preservarmi per esempio dall’arbitrio. Io non ho una libertà dalla legge, come nel pensiero liberale, ma una libertà nella legge. Lo Stato è fatto di questa materia, di questa sostanza. È fatto della libertà e della partecipazione di tutti i suoi cittadini. Non di una parte, fosse anche la più amplia delle maggioranze, contro una parte. Lo Stato è una armonia. Non una contrapposizione in bellicosa tensione.

Scienza e Storia sono due concetti fondamentali in Hegel . Come valuti da hegeliano il rapporto con la morte e con la tecnica della contemporaneità? E la visione scientista?

La Storia è (l’unico) palcoscenico dello Spirito. Logica e Natura non sono che momenti astratti, perché entrano in gioco, funzionano per così dire, solamente nello Spirito. La morte esiste per la coscienza, non per lo Spirito (né per il Sé). Il pensiero speculativo è una violenza rispetto al pensiero raziocinante. Le scienze empiriche appartengono a quest’ultimo dominio. All’aut aut, appunto, non all’et-et. Solo la Scienza (da non confondersi con le scienze empiriche) ha questo grande compito uditivo.

Valuti il politically correct come una negazione della funzione dialettica della filosofia e della cultura o come tappa fondamentale della sintesi di una nuova cultura e società ?

È semplicemente una sciocchezza. Un passatempo. Quando non c’è più cultura di qualcosa bisogna pur parlare, no?

Come valuti la riforma della dialettica hegeliana fatta da gentile? Per te l’attualismo sta alla “scolastica” hegeliana, come la filosofia di Aristotele al razionalismo greco? 

Non credo che la dialettica andasse ‘riformata’. Era sufficiente una sistematica qua e là. Per questo nei prossimi mesi mi vorrei dedicare ad una ‘controriforma della dialettica hegeliana’. Tenendo conto degli appunti di Croce e Gentile. Aristotele non fu un riformatore di Platone, fu una ‘interpretazione’ differente di uno spirito che si stava definendo e messo a fuoco. Non so un nuovo Platone. Hegel è stato un nuovo Eraclito. Non so Socrate,  ma Severino è stato Parmenide.

Quale è lo stereotipo peggiore diffuso su Hegel secondo te? E perché è falso ?

Non finiremmo più. Una delle letture più note è quella di Popper sull’Hegel totalitario. Non si è appreso a fondo il concetto di libertà nella legge. Ma qui l’ha pagata soprattutto Gentile. Anche la Filosofia della Natura, che sicuramente è superata, è stata troppo trascurata. Normalmente è la cosa di Hegel che si considera di meno.

Quanto pensi che la filosofia ebraica, penso soprattutto a Spinoza abbia influito tanto negli hegeliano quanto negli antihegeliani come Giuseppe Rensi?

L’ebraismo è stata una tappa importante dell’evoluzione dello Spirito. Senza non ci sarebbero stati gli sviluppi successivi. Questo termine dobbiamo sempre provare a tenere a mente quando parliamo di Hegel: Sviluppo. Una cosa non è. Una cosa diventa quello che deve essere. Questo vale per tutto. Anche per la storia del pensiero. Nasce un pensiero in germe. E poi si sviluppa nella storia, matura, cresce. E diventa quello che era previsto che fosse. In botanica questo concetto lo si chiama ‘Fenomenologia’. Giuseppe Rensi è rimasto legato a Kant sostanzialmente. Non entri nel merito del Logos ma lo tieni lì come principio regolativo. Come ‘Grande Architetto dell’Universo’. Non a caso Rensi, oltre che repubblicano, fu anche massone.

Intervista a Edoardo Sylos Labini

Edoardo Sylos Labini è presidente dell’associazione Cultura Identità nonché editore dell’omonimo mensile cartaceo. Con questo  progetto cerca di promuovere la cultura nazionale e di difendere le varie identità locali del Bel Paese da chi vorrebbe cancellarle. Grazie  a Cultura Identità ha creato un ambiente favorevole allo scambio di idee in cui si raccolgono patrioti di ogni schieramento, dalla destra  alla sinistra. 

Avendo inscenato”Il Sistema”, sei fiducioso che i referendum sulla giustizia per cui si stanno raccogliendo le firme possano portare ad  un cambiamento concreto? 

I referendum ci sono stati anche in passato e non hanno prodotto cambiamenti. Se non vengono tradotti in legge in parlamento… ogni  volta che si doveva varare una riforma sulla giustizia il sistema si è sempre messo di traverso. 

L’ultima volta è stato con Renzi e ancora prima con Fini che fece fallire il progetto di Berlusconi di farfalline la riforma del giustizia. E pensi che gli scandali riguardanti Morisi e la meloni proprio a Ridosso delle amministrative siano casuali? 

Assolutamente, no. Questa è la cosiddetta regola del tre del sistema. Ovvero una procura che indaga, un giornale che lancia la campagna  mediatica, un partito che fa da sponda e ne trae giovamento politico. Anche le proteste violente fanno parte di questa opera. Proprio ieri  su 4 rep è uscito il video in cui castellino arringala folla di piazza del popolo, circa 50 mila persone e non 10mila come si vuol far  credere. Dice che andranno ad assaltare coloro che non hanno difeso i lavoratori (CGIL). Lo annuncia un ora prima e il fatto che la  polizia glielo lasci fare è molto strano. 

Glielo hanno lasciato fare in modo da permettere a Landini d indire una manifestazione contro il fasciamo (che in Italia non esiste)  proprio il giorno prima dei ballottaggi empendosi fatto il silenzio elettorale. 

Parlando di Green Pass, da alcuni viene visto come una misura liberticida ma non si può negare che in alcuni settori, per esempio  quello teatrale che ti riguarda da vicino, sarà fondamentale per permettere di riaprire le attività al 100% e sarà obbligatorio dal 15. Che  ne pensi? 

E’ una norma che lede alcuni diritti dei lavoratori. Se non hai il coraggio di imporre il vaccino obbligatorio non puoi creare delle  categorie che vengono discriminate. Lo stato dovrebbe prendersi questa responsabilità altrimenti dovrebbe assumersi l’onere di pagare i  tamponi dei non vaccinati. Inoltre siamo già all’80% della copertura vaccinale con numeri più tranquilli e questa severità ora non mi  convince molto. 

Parlando invece del progetto di Cultura Identità, il 3 ottobre è passato un anno dal lancio del progetto dell’iniziativa delle città  identitarie. E gli stati generali Quali sono ora le tue considerazioni sul progetto? 

Ci è nata circa 3 anni fa e puro po’ ha vissuto 2 anni di pandemiche limitandone gli eventi al vivo hanno limitato l’associazione ma  nonostante ciò la famiglia di cultura identità continua a crescere . Sono già 93 le città che hanno aderito al progetto e si allarga ogni  settimana. Dal vivo l’entusiasmo è molto più alto. In più ci siamo intestati la battaglia sulla giustizia che portiamo avanti insieme a luca  Palamara. 

Tornando alla politica, che futuro vedi per la politica italiana soprattutto tenendo conto dei supposti ammiccamenti di Giorgetti e del  mondo più moderato ad una visione più centrista? 

Quale destra prevarrà?  

La stampa di sinistra ha fatto passare sovranismo per n insulto. Bettino Craxi lo è stato pure. e’ normale che Giorgetti muova un  elettorato di centro ma oggi non esiste dx ci o sx è tutto molto fluido. La vera battaglia è chi difende gli interessi, storia identità del  proprio territorio 

Vedi marco rizzo che da un versante stremo per alcuni temi non è distate da noi. il dcx se si vuole allagare deve creare quella rete  culturale che non ha mai voluto creare in questi decenni. Perché se hai contro te, giornali, gli artisti gli intellettuali faranno sempre  capotto. Lo ha capito berlusconiani e ora comincia a parlo là meloni. Senza questa svolta cultuale non vai da nessuna parte è l’unica  movimento in grado di scollerei questo compito è cultura identità. Portando avanti anche istanze di cui ildx spesso non si occupa come  la giustizia. 

Dunque deve sere un cdx liberale sui temi sociali proprio come la giustizia in modo da dividere le intromissioni dello stato nella. Sfera  individuale. 

Certo, sovranismo significa anche proteggere la sovranità dell’individuo.

 INTERVISTA FRANCESCO NUCARA

INTERVISTA FRANCESCO NUCARA


Leggendo gli “Incontri con la politica. Storia di un repubblicano di Calabria”(Rubettino) dell’On. Francesco Nucara, il lettore potrà imbattersi in una autobiografia per personaggi. Ovvero in un’opera in cui man mano che il narratore ci illustra gli attori di oltre mezzo secolo di politica italiana, si mostra, si rivela, si toglie un po’ del riserbo del cronachista per vestire i panni del testimone. Raccontando una storia che nasce nella Calabria rurale e si evolve nei congressi romani del Pri, attraversando i palazzi galanti del berlusconismo, le ceneri della prima repubblica e i fasti dell’epoca dei partiti. Una autobiografie per tappe, per occasioni, che non ha però il vezzo morettiano di parlare degli altri per parlare sempre di sé, e che invece riesce a calare il lettore in un mondo lontano e distante. Il mondo della politica per professione e vocazione, dei partiti delle identità forti, della militanza come missione, come confronto sociale prima che come carriera o opportunità. Permettendo di mostrare un contesto tanto complesso e articolato come quello repubblicano,
con i suoi idoli, con i suoi maestri. Senza scadere nell’agiografia, nell’adulazione, con un taglio obiettivo senza essere gelido o distante o noioso come tanti libri di politica e di politici. L’ex viceministro e protagonista della segreteria del PRI per quasi vent’anni offre un saggio schietto e lucido in cui parafrasando Bovio si sente come un segno di vergognosa paura il non dire ciò che si pensa, rendendo vero, spontaneo e privo di ogni paura il testo dell’onorevole di calabrese. Nucara nei suoi incontri compie una anatomia del mondo repubblicano, rendendolo vivo, intrigante, attraverso aneddoti, citazioni, profili, che restituiscono la statura di figure fondamentali, ma ignorate dal grande pubblico. Raccontando di idee e passioni che affascinano nel deserto ideologico attuale, dalla visione volontarista della politica del Grande Borghese Visentini, all’acume e alla visione d’insieme di Ugo la Malfa e della sua Nota aggiuntiva. Dalla figura byroniana e sottovalutata del De Gaulle Italiano Pacciardi all’immersione nei rapporti tra politica ed establishment. Personaggi che mostrano la figura di Nucara, le sue idee, le sue battaglie. Popolare e raffinato, colto ma allo stesso tempo non pedante. Un saggio repubblicano che fa vivere i suoi personaggi, mostrandosi più vivo, incisivo e vitale di tanti figuranti del nostro tempo, con meno anni e molta più arroganza.


Quale è il personaggio a cui è più legato e perché?


Non c’è un personaggio in particolare. Dal punto di vista umano la persona a cui sono più legato è
Emanuele Terrana. La persona che mi affascina di più è, invece, Pacciardi. Perché per tutti quella della mia età, negli anni sessanta-settanta, lui aveva la nomea (immeritata) di fascista, che gli ha fatto perdere il consenso di molti Repubblicani. Personaggio che ho poi riscoperto, come racconto nel libro, attraverso un vecchio repubblicano di Reggio Calabria, che regalandomi le memorie della guerra di Spagna di Pacciardi, mi ha fatto entusiasmare per questa figura. Tanto che ora posseggo una biblioteca composta da testi di e su Pacciardi.


In epigrafe lei cita Giovanni Bovio, per cui “la libertà non è una prostituta”, che cos’è per lei la libertà?

La libertà è la vita dell’uomo, privo di libertà l’uomo è un morto, nonostante operi, si muova, continui a sopravvivere, egli però non vive. Ripensando al mio passato, al mio paese, circondato dalla miseria, che non pativo ma potevo vedere, dove i bambini ti aspettavano davanti alla porta per chiederti una castagna, ho capito che non sarei potuto vivere lì, nonostante ricordi con nostalgia la mia vita di bambino. Da bambino il mio sogno era la città, era Reggio Calabria., non Roma. Roma venne dopo, quando già lavoravo. Una città che mi colpì soprattutto quando, dopo aver partecipato ad un concorso, vidi un uomo con la testa spaccata che si medicava ad una fontanella, assente agli occhi dei passanti. Lì capii che rispetto al mondo della provincia in cui ognuno vive sotto agli occhi di tutti, lì ognuno poteva vivere una sua vita. Perché in paese incontri tutti, in città incontri chi vuoi. La libertà è anche questo, è la propria indipendenza, pensai allora, anche se per me essa non può esistere senza il costruire. Senza un disegno creatore, idea che mi viene forse dall’esperienza di cantiere. 


Nel profilo di Visentini, lei accenna ad una visione della politica come entusiasmo e missione, è d’accordo con questa visione della militanza politica?

Si tratta di una visione che condivido totalmente. La politica deve essere passione, non un impiego fisso. Infatti io quando ho rinunciato a fare il deputato, nel 1994, mi sono messo a lavorare. Allo stesso tempo la politica è un servizio. Un servizio che si fa al proprio paese e che ha un costo per chi la fa. Un costo non in termini economici, ma in termini di rapporti umani, di rapporti familiari. Io non conosco i miei figli, anche se oggi le mie attenzioni sono rivolte ai nipoti. In politica i costi dal punto di vista dei sentimenti sono altissimi. Però è una passione che quando ti prende non ti lascia altro. È stata una cosa che mi ha preso totalmente per cui ho sacrificato molto. È una passione che nasce soprattutto dal confronto.  Molti giovani ora non hanno passione politica e forse ciò è spiegabile dal fatto che non esiste più un organismo come la sezione. Che non è solo un luogo del partito, ma diventava il punto d’incontro per stringere rapporti umani, permettendo di creare un gruppo compatto ed unito, come quando ai tempi in cui ero nella sezione di Cave Tuscolano, un certo distacco degli anziani del partito. Un distacco che c’è sempre stato e sempre ci sarà tra
le diverse generazioni. Ecco perché non condivido l’atteggiamento del partito nei confronti della Fgr,
perché un distacco c’è sempre in tutti i partiti a meno che non si veda in maniera oracolare il rapporto con la direzione.


In questi incontri lei sottolinea le idee e l’attualità delle proposte di alcuni di questi personaggi,
dall’esempio di quali di essi potrebbe partire una rinascita del Pri?

Per una rinascita del partito le idee sono necessarie, ma non sufficienti, bisogna ripartire dal proselitismo, dal rapporto con l’altro, mostrandosi come apostoli di una idea. La grande forza dei partiti popolari è che sono fatti di povera gente, di persone che vivevano e si innamoravano di una idea. Di convinzione, che è il presupposto di ogni passione. Ci vogliono poi soprattutto le idee, quelle di Mazzini, calate ed inserite nell’attualità. Ci vuole la cultura e l’analisi, che permettono alle idee di nascere. Tali idee, però, per potersi diffondere si devono incarnare tramite il proselitismo, tramite una azione di militanza e diffusione che deve partire da tutti i membri del partito, dai simpatizzanti ai dirigenti.

 
Nel suo libro parla di un partito con due anime, da un lato popolare, dall’altro elitaria, uno col popolo e un altro con l’élite. Lei a quale parte appartiene? 


Io appartengo ad una anima popolare, per idee, per estrazione, per valori. Come del resto Mazzini,
nonostante provenisse da una famiglia borghese era un figlio del popolo. Se dovessi dire un personaggio della parte elitaria del partito direi Giorgio La Malfa. Perché non aveva una anima popolare, né una estrazione popolare. Perché rappresentava nella nostra società l’elite.

Intervista a VINCENZO PROFETA

INTERVISTA VINCENZO PROFETA
Vincenzo Profeta è un pandemonio letterario, capace di fondere arte, visione, divinazione, scrittura, flusso di coscienza ed evocazioni degne di una messa nera. Nella sua opera “Palermo male” Profeta costruisce un romanzo che colpisce e annichilisce il lettore attraverso un layout fatto di glitch, collassi, sovrapposizione tra web, inconscio, videogame e rete thor. Attraverso uno stile tra Dante Virgili e l’Apocalisse di Giovanni, Solenoide di Cartarescu e Fuori piove sangue, ma senza la foga nevrotica del primo, senza i limiti del secondo. Scrivendo il metatesto, ergodico e celiniano della nostra deriva. Se un giorno dovessimo chiederci come Telegram, questo subconscio collettivo della nostra società, potrebbe scrivere un romanzo se fosse cresciuto e programmato in Sicilia, leggendo la Palermo Male(GOG EDIZIONI) di Vincenzo Profeta potremmo trovare la risposta.


Di recente lei ha recensito la lettura esoterica di True detective di Maculotti. Sarebbe possibile una
rilettura esoterica del suo ultimo romanzo, una Palermo Male svelata? E quanto è importante
l’esoterismo nella sua opera?


Si certo, infatti ho affidato la rilettura esoterica della Palermo male a Maculotti stesso…scherzo
ovviamente, ma credo gli sia piaciuta molto la mia recensione su intellettuale dissidente, e credo che
risponderà in qualche modo, io con l’esoterismo ho un rapporto mordi e fuggi, molto distratto, ovvero
cerco ciò che mi serve per le mie cose; per il resto, esoterismo oggi è una parola che oserei definire
violentata ed abusata, questa parola sta creando una nuova cultura pop, molti disinformatori stanno nella controinformazione per sabotarla, questo crea ed attira molta gente disadattata.


I personaggi del suo romanzo sono innovativi rispetto alle tipiche comparse dell’ultima letteratura. Sono veri, apocrifi e folli. Dove ha tratto l’ispirazione per essi? E a quali è più legato?


l’ho trovata in me e nella mia vita, e nel linguaggio di tutti i gironi, nei forum per complottisti etc, ho fatto un bel tritatutto, ero davvero stanco dei libri con le trame, o dei romanzi, so che va di moda dire che siamo stufi dei romanzi, ma io sono stufo delle trame, e della scrittura come intrattenimento sensato, a modo, e perfetto tipo catena di montaggio, usato come speculazione intellettuale di per se, come meccanismo per creare suspance o propaganda politica e ingegneria sociale. Vedi le serie netflix, e sono scritte da sceneggiatori con i contro cazzi, ma sono perfette e tutte e quasi uguali a mio avviso, di un patinato insopportabile, molte trame sono horror, distopiche o satanisteggiati, le trovo finte e posticce, io amo l’orrore che crea atmosfera, spazio , ambiente, aria, non personaggi fighi o eroici, per questo Lovecraft è un gigante, perchè in lui non contano molto i personaggi, ma l’atmosfera e la poesia. l’orrore scaturito dalla divinità demoniaca evocata, mi piace la letteratura di genere horror spazio-temporale, la poesia che ne sorge, la poesia è l’unica cosa che mi interessa e per cui vivo una vita artistica diciamo.

La religione è molto importante nella sua opera, si definisce uno scrittore religioso o spirituale o profetico(per scivolare nel basso enigmismo)? Quale è l’impatto della tradizione biblica e apocalittica nella sua opera?


Questa domanda è molto intelligente ti ringrazio di averla fatta, ho una formazione cristiana, ho un
rapporto di alti e bassi con la mia fede, sono stato molto anticattolico in passato, nei primi anni della mia vita, aderivo alle culture giovanili, poi ho scoperto che era tutto un condizionamento per allontanarti da dio, attualmente attraverso un periodo molto caotico, diciamo che sto cercando la mia fede, e sono molto discontinuo anche li, si perdono molte energie spirituali inconsapevolmente. La Palermo male è frutto di un studio sulla Apocalisse di Giovanni, molto complesso, è un ipertesto come la Bibbia ed ammicca alla kabala, mi sono avvalso della consulenza di almeno un paio di sensitivi per scriverlo, il libro rivela il nome dell’anticristo, se lo si legge bene, non so se ci ho beccato, dovesse essere cosi, bhe….

Walter Siti in un suo ultimo saggio parla della letteratura aumentata come probabile nuova tendenza letteraria. Il formato grafico della Palermo Male può appartenere a questa visione ? A chi si è ispirato?

Walter Siti ha ragione, ma la letteratura aumentata esiste da sempre, è una sorta di sottogenere nascosto, la bibbia oltre che un libro sacro molto complesso, è letteratura aumentata ad esempio, la Palermo male, lo è di certo, perchè vuole dare visioni e messaggi che vanno oltre il linguaggio scritto sulla pagina, certo non tutte le sensibilità possono cogliere certe cose, ma questo non è un genere che mi piacerebbe cavalcare per moda, se lo faccio è perchè sento di farlo. Il mio libro vuole comunicare con i ribelli di questa società, con le loro anima, vuole una poesia del No, cerca di organizzare una ribellione, una lotta di classe dei disgraziati, sta dialogando con un gruppo di sovversivi dell’anima, che ancora neanche si è costituito.

In molti episodi del romanzo si possono trovare riferimenti o almeno similitudini col background di un certo mondo accellerazionista, sicuramente più estetico che etico. Che legame ha con quel mondo e soprattutto con uno dei personaggi più controversi della Ccru, Nick Land?


l’io narrante di certo potrebbe essere un fanatico della nuova destra americana, ma non certo accellerazionista alla Nick Land, almeno lo è prima di una probabile conversione, il mio personaggio non è mai un positivista, il libro di Nick Land illuminismo oscuro, mi interessa per quello, perchè sembra associabile a certi miei personaggi, ed anche per come è scritto, è un manifesto molto potente, una propaganda ultra liberista molto convincente, scritta con molta sapienza letteraria, in molte cose sono d’accordo e mi affascina, ma se la soluzione è un transumanesimo liberticida ed eugenetico, non siamo molto lontani dalle soluzioni che propone certa sinistra socialisteggiante, io sono ancora umanista, e sono assolutamente certo che il transumanesimo, non è il futuro e non è la libertà, forse la bioetica sarà la libertà, ma neanche quello, sono un mediterraneo, e l’unica cosa che un po’ mi appartiene, anche se non nel senso turistico del termine, ma letterario.


Profeta, scrittore, ma anche artista, so che sta scrivendo un pamphlet sull’arte ce ne può parlare?


Si certo, non vedo l’ora di tornare a fare mostre anche solo per una questione di ego, adoro essere in
questa zona d’ombra, tra arte e letteratura, mi piace non essere inquadrabile, si scriverò un piccolo saggio sui graffiti, roba molto concentrata stavolta, la Palermo male dicono che sia lungo, ma era quello che ci voleva, in realtà è corto e molto cesellato, molte cose non le ho messe, ma il libro sui graffiti vi stupirà, è offensivo diciamo, ed è un metodo per non conformarsi alle mode, mi piacerebbe fosse letto nelle accademie e nelle scuole d’arte, vedremo che farà Gog, mi affido molto al loro modo di proporre le cose, con la Palermo male sono stati molto bravi, non sto leccando culi, ma sono i migliori!


Echaurren in un suo ultimo saggio dice che il “sonno dell’immaginazione genera mostre” e che l’artista contemporaneo ha smesso di fare opere per un mercato preferendo opere di mercato. Cosa ne pensa?

Penso che ha ragione, viviamo un periodo oscuro per le arti, siamo all’estinzione della forma artistica, in un mondo di tutti artisti l’arte è normale che svanisca, quella che si fa oggi non è più arte, ma una sorta di comunicazione pervertita, ma in un modo dove i social dominano, quanto ha senso tutto questo? Bisogna rassegnarsi esistono epoche dove l’arte sparisce e si nasconde, io con il laboratorio saccardi cerco di acchiapparla, ma serve per la mia vita, per quello che ho montato, per la mia maschera esistenziale che voglio sia coerente, perfetta ecco.