L’IMPERO COLPISCE ANCORA. TIQQUN E L’ANATOMIA DELLA GUERRA CIVILE

Tiqqun è il nome di uno dei più interessanti progetti collettivi della tradizione filosofica politica italiana. Nato nel 2001 come una testata collettiva, anonima di matrice anarchica, situazionista e rivoluzionaria tale testata italo francese si pone come un laboratorio sperimentale di decostruzione del mondo neocapitalista, un pulsante di autodistruzione del mondo della sorveglianza che mischia Carl Schmitt e Hegel, Foucault e Marx, Bakunin e Hobbes, il cui prodotto più interessante è “Introduzione alla guerra civile”(GOG EDIZIONI) da poco pubblicato dalla casa editrice romana di Lorenzo Vitelli. Un testo complesso e rivoltoso, che non vuole solo diagnosticare da un punto estremo la società capitalistica, ma portarla al collasso e all’implosione. Strutturato come un trattato teologico politico del medioevo biopolitico, l’introduzione è un testo dinamitardo e fulminante che configura nelle sue numerose pagine un glossario, un arsenale di rivolta contro il mondo moderno. Le teorizzazioni di Tiqqun aldilà di una adesione ai principi professati sono dei diamanti concettuali, che analizzano le contraddizioni delle forme politiche realizzando una storia segreta del potere e della società nelle loro ipertrofiche confusioni.
In principio non è il verbo o il corpo, ma la forma di vita. La forma di vita, non è l’individuo, il corpo, la vita, è la polarizzazione intima della vita stessa, non ciò che si è, ma come si è ciò che si è. Forma di vita è la prima parola da tenere a mente. Tale concetto però non riguarda i predicati che si sussumono all’uomo, (nazionalità, etnia, genere, ruolo sociale, appartenenza religiosa) bensì la sua inclinazione più profonda, la cui natura è il bersaglio del Bloom. Il Bloom è, l’indole, l’umore, lo stato di agitazione che riguarda l’uomo alienato dalla società capitalistica che tende inevitabilmente verso il nulla. È l’anestesia di ogni forma di vitalità dell’uomo della end of history. Disinnescato da ogni emozione, da ogni vera inclinazione, tale creatura vive come un (ni)ente del mondo del nichilismo realista capitalista cullandosi tra l’assenza di gusto ed il gusto dell’assenza. Assenza del sacro, di radici, di pulsioni, di conflittualità, come in un acquario macchinico in cui il tempo e l’esistenza sono affogati dalla pubblicità e dalle inibizioni. Bloom è la seconda parola da tenere a mente. Ora la forma di vita il cui stato d’animo ed umore caratterizzante è il Bloom è ostaggio della rete della comunicazione, dell’acquario del consumismo, delle catene dell’alienazione neocapitalista a livello spirituale ed esistenziale, mentre a livello politico, o meglio biopolitico è imprigionata dal potere della società della sorveglianza, che si realizza come società totalitaria, in cui lo stato e la pervasività del potere si confondono in una struttura di panopticon diffuso in cui tutti sono sorvegliati e sorveglianti. La congiunzione di questa cappa “spirituale” la cui massima rappresentazione è lo “spettacolo”, con il potere biopolitico dello stato di polizia permanente è “l’impero”. L’Impero è la forma in cui si è costituita la società capitalista moderna. Servendosi dell’apparato spettacolare e di quello biopolitico, esso è dissolto nelle sue manifestazioni; è ovunque, perché non è in nessun luogo. Appare solo laddove l’ordine imperiale viene contestato, per ristabilire una normalità la cui cifra ideologica è l’indifferenza. Impero è la terza parola della Trinità di Tiqqun. Ora le forme di vita hanno una natura che le orienta al conflitto, alla guerra civile; lo scontro tra forme di vita, aldilà dei vari predicati che ad esse sono collegate, è intrinseco nella esperienza umana diventando il principio fondante della coesistenza di esse. Lo scontro ed il conflitto è l’assunto fondante della politicità delle forme di vita per Tiqqun, le quale si uniscono per affinità di inclinazioni in comunità, le quali sono perennemente orientate allo scontro. La società capitalistica, il cui garante è l’impero, per mantenere il primato del mercato, che disintegra la comunità in atomi che proiettano le loro pulsioni alla guerra civile nel mercato, come estensione del dominio della lotta, in realtà si nutre di surrogati per entità che sono alienate e disinibite. Non potendo continuare una dialettica conflittuale le forme di vita surrogano la loro indole alla guerra civile in guerre di predicati, simulazioni e surrogazioni della guerra civile, che si traducono in conflitti su temi come la differenza etnica, di genere, d’orientamento, di appartenenza religiosa. Conflitti che frammentano ancora di più il tessuto sociale e allo stesso tempo scaricano le forze sociali da ogni forma di emancipazione per Tiqqun, non contestando o difendendo la società capitalistica e l’impero ma proiettando verso di essa scontentezza e indifferenza. Per tale ragione l’impero si configura come degenerazione finale della modernità che da stato liberale a stato totalitario a stato sociale, realizza una forma di governo in cui la società è statalizzata e lo stato è socializzato, configurandosi come una struttura ibrida tra una integrazione di asset orizzontali ed un potere diffuso ed immateriale. Da qui il dissolvimento di ogni forma di sovranità personale, di limite geografico politico, privilegiando invece una struttura dematerializzata e transnazionale. Senza confini, senza leggi, in cui governano norme e predicati per frammentare e condensare il reale. Un Moloch fluttuante che non elimina le differenze, ma le sradica e disinnesca trasformandole in simulacri. Una forma di egemonia planetaria e immateriale che si invera nel reale solo dissolvendo ed annichilendo ogni forma di differenza sostanziale, ogni impeto conflittuale, ogni vera manifestazione di radicamenti e legami e che quindi vede nel disarmo nella decostruzione il linguaggio principale della sua espansione. Una espansione impersonale la cui cinghia di distribuzione è la tecnostruttura del sistema capitalista e che in questa definizione trova la sua massima spiegazione: impersonale, diffusa, totalitaria, pianificatrice, dogmatica. L’impero per Tiqqun non è infatti il capitalista o il dittatore o il manager, che in questa fase non sono altro che proiezioni cinematografiche di questo potere, simulacri irreali di sublimazioni collettive; in realtà l’impero va concepito come un ambiente ostile che aliena e condiziona l’agire umano. Tiqqun quindi si pone come il media sperimentale di una insurrezione totale contro tale ambiente che non vuole correggere ma spingere al collasso. Un manuale di guerriglia intellettuale che si pone come il bottone del giorno del giudizio della società della sorveglianza e che lancia la sua sfida per la rivolta del partito rivoluzionario contro l’impero. Una teorizzazione infruttuosa per quanto interessante che mostra come l’impero colpirà ancora…