– Francesco Subiaco
C’è un fiume carsico nella storia della filosofia che da sempre ha cercato di rompere i dualismi che compongono e formano l’animo umano, attraverso una sintesi ed identità tra essi. Cuore e ragione, Mente e Corpo, Res cogitans e Res Exstensa, ciò che è contro ciò che appare. Il mondo e l’uomo sono sempre stati rappresentati tramite delle separazioni, quando invece andavano descritti attraverso delle distinzioni. È questa la svolta filosofica che porta il panteismo. Rappresentare l’identità tra mente e materia, tra libertà e necessità, tra il mondo e Dio. Una rappresentazione che da David di Dinant a Spinoza, passando per Bruno e Cusano ha rappresentato un punto di rottura con la tradizione occidentale. Per riscoprire questa visione è necessario leggere il testo di Emanuele Dattilo “Il dio sensibile. Saggio sul panteismo” (NERI POZZA). Attraverso il saggio il lettore si trova di fronte alla realtà di un mondo in cui il trascendente si fonde con l’immanente, l’intellegibile col sensibile, una visione che libera, secondo il suo autore, gli uomini dalle prigioni dei paradisi perduti delle religioni, dalle trappole degli spiritualismi, già decostruite nel Trattato teologico politico di Spinoza, che con la promesse di un altrove soprannaturale e il timore-tremore della crociata tra bene e male, rinchiudono l’uomo nei paradisi artificiali della provvidenza, del libero arbitrio, del castigo millenario. Il panteismo, che per Bruno, David di Dinant e altri autori, si configura come un materialismo, permette all’uomo di ripensare la realtà e il concetto stesso di felicità, superando i dualismi e le narrazioni messianiche. Tramite una visione per cui nell’unità tra sensibile e intellegibile il male non esiste, la coscienza è un frutto della sensibilità, ripensando le maggiori categorie dell’occidente. In questo periodo di crisi del modello dualistico occidentale, di fusione tra singolo e società il panteismo diventa il tema capace di interrogare gli uomini sulla sofferenza, sulla possibilità di una felicità nella necessità, di un’etica senza dannazione e giudizio universale. Una sfida che Dattilo pone, attraverso un saggio meticoloso su tale filosofia, che non può non sconvolgere un tempo in cui alla a-theologia abbiamo sostituito la atheo-òlogia.