True Detective è una biblioteca di Babele dell’orrore, un palazzo di Atlante di rimandi inquietanti che si incrociano, sovrappongono e biforcano in una serie oscura, esoterica, nichilista. Un progetto straordinario che grazie a Nick Pizzolatto ha trasformato il modo di concepire il lato tenebroso e recondito della paura e del crimine. Attraverso la maschera pessimista e disincantata di Rist Cohle, che immerge lo spettatore in una vicenda dove crimine, satanismo, paganesimo e potere si fondono in un vivaio di simboli e rimandi. Dalle montagne della follia al re in giallo. Ne parliamo con Marco Maculotti che ha scritto per MIMESIS il commento esoterico della prima stagione della serie:”Carcosa svelata. Per una lettura esoterica di True Detective”.
Perché Carcosa Svelata, che storia ha questo titolo?
Solitamente chiunque guardi la prima stagione di True Detective senza aver letto o senza conoscere le opere di Ambrose Bierce e soprattutto di Robert W. Chambers è portato a credere che Carcosa sia nella serie di Pizzolatto semplicemente il luogo in cui i membri dell’abietta setta della palude si trovano per compiere i loro sacrifici, luogo che nell’ultimo episodio sembra coincidere con la baracca di Errol Childress. Chi invece ha letto i racconti che formano la silloge “The King in Yellow” sa che Carcosa è un luogo metafisico, extraterrestre, addirittura extra-galattico. Nei racconti in questione si fanno precise menzioni astrologiche. Quindi sono più portato a credere che la proprietà di Childress o qualsiasi altro luogo terreno possano al massimo essere visti come “doppi terreni” della vera Carcosa, che è piuttosto il luogo fuori dal tempo e dallo spazio in cui giunge Rust Cohle in coma, alla fine della serie. Nel libro, chiaramente, spiego le ragioni su cui baso questa mia lettura.
Quale è il secondo livello delle stragi della Louisiana, quante corrispondenze trovi con la cronaca nera, dal mostro di Firenze ad altre esperienze controverse? Il confine tra complottismo e realtà oscura quanto è sottile in queste vicende?
Effettivamente la prima stagione di True Detective è disseminata di menzioni che danno molto da riflettere, oltre al fatto che l’intera serie si basi su un certo tipo di delitti rituali portati avanti da una setta di individui molto altolocati, presenti sia nel clero che a livello politico-amministrativo, o ancora nelle forze di polizia. Questo per dire che non sono nemmeno piccole citazioni buttate lì a caso, al contrario tutti gli indizi a riguardo sono incastonati in uno scheletro narrativo su cui il regista è molto chiaro. Anche nelle due stagioni successive ci sono degli indizi sparsi, tuttavia solo la prima è interamente incentrata su questo tipo di tematica (non solo su questa però, ovviamente). Nel libro paragono la prima stagione di True Detective a film del passato in cui mi pare di trovare una sorta di “filo rosso”: Eyes Wide Shut e Rosemary’s Baby non possono non essere nominati, ma quello che considero davvero sensazionale è italiano, La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado, uscito esattamente 50 anni fa. Approfittando dell’anniversario ci ho scritto un articolo che uscirà nelle prossime settimane per il numero 0 della rivista Massacro, pubblicata dall’Industria Tipografica Novocarnista, con cui ho diverse collaborazioni in ballo.
Chambers e il re giallo, machen e Pan, Bierce e Carcosa. Ci puoi raccontare i miti oscuri di True detective? Soprattutto chi è il re giallo e quali sono i suoi doppi?
Non direi che il Re in Giallo abbia degli scopi, sicuramente non degli scopi per come li intendiamo noi umani. In realtà non credo nemmeno sia un personaggio a sé, con una propria mente e cose del genere, quanto piuttosto una terribile epifania che ha a che fare con la maledizione dell’eterno ritorno, con il tempo divoratore, con il dramma cosmico basato sulla legge di involuzione ciclica, sul destino come dannazione, e via dicendo; tutte elucubrazioni che nel libro cerco di spiegare in termini più razionali possibili, rifacendomi non solo alla letteratura fantastica ma anche alla storia delle religioni (Eliade) e del pensiero filosofico nichilista (Cioran, Schopenhauer e tutti gli altri di cui parla anche Ligotti nella sua Cospirazione contro la razza umana). Ma soprattutto penso che il Re in Giallo sia un’epifania che risveglia un ricordo in fondo all’anima, una memoria fuori dal tempo e dallo spazio che da una parte sembra dolce come l’oppio, ma dall’altra è terribile nella sua rivelazione. Qualcosa di simile a quanto successe a Nietzsche in occasione della rivelazione dell’Eterno Ritorno a Sils Maria. Qualcosa che ha che fare con quella che Mircea Eliade chiamava la Nostalgia delle Origini.
Da Ligotti a Lovecraft chi sono gli ideologi della serie o i suoi maestri latenti?
Il vero ideologo non può che essere Thomas Ligotti, perché, come ha esplicitamente ammesso in più di un’occasione, il regista Pizzolatto si è ispirato in primis alla sua Cospirazione contro la razza umana. Il fatto però è che Ligotti nel suo saggio ha ripreso almeno tremila anni di storia delle idee, dalle Upanishad indiane all’orrore cosmico di Lovecraft. Quindi bene o male tutto quanto ha ispirato Ligotti ha ispirato per osmosi anche il regista nella scrittura di True Detective.
Che ruolo hanno il soprannaturale e l’assoluto nella tua ricerca filosofica?
Un ruolo centrale, perché sia che io scriva di storia delle religioni sia che io scriva di letteratura del fantastico o, come in questo caso, di una serie tv, la prospettiva principale è sempre la stessa, cioè il riconoscimento di un Totalmente Altro, di un Mysterium Tremendum, come il teologo tedesco Rudolf Otto definiva con due efficientissime locuzioni il senso più profondo del Sacro. Da questa prospettiva, tra l’altro, soprannaturale e assoluto finiscono non di rado per sovrapporsi, o come minimo per sfiorarsi.