– FRANCESCO SUBIACO

Il solenoide è una bobina di filo conduttore, avvolto a spirale, capace di generare un campo magnetico. Comunemente è usato da ingegneri o scienziati, ma è anche studiato spesso da studenti di liceo, che imparano facilmente ad odiarlo incappando nei problemi di fisica. Si tratta di un oggetto banale e di comune reperimento, che però è la chiave per entrare in un mondo visionario e bizzarro, oppressivo e affascinante: il mondo di Mircea Cartarescu. Un mondo che Cartarescu rende unico e personalissimo attraverso uno dei suoi maggiori romanzi, “Solenoide”(IL SAGGIATORE). Solenoide è un testo monumentale di circa mille pagine, la vicenda straniante e affascinante di un protagonista del sottosuolo. L’opera si svolge in una Bucarest paranoica e surreale, al crepuscolo della dittatura comunista di Ceasescu, seguendo le vicende di un professore frustrato e fallito che immerge il lettore nella sua torbida psiche delirante. Una discesa infernale nel sottosuolo di un alter ego dello scrittore, che al contrario di Cartarescu è stato frainteso e spietatamente oscurato dalla critica, per la sua opera “La caduta”. Una caduta che accompagna le disavventure del protagonista, in una immersione nel terribile che si nasconde in ogni personaggio ed individuo. Questo scrittore, prigioniero della propria oscurità, vive in un ambiente da Castello kafkiano, solo che la gabbia, il processo, che investe e precipita su questo Gregor Samsa delle lettere romene, non è solo un meccanismo esterno, un “complotto” del mondo contro di lui. È una catena di oppressioni, di deliri, di tuffi nel marcio dell’esistenza che nelle pagine di Solenoide fa scivolare il lettore in una “cospirazione” interiorizzata dal protagonista. Un disagio ed uno smarrimento che combaciano con un ambiente repressivo e totalitario, fatto di premi “al bambino ateo più buono”, della retorica di cartapesta sui miti della dittatura comunista, la rassegnazione e lo squallore di una vita periferica e omologata. Il professore di Cartarescu cerca una via di fuga, una valvola di sfogo. Una tregua dal mondo e dalle sue disperazioni. In una Bucarest, simile ad un grande malinconico museo industriale, in cui le vicende del protagonista si fanno più surreali, allucinate, postmoderne. Dalle messe nere negli obitori, alle passeggiate oniriche nei sogni notturni del professore, dalla monotonia burocratica standardizzata a bibliotecari messianici, scienziati folli e nevrotici, tra allegorie, simboli, visioni e rivelazioni. Una galleria di immagini e suggestioni che fondano le sagome inquietanti e metafisiche di Giorgio De Chirico,con gli incubi mostruosi di Bosch, le caricature della propaganda con le deformazioni di Francis Bacon. Costruendo una Cappella Sistina delle oppressioni e delle inquietudini umane, in cui Cartarescu fonde la sua cultura variegata ed eclettica con il suo stile personalissimo, facendo entrare il lettore a volte nei suoi sogni altre nei propri luoghi oscuri. Un incontro che viene filtrato e alluso, che si espande e che trafigge, attraverso uno stile opulento e raffinato, allucinato e iperrealistico, crudele e visionario. Dove ogni parola è il trampolino per un assoluto sempre più intenso, un salto maggiore verso una fuga verticale, una elevazione mistica, dalle oppressioni e dalle prigioni della vita. Una evasione verticale da quella città della mente, irreale e concretissima che si sbiadisce e colora, esitando a volte le torri del castello di Kafka, i corridoi della Biblioteca di Babele di Borges, i cortocircuiti postmoderni di Wallace e Pynchon. Sfumature e strumenti diversi orchestrati da uno stile, quello di Cartarescu, sempre nuovo, sempre diverso. Infernale come Dante, psicotico come Burroughs, onirico come Dalì, innovativo come Kubrick, sconvolgente come un anime di Satoshi Kon. Tra Paranoia Agent e Shining, Infinity Jest e il cinema dei fratelli Latilla. Una storia quella del professore, infestata da presenze entomologiche inquietanti, di parassiti onnipresenti, mosche, pidocchi, acari, che seguono e tormentano le vicissitudine di questo opulento trascrittore. Un viaggio tra deliri e deliranti che lo porta ad estasiarsi dei solenoidi che circondano e si nascondono in questa Babilonia romena. Che come amuleti infestati faranno sollevare la città, simile ad una medusa volante ectoplasmatica di rottami e rovine. Questa città che si solleva, trascinandosi sopra i deliri della setta del profeta Virgil, le nevrosi burocratico-ideologiche dell’apparato, si alza come una Laputa infernale. Contrariamente al finale di Fight club di Fincher, in cui un altro anonimo si risveglia vedendo un mondo che crolla e che non gli appartiene più, con in sottofondo Where is my mind dei Pixies, l’anonimo cartareschiano inizia la sua redenzione, in nome dell’amore , della solidarietà di quel legame universale che lo porta ad ascendere dalla prigione della realtà, mentre il suo mondo si solleva(in sottofondo avrebbe forse Black ot days di Phantogram). Perché se ogni vero libro ha senso solo se evangelo, allora l’anonimo si fa soter, salvatore, cercando di attraversare una porta oltre cui si nasconde un altrove un segreto, che rende imprescindibile il finale di Solenoide. Leggendo Solenoide il lettore si troverà di fronte ad una esplosione di immagini, un “tumore di parole”, un riflesso distorto e dechirichiano di “Abbacinante”, un libro labirintico e apocalittico. Il filo di Arianna per il male del vivere, la rivelazione di un altrove in cui morire come città, come anonimo, come folla solitaria, per rinascere, finalmente, come uomo.