Abbiamo intervistato Adalberto Ravazzani, giornalista, scrittore ed autore di libri, oltre che divulgatore di argomenti e visioni liberali. Infatti, nel complesso momento attraversato dalla nostra nazione, con una prevaricazione dello Stato sull’individuo sempre più evidente, ascoltare analisi di matrice liberale ed individualista è preziosa fonte d’ossigeno.
In che modo valuti l’attuale scenario politico italiano?
Lo scenario politico italiano è l’immagine tangibile della decadenza culturale dell’Italia. Il popolo italiano ha scelto una classe politica miserrima, inefficiente e rinchiusa nella torre d’avorio dei propri privilegi, perché ha perso completamente il proprio baricentro morale. Per anni si è parlato solo e solamente di diritti, inebriati dalla retorica sessantottina dei diritti separati dai doveri. Non dobbiamo stupirci se poi vengono eletti politici privi di scrupoli o responsabilità. Quello che bisogna tenere a mente è che la rinascita politica può avvenire solamente attraverso una rivoluzione culturale, dominata da sani principi, obblighi, doveri e responsabilità. Max Weber, insuperabile sociologo del ‘900, ne “La politica come professione” distingueva il vivere “di” politica (von die Politik), dal vivere “per la” politica (für die Politik), esercitandola cioè per passione o per responsabilità verso la comunità. Dobbiamo recuperare questo secondo aspetto per sperare contro ogni speranza in una nuova alba istituzionale e politica, contro le rendite parassitarie del parlamentarismo come “professione”.
Di che misure economiche avrebbe bisogno la nostra nazione in tale momento storico?
L’Italia è una delle roccaforti dello statalismo più sfrenato. L’intero impianto accademico, culturale, burocratico e politico è avverso alla libera impresa privata. È passata l’idea che il “fare impresa” sia sinonimo di sfruttamento e schiavitù. Ma non è così. In Italia c’è uno stato che soffoca e opprime gli agenti economici e le imprese private. La pressione fiscale ha toccato punte impressionanti. Se poi aggiungiamo le imposte indirette, il cuneo fiscale o banalmente le imposte sugli immobili, troviamo un terreno arido ove creare ricchezza. Lo sviluppo economico, date queste condizioni, è quasi impossibile. Questa situazione inoltre danneggia i lavoratori dipendenti privati, i quali si ritrovano con meno liquidità in busta paga per far fronte ai consumi e agli imprevisti. Ogni risorsa che viene sottratta ai cittadini tramite “la spoliazione legale” (per citare Bastiat) serve per finanziare servizi pubblici scadenti e obsoleti, per non parlare di un esercito di dipendenti pubblici alle spese del libro paga della burocrazia centrale, quindi a carico dei contribuenti. L’Italia ha bisogno, a mio avviso, di un’unica manovra economica: quella del laissez faire; del lasciare fare al mercato e alle imprese private. Solo in questo modo si può raggiungere un optimum, un tale livello di ricchezza da far prosperare l’intera nazione. Come diceva Adam Smith, padre del liberismo economico, nel cercare il proprio interesse personale, l’individuo aumenta la ricchezza ed il benessere generale.
Ritieni che la classe giornalistica italiana abbia svolto un buon lavoro informativo durante l’emergenza pandemica?
I giornalisti sono complici di un sistema di informazione che si è contraddistinto per l’utilizzo di un linguaggio del terrore o apocalittico. A causa dei giornalisti o, banalmente, dei virologi televisivi, molte persone hanno perso completamente fiducia nella scienza. Tutto questo è imperdonabile. Io credo che un giornalista debba essere il più obiettivo possibile. Tutta la sfera dell’irrazionale, come le emozioni negative, il panico, la paura, il terrorismo psicologico, devono essere espulsi dal vocabolario giornalistico. Le armi concettuali devono essere la chiarezza e l’amore per la verità. Il giornalista deve essere come un ragioniere e deve utilizzare il metodo del raziocinio e della compostezza. Tutto il resto è demagogia giornalistica che alimenta odio e disinformazione.
In che modo è possibile cambiare la nostra cultura sociale, che vede quasi sempre inserirsi lo Stato in economia ed in ogni ambito individuale?
Bisogna intervenire nel mondo dell’istruzione. Javier Milei, economista libertario argentino, rifacendosi alla grande tradizione liberale, ha affermato che la nostra società è malata di collettivismo proprio a causa dell’ideologia distorta che viene inculcata nei giovani dagli apparati dell’istruzione pubblica, come scuole e università. Non è un caso che giovani studenti delle scuole o delle università siano accecati dall’ideologia progressista. Io sono un antiaccademico per definizione come Schopenhauer e non tollero nessun tipo di educazione basata sulla sottomissione, sullo statalismo e sui residui del marxismo. Non è un caso che gli interi programmi scolastici e accademici siano basati sull’astio e su una montagna di falsità per esempio sul periodo storico della Rivoluzione Industriale. Come se ciò non bastasse, nelle aule passa quasi sempre il messaggio che la libera impresa sia un male da affossare dialetticamente e moralmente. Se fossimo capaci di privatizzare totalmente l’istruzione saremmo in grado di limitare anche la sfera di intervento dello stato nella vita degli individui. Dobbiamo tutelare i diritti inalienabili della persona: la proprietà privata, la libertà e la sicurezza. Il resto sono chiacchiere. Per questo va limitato il monopolio pubblico dell’istruzione.
Parlaci delle tue ultime pubblicazioni letterarie e giornalistiche.
A cosa ti stai dedicando principalmente?
Il primo articolo l’ho pubblicato a quindici anni, sulla Provincia Pavese. Ora ho 26 anni e collaboro con “Il Settimanale Pavese della mia città”. Ho collaborato (come articolista)con Istituto Liberale e con il centro studi della Libreria Del Ponte di Bologna, edificio del sapere fondato da uno dei miei maestri liberali: Guglielmo Piombini. Ho appena pubblicato due libri: Il primo volume dal titolo: Cavalieri d’Italia a Pavia dal 2010, Per solidarietà e cultura, contiene una disanima di quali sono le benemerenze ed i titoli onorifici civili, del sistema premiale che sta alla base del loro conferimento, nonché una rassegna stampa a testimoniare i numerosi riconoscimenti che la stampa del territorio ha voluto significativamente elargire all’Unione Nazionale Cavalieri d’Italia della provincia di Pavia. Il libro contiene numerosi articoli di cultura che ho pubblicato nel corso della mia consolidata carriera. Il secondo volume dal titolo: Cavalieri d’Italia a Pavia dal 2010, Un patrimonio di valore e di valori, contiene un breve ma significativo profilo dei soci che hanno inteso partecipare al progetto, offendo una significativa descrizione delle persone. Tra poco pubblicherò un terzo libro che è la raccolta divulgativa dei miei articoli pubblicati nel corso del tempo, con una particolare attenzione alle dinamiche liberali, libertarie e conservatrici.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare l’impegno nella divulgazione, nel giornalismo e nella scrittura. Sono la mia motivazione di vita. Nella mia vita privata sono un instancabile lavoratore nell’impresa di famiglia. Con dedizione e impegno porto avanti con passione una mission, incominciata tanti anni fa, da quei grandi uomini che hanno reso insuperabile il nostro paese. Nella mia esistenza non c’è spazio per le cose esteriori e banali: disciplina, scrittura e lavoro sono la mia linfa vitale. Per questo devo ringraziare la mia famiglia che mi ha insegnato la responsabilità, la laboriosità e la tenacia. Ed è la famiglia il nucleo centrale, oggi, da salvaguardare con tutte le nostre forze.