INTERVISTA FRANCESCO NUCARA

INTERVISTA FRANCESCO NUCARA


Leggendo gli “Incontri con la politica. Storia di un repubblicano di Calabria”(Rubettino) dell’On. Francesco Nucara, il lettore potrà imbattersi in una autobiografia per personaggi. Ovvero in un’opera in cui man mano che il narratore ci illustra gli attori di oltre mezzo secolo di politica italiana, si mostra, si rivela, si toglie un po’ del riserbo del cronachista per vestire i panni del testimone. Raccontando una storia che nasce nella Calabria rurale e si evolve nei congressi romani del Pri, attraversando i palazzi galanti del berlusconismo, le ceneri della prima repubblica e i fasti dell’epoca dei partiti. Una autobiografie per tappe, per occasioni, che non ha però il vezzo morettiano di parlare degli altri per parlare sempre di sé, e che invece riesce a calare il lettore in un mondo lontano e distante. Il mondo della politica per professione e vocazione, dei partiti delle identità forti, della militanza come missione, come confronto sociale prima che come carriera o opportunità. Permettendo di mostrare un contesto tanto complesso e articolato come quello repubblicano,
con i suoi idoli, con i suoi maestri. Senza scadere nell’agiografia, nell’adulazione, con un taglio obiettivo senza essere gelido o distante o noioso come tanti libri di politica e di politici. L’ex viceministro e protagonista della segreteria del PRI per quasi vent’anni offre un saggio schietto e lucido in cui parafrasando Bovio si sente come un segno di vergognosa paura il non dire ciò che si pensa, rendendo vero, spontaneo e privo di ogni paura il testo dell’onorevole di calabrese. Nucara nei suoi incontri compie una anatomia del mondo repubblicano, rendendolo vivo, intrigante, attraverso aneddoti, citazioni, profili, che restituiscono la statura di figure fondamentali, ma ignorate dal grande pubblico. Raccontando di idee e passioni che affascinano nel deserto ideologico attuale, dalla visione volontarista della politica del Grande Borghese Visentini, all’acume e alla visione d’insieme di Ugo la Malfa e della sua Nota aggiuntiva. Dalla figura byroniana e sottovalutata del De Gaulle Italiano Pacciardi all’immersione nei rapporti tra politica ed establishment. Personaggi che mostrano la figura di Nucara, le sue idee, le sue battaglie. Popolare e raffinato, colto ma allo stesso tempo non pedante. Un saggio repubblicano che fa vivere i suoi personaggi, mostrandosi più vivo, incisivo e vitale di tanti figuranti del nostro tempo, con meno anni e molta più arroganza.


Quale è il personaggio a cui è più legato e perché?


Non c’è un personaggio in particolare. Dal punto di vista umano la persona a cui sono più legato è
Emanuele Terrana. La persona che mi affascina di più è, invece, Pacciardi. Perché per tutti quella della mia età, negli anni sessanta-settanta, lui aveva la nomea (immeritata) di fascista, che gli ha fatto perdere il consenso di molti Repubblicani. Personaggio che ho poi riscoperto, come racconto nel libro, attraverso un vecchio repubblicano di Reggio Calabria, che regalandomi le memorie della guerra di Spagna di Pacciardi, mi ha fatto entusiasmare per questa figura. Tanto che ora posseggo una biblioteca composta da testi di e su Pacciardi.


In epigrafe lei cita Giovanni Bovio, per cui “la libertà non è una prostituta”, che cos’è per lei la libertà?

La libertà è la vita dell’uomo, privo di libertà l’uomo è un morto, nonostante operi, si muova, continui a sopravvivere, egli però non vive. Ripensando al mio passato, al mio paese, circondato dalla miseria, che non pativo ma potevo vedere, dove i bambini ti aspettavano davanti alla porta per chiederti una castagna, ho capito che non sarei potuto vivere lì, nonostante ricordi con nostalgia la mia vita di bambino. Da bambino il mio sogno era la città, era Reggio Calabria., non Roma. Roma venne dopo, quando già lavoravo. Una città che mi colpì soprattutto quando, dopo aver partecipato ad un concorso, vidi un uomo con la testa spaccata che si medicava ad una fontanella, assente agli occhi dei passanti. Lì capii che rispetto al mondo della provincia in cui ognuno vive sotto agli occhi di tutti, lì ognuno poteva vivere una sua vita. Perché in paese incontri tutti, in città incontri chi vuoi. La libertà è anche questo, è la propria indipendenza, pensai allora, anche se per me essa non può esistere senza il costruire. Senza un disegno creatore, idea che mi viene forse dall’esperienza di cantiere. 


Nel profilo di Visentini, lei accenna ad una visione della politica come entusiasmo e missione, è d’accordo con questa visione della militanza politica?

Si tratta di una visione che condivido totalmente. La politica deve essere passione, non un impiego fisso. Infatti io quando ho rinunciato a fare il deputato, nel 1994, mi sono messo a lavorare. Allo stesso tempo la politica è un servizio. Un servizio che si fa al proprio paese e che ha un costo per chi la fa. Un costo non in termini economici, ma in termini di rapporti umani, di rapporti familiari. Io non conosco i miei figli, anche se oggi le mie attenzioni sono rivolte ai nipoti. In politica i costi dal punto di vista dei sentimenti sono altissimi. Però è una passione che quando ti prende non ti lascia altro. È stata una cosa che mi ha preso totalmente per cui ho sacrificato molto. È una passione che nasce soprattutto dal confronto.  Molti giovani ora non hanno passione politica e forse ciò è spiegabile dal fatto che non esiste più un organismo come la sezione. Che non è solo un luogo del partito, ma diventava il punto d’incontro per stringere rapporti umani, permettendo di creare un gruppo compatto ed unito, come quando ai tempi in cui ero nella sezione di Cave Tuscolano, un certo distacco degli anziani del partito. Un distacco che c’è sempre stato e sempre ci sarà tra
le diverse generazioni. Ecco perché non condivido l’atteggiamento del partito nei confronti della Fgr,
perché un distacco c’è sempre in tutti i partiti a meno che non si veda in maniera oracolare il rapporto con la direzione.


In questi incontri lei sottolinea le idee e l’attualità delle proposte di alcuni di questi personaggi,
dall’esempio di quali di essi potrebbe partire una rinascita del Pri?

Per una rinascita del partito le idee sono necessarie, ma non sufficienti, bisogna ripartire dal proselitismo, dal rapporto con l’altro, mostrandosi come apostoli di una idea. La grande forza dei partiti popolari è che sono fatti di povera gente, di persone che vivevano e si innamoravano di una idea. Di convinzione, che è il presupposto di ogni passione. Ci vogliono poi soprattutto le idee, quelle di Mazzini, calate ed inserite nell’attualità. Ci vuole la cultura e l’analisi, che permettono alle idee di nascere. Tali idee, però, per potersi diffondere si devono incarnare tramite il proselitismo, tramite una azione di militanza e diffusione che deve partire da tutti i membri del partito, dai simpatizzanti ai dirigenti.

 
Nel suo libro parla di un partito con due anime, da un lato popolare, dall’altro elitaria, uno col popolo e un altro con l’élite. Lei a quale parte appartiene? 


Io appartengo ad una anima popolare, per idee, per estrazione, per valori. Come del resto Mazzini,
nonostante provenisse da una famiglia borghese era un figlio del popolo. Se dovessi dire un personaggio della parte elitaria del partito direi Giorgio La Malfa. Perché non aveva una anima popolare, né una estrazione popolare. Perché rappresentava nella nostra società l’elite.

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