di Alberto Capone
Queste sono le parole, o meglio le minacce, del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping riferendosi all’isola di Taiwan che continua a riaffermare la propria indipendenza. La risposta del presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, non si è fatta attendere: “non ci piegheremo alle pressioni della Cina”.
Il futuro di queste due nazioni appare evidentemente carico di tensioni ma un ruolo chiave per la pace lo potrebbe giocare la comunità internazionale, in particolar modo l’Europa e gli USA, a patto naturalmente che non rimangano spettatori di una possibile tragedia esattamente come è successo durante le proteste di Hong Kong nel 2019 e nel 2020. Può darsi infatti che il Grande Dragone Rosso stia approfittando dei nuovi rapporti di forza internazionali post-Covid e della dimostrazione di debolezza del presidente Biden durante la crisi dell’Afghanistan, per assumere questo atteggiamento da “bulletto” dell’Oriente, quasi consapevole quindi che nessuno interverrà. Alcuni ritengono che questa sorta di guerra fredda abbia cominciato a prendere una brutta piega già dopo la crisi di Hong Kong, quando le strade di Taiwan si sono riempite di proteste anti-cinesi, in segno di solidarietà ai vicini hongkonghesi, infastidendo così il presidente Xi Jinping. Secondo altri invece la Cina sarebbe spaventata da quelle nazioni vicine, come il Giappone o la Corea del Sud, da lei ritenute troppo occidentali e su cui ritiene sia necessario esercitare pressioni politiche, economiche e militari; a suo modo di vedere infatti tali pressioni sono necessarie per allontanarle dall’influenza del nemico americano e garantirne il controllo. Gli aerei militari cinesi che stanno sorvolando i cieli di Taiwan, violando le norme internazionali, oggi mettono in serio pericolo l’incolumità dei taiwanesi che un domani potrebbero essere privati della loro democrazia, e ritrovarsi sottomessi ad una dittatura comunista, irrispettosa dei diritti sindacali, dei diritti politici e perfino dei diritti umani