Alessandro Taddei è un giovane intellettuale italiano, autore della raccolta di poesie “Anche Apollo beve Mirto”, edito da Solaris, e curatore della rubrica “Pillole di Brianza” per il blog di CulturaIdentità. Pertanto, ascoltare le sue analisi e prospettive per il futuro è stata per noi opportunità interessante.
In che modo è nato il tuo avvicinamento al mondo della cultura, della scrittura e del giornalismo?
La conoscenza con ciò che è “Cultura” l’ho fatta fra i banchi di scuola, e questo credo debba essere l’obiettivo di ogni istituto di formazione. Certo, talvolta alcune figure di professori tutto paiono tranne che veri “maestri”, capaci di guidare i propri allievi non solo nello sviluppo di una passione verso una determinata disciplina, ma anche nella creazione di un proprio senso critico, e questo dovrebbe forse spingere a una riflessione sul tema della “meritocrazia” non solo per gli studenti, ma anche fra i docenti. Altro luogo – spesso sottovalutato da molti – dove la “Cultura” è sempre stata di casa, è stata la mia Casa: mamma e papà sono sempre state figure aperte al dialogo e al dibattito su ogni tema e posizione, insegnandomi però come tutto debba essere argomentato. La scrittura, invece, è sempre stata per me un rifugio, una stanza privata dove poter sfogare le emozioni, quando troppo forti, per poterle stendere e, così, comprenderle a pieno. E’ stato questo l’intento che ha mosso la stesura del mio libro (Anche Apollo beve Mirto, Edizioni Montag, 2020). Oltre a questa finalità molto egoista, la scelta di pubblicare un libro di poesie nel 2020 aveva anche una finalità più “sociale”: in un mondo che va sempre di fretta, dove anche i modi e i tempi della conoscenza, dell’osservazione e dell’attenzione a ciò che ci circonda sottostanno a logiche da fast-food “mordi e fuggi”, la Poesia, con i suoi modi e forme espressive più contorte e difficili, che necessitano di attenzione e sforzo mentale notevole per essere comprese, beh, ho pensato potesse essere un ottimo “esercizio alla lentezza” che io reputo necessario al nostro mondo. L’avvicinamento al mondo del giornalismo è avvenuto invece grazie a Francesca Giarmoleo, responsabile regionale di CulturaIdentità Lombardia, che aveva apprezzato proprio il mio libro: ho potuto così conoscere questo bellissimo progetto culturale ed entrare in contatto in primis con la redazione giovanile guidata dall’instancabile Marco Spina.
Quali sono i tuoi progetti e le tue ambizioni future in questo campo?
Scrivere è una grande passione per me, in tutte le sue forme. Spero di poter continuare a collaborare a lungo con CulturaIdentità, condividendo le battaglie dell’associazione. E spero anche che un domani la scrittura per una rivista o un quotidiano possa diventare un vero e proprio lavoro. Da studente di Lettere Classiche e Storia Romana, il mio sogno nel cassetto è quello di poter un giorno scrivere e produrre materiale divulgativo proprio su questi temi: sia ben chiaro, divulgativo non vuol dire “di bassa qualità” (anche se spesso siamo abituati ad avere a che fare con testi divulgativi approssimativi e puramente nozionistici, facendo così torto alla Storia e al mondo del “classico”), ma la divulgazione deve essere intesa come la chiave di giuntura fra la società ed il mondo accademico, che senza diverrebbe un mero circolo chiuso di discussione fra Professori.
Hai nei tuoi piani la scrittura di altri libri?
Credo che ad oggi ci si possa ritrovare molto nella definizione dell’epoca “d’Angoscia”, che E. Dodds aveva dato del III sec. d.C., il punto più alto della crisi dell’Impero Romano: epidemie, cambiamenti climatici, pressioni ai confini, tracollo della religione “classica”. Sono temi che ad oggi parlano e invitano a riflettere, per cercare vie oltre questo collasso… in questo senso, spero di riuscirmi a muovere prossimamente con qualche scritto valido.
Puoi esprimerci una tua considerazione sull’attuale panorama culturale ed intellettuale italiano?
In tre aggettivi: povero, impoverito ed egemonizzato. Povero perché credo che gli intellettuali validi si possano contare sulle dita di una mano. E prova di questa povertà è data dal fatto che i riferimenti culturali di molti siano individuabili in personalità del calibro di Fedez: un ottimo imprenditore, ma l’emblema del nulla in quanto ad argomentazioni sulle proprie posizioni oltre a qualche scenata isterica e luoghi comuni. E un panorama povero anche nei contenuti: veri e propri temi da “salotto”, lontani dai problemi reali del paese, sottoposti a disamina da personalità che secondo l’arrogante impostazione del “tutto per il popolo, ma nulla attraverso il popolo”, hanno privato la cultura della sua funzione sociale per renderla un etere vaporoso. Impoverito perché credo che le cause di questa situazione vadano ricercate nel processo di smantellamento dell’apparato scolastico e del suo continuo livellamento al ribasso tramite riforme vergognose, unitamente ad un sistema di informazione mediatica vergognoso, incapace di portare l’attenzione sui temi più importanti, ma sempre pronto a puntare i riflettori sui rutti dei concorrenti della casa del Grande Fratello.
E perché egemonizzato?
Egemonizzato perché credo che, storicamente, il PCI e la Sinistra in Italia, dal Dopoguerra hanno proceduto ad una sistematica ed oculata occupazione dei luoghi della cultura con personalità a loro vicine: fatto politicamente comprensibile, e di cui parte della colpa va data al mondo della Destra, incapace di muoversi in maniera parallela e opposta.
Ma questo ha portato ad altro?
Il vero problema che ne è conseguito, alquanto fastidioso, è il fatto che, ad oggi, per essere accettati in questo circo dalle sembianze di “panorama culturale” vada quasi sempre esibito un “patentino di antifascismo” per gli esponenti del mondo di destra, una sorta di giochino per cui solo se “approvati” dagli avversari politici si è allora presentabili all’interno del dibattito pubblico. Questo nuoce alla democrazia, soprattutto quando non si comprende quale sia il significato di quell’antifascismo tanto decantato. Se si fa riferimento all’esperienza storica, il discorso cadrebbe nel ridicolo, dal momento che nessuno ad oggi ha avuto modo di prendere parte all’esperienza politica del ventennio, e non ha quindi colpe da espiare. Se si parla invece di valori, allora sarebbe meglio parlare di rifiuto del razzismo, rigetto delle dittature e tutela delle libertà: ma va fatto in questi termini semantici, non con un vago “anti-“ (che è tra l’altro un modo per esprimere una volontà di abbattere qualcosa, ma di costruire al suo posto cos’altro?). Restituiamo importanza anche alle parole.
In che modo valuti l’attuale scenario politico nazionale?
Il nostro governo mi ricorda molto un’ammucchiata democristiana senza identità, e chi è privo di identità difficilmente può prendere una strada che porti lontano. Non mi esprimo sugli esponenti politici, ma temo un elettorato che non reagisce di fronte a incoerenze e voltafaccia clamorosi, cambi di casacca continui, un elettorato dimentico delle pietose scene di questo gennaio, quando reclusi in casa assistevamo alla compravendita in diretta dei voti dei Ciampolillo di turno per mantenere in vita il governo giallo-rosso. E a nessuno spaventa sapere che viviamo in un (per buonissima parte) ingiustificato “Stato di Emergenza” da un anno e mezzo? Non è questo un precedente pericoloso per la democrazia nel caso in cui un domani qualche malintenzionato riuscisse ad andare al governo? Senza parlare di tutte le contraddizioni del Green Pass, tema oramai meramente ideologizzato, su cui non sembra più lecito porre domande senza essere bollati come no-vax. La ritengo una misura ipocrita, mentre la riterrei condivisibile nel momento in cui certificasse al 100% l’impossibilità di contagio in un determinato ambiente. Il governo, piuttosto, abbia il coraggio di introdurre la vaccinazione obbligatoria. Sì al green pass su treni dell’alta velocità, no su metro e regionali, sì al green pass per poter lavorare e non in Parlamento? Qui si rischiano fratture sociali profonde e ad alta carica degenerativa