I libri e la letteratura non ci rendono più buoni, più interessanti, più tolleranti. Leggere non è né un patentino di libertà né di superiorità morale. Molte volte i maggiori nemici dei libri non sono gli ignoranti, ma proprio i più colti, i loro maggiori amanti. Dai roghi nazisti del coltissimo Goebbels al genocidio culturale dei Maya causato dai massimi religiosi dell’epoca. I tribunali, gli indici, la censura erano istituiti da studiosi, da eruditi, da iconoclasti. Bisogna smentire tutte le menzogne che si raccontano sui libri. Bontà, sacralità, moralità. È proprio per questo che bisogna leggere? Per avere certezze, per redimersi, per perfezionarsi? Dalla visione etica e moralista del politicamente corretto a quella sterile e monolitica delle ideologie totalitarie, passando per i luoghi comuni più beceri, più si eleva il libro e la letteratura sugli altari e sui palchi dei comizi, più li si fraintende, sminuisce. Per poter evitare questi errori è necessario leggere “ Libri. Non danno la felicità(tantomeno a chi non li legge)” di Luigi Mascheroni(OLIGO). In questo pamphlet Mascheroni, ribalta tutti gli stereotipi letterari, mostrandone la fallacia e l’ipocrisia. Perché se leggere è importante, leggere bene lo è molto di più. Privilegiando alla quantità la qualità, ad una demagogia libraria, per cui tutti i libri sono sacri, belli e buoni, il gusto aristocratico di chi con Voltaire concorda che se non si legge la vita non ha senso, ma se si legge male lo può avere anche meno. Amare i libri indistintamente vuol dire non amarli, come amare tutte le donne vuol dire non amarne nessuna. Bisognerebbe quindi mettere sullo stesso i piano i due esempi e considerare meno gente bibliofila e più superficiale. Non si è pubblicato mai così tanti libri nella storia e mai ci furono tanti così superflui. Discriminare, ammettere che la letteratura non è democratica è il primo passo per amarla veramente. Essa non può rappresentare tutti i popoli, tutte le etnie, tutti gli orientamenti ma deve poter colpire ogni uomo. È un errore credere nella funzione salvifica della scrittura. Solo la bellezza conta, ma non ci salverà, diceva Bunin. Non si è più buoni se si legge, spesso è proprio tra gli uomini di lettere che si annidano vanità, invidia, superbia, che si instilla il falso senso di superiorità morale che contraddistingue non tanto chi si pone domande, ma più che altro chi trova risposte, illusioni, soprattutto se altrui. Quando invece leggere vuol dire smarrirsi e non trovarsi, eclissarsi e non risplendere, cercare turbamenti e non dogmi, cadere negli abissi e non ergersi sugli altari. Altari che rendono sempre più morta e distante la letteratura e i letterati. Confondendo il tenere in vita le fiamme con la venerazione delle ceneri. Mascheroni in questo pamphlet geniale scrive un grande atto di amore verso i libri. Ma non un’amore cieco e sterile, fin troppo diffuso, ma un’amore vivo e inquieto. Per cui leggere non deve essere né un alibi del vivere, né una scusa per colmare le proprie paure. “sono i troppi libri a renderci ignoranti”, ma di quelli buoni si può dire lo stesso di quello che Hemingway disse della terra: “sono un bel posto e vale la pena combattere per essi”
